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Napoli e la napoletanità nella storia dell’arte     (vol. II)

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Cap.34
La solitaria protesta della tammurriata


C’era una volta il passato, quando era la memoria a guidare il presente, una memoria collettiva che parlava la lingua dei morti, ma era una parlata viva e tonificante, depositata presso genuini rappresentanti di una cultura millenaria, oggi quasi tutti scomparsi. Essi possedevano l’interiorità religiosa, per rappresentare autorevolmente quei canti, quelle musiche, quei riti con gesti immutati nei secoli. Erano virtuosi del tamburo e del canto, intriso di sacerdotale sacralità, grazie ai quali prendeva corpo quella liturgia di dialoghi con un linguaggio fuori dal tempo, in cui tutti si riconoscevano in un perenne presente metastorico, che inglobava il passato mentre si proiettava nel futuro.
Oggi nelle date canoniche sopravvivono larve di antiche feste, gestite spesso dalle pro loco o da organizzazioni pseudo culturali di carattere politico, nelle quali danze e canti sono totalmente svuotati di forma e di contenuto e scandalizzano gli anziani abituati a ben altre interpretazioni. Manca del tutto quel vissuto di religiosità che possa restituire al linguaggio sonoro una purezza affinché si produca una socializzazione della musica. Un canto rituale che simboleggi invocazioni di grazia, canti lirici di vendemmia e cerimonie di morte.
Capita in alcune cittadine della provincia di vedere giovani borghesi muniti di tamburo e studentesse abbigliate con lunghe gonne esotiche esibirsi in balli tradizionali e critici improvvisati parlare a sproposito di energia, di solarità, di mantra e di riti liberatori, come se quegli ectoplasmi di tamorre e tarantelle non fossero l’espressione di uno squallido perbenismo di matrice sinistroide.
Nelle principali piazze dei decumani a Napoli è frequente vedere gruppi di giovani malvestiti agitare insensatamente sonagli e tamburi, mentre le ragazze dimenare le braccia e dinoccolare i polsi per scuotere nacchere, scimmiottando impudicamente le contadine, senza avvedersi di essere del tutto prive di quell’aristocrazia che caratterizzava la tradizionale gestualità delle classi rurali.
Sono tutte persone che non hanno mai respirato l’atmosfera carica di forze che permeava le vecchie feste di paese, né hanno ascoltato quelle preziose registrazioni che Roberto De Simone ha raccolto a futura memoria, cercando di preservare per le nuove generazioni un patrimonio in frantumi. Si tratta di preziosi nastri incisi nel momento culminante del rito, magari privi di perfezione tecnica, ma ricchi di una coralità prorompente, di una verità espressiva, di uno spessore religioso rappresentato al massimo grado.
Per gli anni a venire queste registrazioni costituiranno la celebrazione dell’assenza e fungeranno da cartina al tornasole per evidenziare le innumerevoli mistificazioni e contraddizioni operate in nome di un mondo estinto per sempre.
Quel piccolo mondo antico e rituale, che in passato costituiva il tessuto vivo e palpitante di un popolo ed oggi è tristemente evocato nelle dilanianti note delle tammurriate, che rappresentano una celebrazione dell’assenza, un pozzo senza fondo della memoria collettiva, un requiem della cultura più genuina, appassionato quanto dolente.
La tammurriata è stata sempre la regina tra le danze tradizionali della Campania, ballata in una vasta zona dalla bassa valle del Volturno all’area circumvesuviana, fino all’agro nocerino sarnese ed alla costiera amalfitana.
In una più ampia classificazione dei balli etnici italiani, la tammuriata va inclusa nella famiglia della tarantella meridionale, di cui costituisce uno specifico e originale sottogruppo basato sul ritmo rigidamente binario, sulla partecipazione al ballo esclusivamente in coppia (mista e non), su un'intensa dinamica delle braccia, sull'uso delle nacchere che, oltre a fornire il ritmo di base, obbliga ad una particolare cinetica di mani, braccia e busto. Il ballo trae il nome dal fondamentale ritmo binario che viene marcato con il tamburo (detto anche tammorra). La "tammorra" è un grande tamburo a cornice dipinta con sonagli di latta, con possibile accessorio addobbo di nastri o pitture policrome e campanelli.
Altri strumenti possono accompagnare lo strumento solista, cioè la voce umana, maschile o femminile, modulata secondo tecniche e stili particolari. Questi strumenti sono: il putipù, il triccheballacche, lo scetavajasse.
Tammurriata nera è una canzone napoletana scritta nel 1944 da E. A. Mario (musica) ed Edoardo Nicolardi e racconta la storia di una donna che mette al mondo un bimbo di colore, concepito con un soldato durante l'occupazione americana.
(Napoletano)
« È nato nu criaturo, è nato niro,
e 'a mamma 'o chiamma Giro »
(Italiano)
« È nato un bambino, è nato nero,
e la mamma lo chiama Ciro »
La donna tuttavia accetta il figlio, forte del proprio amore materno. L'intera vicenda è raccontata da una specie di coro greco, che ironizza sul fatto che per quanto la donna rigiri il figlio (Seh, vota e gira, seh seh, gira e vota, seh), o gli affibbi nomi italiani come Ciccio, Antonio, Peppe o Ciro (ca tu 'o chiamme Ciccio o 'Ntuono, ca tu 'o chiamme Peppe o gGiro), il bambino che ha partorito è comunque nero (chillo 'o fatto è niro niro, niro niro comm'a cche).
La nascita della canzone prende ispirazione da un episodio accaduto a Nicolardi, l’autore, che vide un certo trambusto nel reparto maternità presso l'ospedale di Napoli Loreto Mare, di cui era dirigente amministrativo. Una giovane aveva dato alla luce infatti un bambino di colore, e di fatto non era l'unica in quel periodo ad essere rimasta incinta dei soldati afro americani.
Tale episodio rappresentava una vera e propria svolta epocale per la società napoletana ed italiana, e Nicolardi, già autore di canzoni napoletane di un certo successo, fra cui la famosa Voce 'e notte, insieme all'amico e consuocero, il musicista E. A. Mario, autore fra l'altro della Leggenda del Piave, scrissero di getto Tammurriata nera.
Fra i primi interpreti a rendere celebre Tammurriata nera vi fu Renato Carosone, che contribuì a far diventare famosa la canzone in tutta Italia, rendendola parte del proprio repertorio. A livello discografico, però, la versione più ricordata di Tammurriata nera è quella registrata nel 1974 dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, che rimase nella hit parade dei singoli più venduti in Italia per diverse settimane. Fra gli altri interpreti ad aver cantato una propria versione del brano si ricordano Angela Luce, Marina Pagano, Vera Nandi, Peppe Barra, Teresa De Sio e Gabriella Ferri.

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Tammurriata


Spartito della Tammurriata Nera


Nuova Compagnia di Canto Popolare


Renato Carosone


Napoli e la napoletanità nella storia dell’arte

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