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Napoletanità arte  miti e riti a Napoli  (vol. II)

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Cap.40
Una diaspora rovinosa


La totalità degli italiani e, purtroppo, gran parte dei napoletani, credono oramai che la città sia perduta ed irrecuperabile, per cui l’hanno abbandonata, come si lascia una vecchia moglie che col tempo diventa sempre più brutta e petulante. Oggi i giovani cercano altrove un’amante, che sia in grado di far dimenticare il passato e le radici e la cercano in tanti luoghi diversi, a Londra come a Barcellona, in Germania ma anche in Brasile.
Da anni la ricerca di un lavoro per i giovani è divenuto il problema più assillante a Napoli dove pure le emergenze non si contano.
E lentamente sta erodendo il sistema sociale e sta depauperando in maniera irreversibile l’unica risorsa primaria costituita dalle giovani generazioni, che tristemente hanno preso la via del Nord e dell’estero per non più ritornare. Siamo davanti oramai ad una diaspora rovinosa, che toglie ogni speranza di un futuro per la città e nello stesso tempo sta cambiando anche la composizione sociale dei quartieri. Zone come Posillipo ed il Vomero, una volta abitate dalla borghesia, lentamente stanno divenendo la residenza di spavaldi commercianti con attività ai margini della legge, gli unici che oggi possono disporre di cifre cospicue di denaro per acquisti di immobili che hanno raggiunto quotazioni record.
Nello stesso tempo nei quartieri del centro storico gli abitanti, stanchi di bassi e di case malsane, si trasferiscono verso l’immensità di un hinterland senza strutture e senza servizi, senza collegamenti, ma soprattutto senza anima. Al loro posto legioni di extra comunitari, felici di passare dalle capanne ad un tetto qualsiasi e disposti ai lavori più umili pur di riscattare un domani migliore.
I motivi di questa deriva si perdono nella notte dei tempi e storici ed intellettuali si sono scervellati a cercarne una spiegazione. Per Francesco Durante tutto è cominciato da quando la città da tranquilla polis medioevale è divenuta una capitale di regni che si sono succeduti l’uno dopo l’altro; Benedetto Croce faceva risalire l’inizio di questa sventurata eclisse al Trecento per aggravarsi in epoca vicereale col dominio degli Spagnoli, quando il paradiso abitato da diavoli, divenne un eden affollato di lazzari, Raffaele La Capria spostava l’inizio della fine al 1799 con il fallimento della rivoluzione ed il cementarsi dell’alleanza tra plebe e monarchia.
Altri, come Ermanno Rea, hanno indicato il dopoguerra come momento fatale per la città con l’inizio della guerra fredda che ha tarpato le ali alla vocazione mercantile e commerciale dei napoletani o con la scomparsa della cultura operaia successiva alla chiusura dell’Italsider.
Sono spiegazioni parziali, che in ogni caso non risolvono la situazione divenuta drammatica e tale da far apparire la città ed i suoi abitanti come un’entità clinicamente morta e qualunque tentativo di rianimarla semplicemente un inutile accanimento terapeutico.
Da troppi anni a Napoli sono gli omicidi a scandire ritmicamente il calendario, mentre tutto il territorio sfugge al controllo dello Stato, vicariato dalla delinquenza organizzata, che detta legge oramai in ogni faccenda. Il Comune e la Regione sono prive di potere. L’incertezza del diritto fa sì che gran parte dei malavitosi siano certi di farla franca e di dover rispondere al massimo ai rimorsi della propria coscienza, un tribunale, almeno da Dostoevskij in poi, di tutto rispetto, ma purtroppo, non ancora parificato agli ordinamenti di una moderna Repubblica. I giovani fuggono in massa verso un destino meno amaro, una diaspora di dimensioni bibliche che preclude ogni speranza di miglioramento futuro; restano soltanto i vecchi borghesi, pensionati e piccoli commercianti che oramai si sono arresi. Leopardi che pure l’amava la definì “terra di lazzaroni e di pulcinella” e tanti altri insigni personaggi, da Campanella alla Serao, condivisero pareri negativi, senza parlare dei tanti viaggiatori stranieri, in visita a Napoli, quando la capitale era una delle mete obbligate del Gran Tour. Si giunse così al laconico giudizio di “ un paradiso abitato da diavoli”, coniato quando la camorra non era ancora divenuta una delle organizzazioni criminali più feroci della Terra. Eppure nonostante questa antica maledizione gravi come un macigno, non esiste città dove disorganizzazione e gioia di vivere convivano con maggiore armonia. Ed è questa la colla che tiene ancora uniti tutti coloro che amano svisceratamente il loro luogo natio, la loro patria e soffrano una struggente malinconia quando sono costretti a cercare altrove pane e tranquillità. È probabile che la nostra città rappresenti un laboratorio dove affrontare una serie di tematiche che da noi hanno da tempo raggiunto e superato il livello di guardia, ma che interessano tutti gli Italiani: traffico, disoccupazione, delinquenza organizzata, smaltimento dei rifiuti, abusivismo, ecc. I Napoletani sono gente antica, che non ha reciso le radici col passato e che ha rifiutato vigorosamente le suadenti sirene della modernità. Rappresentiamo una delle ultime tribù della terra in lotta contro la globalizzazione. Abbiamo alle spalle una storia gloriosa di cui siamo fieri, passeggiamo sulle strade selciate dove posò il piede Pitagora, ci affacciamo ai dirupi di Capri appoggiandoci allo stesso masso che protesse Tiberio dall’abisso, cantiamo ancora antiche melodie contaminate dalla melopea fenicia ed araba, ma soprattutto sappiamo ancora distinguere tra il clamore clacsonante delle auto sfreccianti per via Caracciolo ed il frangersi del mare sulla scogliera sottostante. Avere salde tradizioni e ripetere antichi riti con ingenua fedeltà è il segreto e la forza dei Napoletani, gelosi del loro passato ed arbitri del loro futuro, costretti a vivere, purtroppo, in un interminabile e soffocante presente.
Ed ogni giorno la situazione è più drammatica del giorno precedente, sempre più giù verso un fondo che diviene sempre più profondo e sempre più somigliante ad uno spaventoso gorgo, che inghiottirà tutto e tutti e dopo il quale il mondo non sarà certo migliore e Napoli non sarà più quella che per secoli abbiamo conosciuto.

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Il centro antico di Napoli


Napoletanità arte  miti e riti a Napoli  (vol. II)

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