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Quei Napoletani da ricordare  (vol. 2)

 

 

Cap.61
La vera Filumena Marturano
Pupella Maggio

Pupella Maggio, nata a Napoli il 24 aprile 1910 e spentasi a Roma nel 1999, grande attrice di cinema e di teatro è stata la più superba interprete del personaggio di Filumena Marturano nella celebre commedia di Eduardo De Filippo.
Nacque figlia d’arte, e come i suoi genitori intraprese la strada del teatro. Insieme a lei anche altri fratelli calcarono le scene; tra questi ricordiamo Enzo, il primogenito, Beniamino, Dante e Icadio e le sorelle Rosalia e Margherita.
Il padre è stato uno dei più grandi capocomici e fine dicitore della storia del teatro partenopeo: Domenico Maggio detto Mimì e la madre Antonietta Gravante, erede della famosa famiglia Gravante gestori del rinomato circo equestre "Carro di Tespi".
La madre ebbe le doglie proprio durante le prove di uno spettacolo al Teatro Orfeo (oggi non più esistente) in via Carriera Grande (siamo nei pressi della stazione di Napoli), e pertanto la piccola Giustina vide la luce nel camerino dello stesso.
Il battesimo artistico lo ricevette all’età di circa due anni, quando con la compagnia teatrale del padre rivestì il ruolo della bambola di pezza nello spettacolo di Eduardo Scarpetta La Pupa Movibile. Fu questa partecipazione e il vezzeggiativo datole dal padre Mimì a far sì che piccola Giustina venisse chiamata affettuosamente Pupella.
La scuola la lasciò ai primi anni delle elementari e sin da piccina prendeva parte agli spettacoli diretti dal padre, che in quegli anni riscontrava successo con la famosa sceneggiata napoletana. Seguiva la compagnia per tutte le tournée, ma non le mancarono esperienze lontano dalla famiglia come per la rivista La Rinie n°1.
Negli anni Quaranta decise di abbandonare le scene, a seguito della morte della madre (1940) e del padre (1943).
Trasferitasi a Roma, intraprese il mestiere di modista, ma un’amicizia con alcuni ebrei che nascondeva in casa la costrinse ad andare altrove. Si diresse a Terni dove lavorò in un’acciaieria, per la quale curava le regie teatrali degli spettacoli del Dopolavoro. La notizia dell’amicizia scottante circolava, quindi dovette andare di nuovo altrove: Napoli, poi Stroncone, ancora Roma e infine Milano. Qui raggiunse sua sorella Rosalia e sempre qui lavorò in una compagnia di rivista al Teatro Nuovo, accanto a Remigio Paone, Carlo Croccolo, Dolores Palumbo ed altri ancora.
La sua insofferenza migratoria la riportò a Napoli e da lì a qualche anno ebbe modo di conoscere il suo maestro Eduardo De Filippo.
La consacrazione di Pupella come attrice avviene dopo la morte di Titina De Filippo, quando Eduardo le dà la possibilità di interpretare i grandi personaggi femminili del suo teatro, da Filumena Marturano a donna Rosa Priore in "Sabato, domenica e lunedì", ruolo che Eduardo scrive per lei e che le vale il premio Maschera D’Oro, fino alla famosissima Concetta di "Natale in casa Cupiello".
Il sodalizio Pupella-Eduardo si rompe nel 1960, a seguito anche di incomprensioni caratteriali dovute alla severità del maestro, ma si ricuce quasi subito. L’attrice continua a lavorare con Eduardo De Filippo, intervallando il loro sodalizio con altre esperienze artistiche.
Nel 1959 la sua consacrazione quale primadonna l’ottenne grazie al ruolo di Rosa in Sabato, domenica e lunedì, personaggio scritto apposta per lei dal grande Eduardo e che le fece vincere tre grandi premi: la Maschera d’oro, il premio San Genesio e il premio Nettuno.
A seguito della prima di una lunga serie di incomprensioni, nel 1960 Pupella si allontanò da Eduardo per lasciarsi dirigere da Luchino Visconti nel testo de L’Arialda di Giovanni Testori.
Sempre nel 1960 inizia la sua vera e significativa esperienza cinematografica: tra i tanti registi ricordiamo Mario Amendola, Camillo Mastrocinque, Mauro Morassi in un primo luogo, per poi passare al grande Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Nanni Loy e l’americano John Huston nel film La Bibbia.
Ottenne il Nastro d’Argento alla migliore attrice non protagonista nel 1969 per il ruolo della prima paziente ne Il medico della mutua di Luigi Zampa, accanto al giovane Alberto Sordi.
Intanto svariate furono le volte in cui tornò sotto la direzione di Eduardo, ma non mancarono grandi registi come il napoletano Giuseppe Patroni Griffi in testi come Napoli notte e giorno, ispirato ai testi di Raffaele Viviani, in Persone naturali e strafottenti e nel testo scritto apposta per lei In memoria di una signora amica.
Il 1973 fu l’anno del famoso film Amarcord di Federico Fellini, vincitore del Premio Oscar come miglior film straniero, al quale Pupella prese parte nel toccante ruolo della madre del protagonista, doppiata però da Ave Ninchi.
Nel 1976 divorziò da Luigi Dell’Isola, che aveva sposato nel 1962 e che rimase primo ed unico marito.
Dal 1979 iniziarono gli anni in cui Pupella partecipò attivamente alle messinscena diretta da Tonino Calenda in diversi testi che le diedero modo di portare fuori un’interpretazione all’apice della sua maturità. Fu il momento di Brecht del quale Calenda curò la regia de La Madre, in una Pupella nei panni di Pelagia Vlassova, un personaggio che grazie all’interpretazione del tutto personale dell’attrice divenne madre napoletana e insieme universale.
Nel 1981 è accanto all’amico di sempre Pietro De Vico nello spettacolo Farsa, tratto dai testi di Antonio Petito e nel 1983 si riunisce la parte superstite della famiglia Maggio: Pupella, Rosalia e Beniamino vanno in scena diretti sempre da Calenda col testo ...’Na sera ...’e Maggio. Fu l’ultima volta che i fratelli recitarono insieme, e grazie a questa pièce ottennero il Premio della critica italiana per la Stagione di Prosa 1982/1983 come miglior spettacolo dell’anno e per l’interpretazione particolarmente singolare. Un ictus cerebrale bloccò Beniamino nel camerino del Teatro Biondo di Palermo.
Fu la volta del testo di Shakespeare Amleto, da cui Calenda scrisse Questa sera... Amleto, con la collaborazione di Mario Prosperi. Successivamente sempre Calenda le pone uno dei testi più famosi del drammaturgo Samuel Beckett: Aspettando Godot.
Il 1º aprile del 1987 ebbe un incidente stradale che la costrinse a fermarsi per qualche tempo.
Si trasferì a Todi, confrontandosi successivamente ancora col cinema. Fu la madre (da vecchia) del protagonista nel film da Oscar Nuovo cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore del 1989.
Nel 1997 scrisse e pubblicò il suo primo ed unico romanzo, l’autobiografico Poca luce in tanto spazio per "Carlo Grassetti Editore".
L’8 dicembre 1999 morì all’ospedale Sandro Pertini di Roma, per emorragia cerebrale lasciando un grande vuoto nel mondo dello spettacolo italiano. Qualche mese prima, durante un afoso mese d’agosto, aveva partecipato al film Fate come noi del giovane regista Francesco Apolloni, che rimane la sua ultima apparizione. Riposa al Cimitero di Prima Porta a Roma.
L’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi emise un comunicato che recitava così:
«Il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha inviato alla famiglia Maggio un messaggio di profondo cordoglio per la scomparsa di Pupella Maggio. Figlia d’arte della straordinaria famiglia Maggio che ha dato così grande prestigio alla tradizione della commedia napoletana, recitò da protagonista nella compagnia scarpettiana. L’incontro artistico con Eduardo De Filippo segnò il clamoroso successo personale come sensibilissima interprete di gran parte dei lavori del maestro. Non è stata solo la più grande attrice napoletana del ‘900, ma una protagonista della storia teatrale italiana che resta legata anche al suo nome. Con questi sentimenti giunga a tutti i familiari, l’espressione del commosso rimpianto degli italiani che tanto l’hanno ammirata e ne conservano il ricordo».
(Carlo Azeglio Ciampi, 9 dicembre 1999).
Partecipa a numerosi film:
Sperduti nel buio, regia di Camillo Mastrocinque (1947)
Il Passatore, regia di Duilio Coletti (1947)
Il medico dei pazzi, regia di Mario Mattoli (1954)
Il terribile Teodoro, regia di Roberto Bianchi Montero (1958)
Serenatella sciuè sciuè, regia di Carlo Campogalliani (1958)
Mogli pericolose, regia di Luigi Comencini (1958)
Il terrore dell’Oklahoma, regia di Mario Amendola (1959)
Sogno di una notte di mezza sbornia, regia di Eduardo De Filippo (1959)
La duchessa di Santa Lucia, regia di Roberto Bianchi Montero (1959)
Caravan petrol, regia di Mario Amendola (1960)
A qualcuna piace calvo, regia di Mario Amendola (1960)
Anonima cocottes, regia di Camillo Mastrocinque (1960)
La ciociara, regia di Vittorio De Sica (1960)
Mariti in pericolo, regia di Mauro Morassi (1961)
Le quattro giornate di Napoli, regia di Nanni Loy (1962)
La Bibbia, regia di John Huston (1966)
Il medico della mutua, regia di Luigi Zampa (1968)
Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue, regia di Luciano Salce (1969)
Joe Valachi - I segreti di Cosa Nostra, regia di Terence Young (1972)
Amarcord, regia di Federico Fellini (1973)
Lacrime napulitane, regia di Ciro Ippolito (1981)
I giorni del commissario Ambrosio, regia di Sergio Corbucci (1988)
Nuovo Cinema Paradiso, regia di Giuseppe Tornatore (1988)
Sabato, domenica e lunedì, regia di Lina Wertmüller (1990)
Fate come noi, regia di Francesco Apolloni (2001)
Ripercorriamo in maniera diversa la sua vita in base ad una conversazione confidenziale che ci concesse anni fa, e partiamo dalla leggenda «A due anni mi portarono in scena dentro uno scatolone legata proprio come una bambola perché non scivolassi fuori. E così il mio destino fu segnato. Da "Pupatella" attraverso la poupée francese, divenni per tutti "Pupella" nel teatro e nella vita»
(Pupella Maggio, Poca luce in tanto spazio).
Fu chiamata col nome di Giustina, non essendocene molti ancora a disposizione sul calendario. Avendo dovuto portare altri venti figli alla fonte lustrale, papà e mamma avevano ormai saccheggiato il libro del martirologo cristiano. Glielo cambiarono tre anni dopo (1913), quando all’«Orfeo» Mimì Maggio e la moglie, ex giocoliera di circo equestre, per le esigenze del loro numero, la «La pupa invisibile», ebbero bisogno di tirar fuori da una scatola una «pupatella». Decisero di ficcarcene dentro una in carne ed ossa, lei. Ribattezzata Pupella, comparve così per la prima volta sul palcoscenico. A sette otto anni, accompagnandosi con un mandolino, cantava «Vita ‘e notte» in una «sceneggiata», fino all’interpretazione di Donna Concetta in «Natale in casa Cupiello». Un personaggio difficile – e che forse perciò le sta più a cuore – perché Concetta Cupiello non parla, agisce, e il difficile sul palcoscenico è proprio stare zitti. Questo gliel’ha detto nientedimeno che Eduardo, il suo dio, il suo dio intoccabile, ma poco misericordioso.
Una volta tanto, almeno con Pupella, Eduardo ricambia le cortesie. Su una copia di «Sabato, domenica, lunedì» le ha scritto: «Alcune di queste pagine furono tue fin dalla nascita. Le altre te le dedico con un abbraccio». Poi, in ricordo della sua «Marturano», le ha regalato uno dei tre gruppi di pupazzetti d’oro smaltati coi tre figli di «Filumena» - il camicaio, l’idraulico e il letterato – scolpiti dall’incisore di Cartier e destinati appunto a lei, a Titina e all’attrice russa che l’aveva trionfalmente eseguita a Mosca. «A Pupella» diceva il bigliettino di Eduardo «voce, faccia e anima di questa Filumena mia, che adesso è un poco pure sua».
Non poteva mancare il calembour nell’autografo di Montanelli alla protagonista del suo «Kibbutz»: «A Pupella, ebrea esemplare, il non esemplare cristiano Indro Montanelli».
Pupella s’era trovata davvero in mezzo agli ebrei. Fu tra la fine del ‘43 e la metà del ‘45, quando, scappata da Terni dove per un paio di anni aveva lavorato come coreografa per il «dopolavoro» di quell’acciaieria, pur di trovare alloggio era andata a cascare in una famiglia ebrea, che poi scampò al rastrellamento soltanto per l’abilità con cui recitò la parte della padrona di casa di pura razza ariana, davanti alla pattuglia nazista che aveva bussato alla porta, se per bussare può intendersi anche l’uso ripetuto ed energico del calcio di uno «Stein».
Altra sconvolgente e indimenticabile immagine di donna dolente, quella da lei disegnata per «In memoria di una signora amica» di Patroni Griffi, in contrasto assoluto e totale con la petulante cliente del «Medico della mutua».
Di film, come di lavori teatrali, ne ha fatti tanti che neanche se li ricorda. Forse il primo è stato «Anonima cocottes», con Rascel e Anita Ekberg. Tra gli ultimi, «La Bibbia», di John Houston (che gli stava costando un esaurimento nervoso per lo sforzo di parlare inglese), «Amarcord» di Fellini e il «Il carteggio Valachi» di Terence Young.
Di straordinaria versatilità, Pupella Maggio giura di essere una analfabeta, o quasi, che non tiene a mente nemmeno un rigo di tutta la valanga di roba che ha recitato, che è assai religiosa, che ha la «Capa tosta» e che le piacciono la pulizia e l’esattezza. Vivendo sola e senza aiuti, guai se non fosse così. Si alza alle sei anche se è andata a letto quattro ore prima e così trova il tempo di fare tutto. Anche qualcosa «fesserie», precisa con l’uncinetto o con i ferri. «Sfilo quella vecchia» dice «e nun’accatto manc’’a lana».
Per tirarla fuori di casa, data la sua efferata pigrizia, non bastano due coppie di buoi. Una volta a Parigi si perdette il panorama dalla Tour Eiffel. «Me scucciavo ‘e saglì», si giustificava.
Non va a teatro che per il suo mestiere, anzi per il suo pane quotidiano, perché quel poco che ha guadagnato si è volatilizzato insieme a coloro ai quali lo aveva dato per aiutarli. E’ l’unico pentimento della sua vita di lavoro. Perciò, conservatrice com’è, la sera se ne sta con i suoi piccoli ricordini, ninnoli, «pazielle», bamboline e via dicendo.
Alta quanto il classico soldo di cacio, è esattamente la metà della figliuola, una ragazzona che, quand’era in fasce, lei si portava dietro fin nel camerino, in una cesta senza coperchio (a differenza di sua madre, l’ex giocoliera, che veniva a sfornare figli a Napoli e poi andava a rincorrere il marito qua e là per l’Italia, o addirittura in Francia).
Era l’epoca del «varietà», della compagnie di giro, delle carrettelle traballanti per spostarsi da un paesino all’altro, dei «polpettoni» a puntate che duravano «‘na sera sana»: «Le due orfanelle», «La cieca di Sorrento», «I due sergenti», «Il fornaretto di Venezia». Drammoni ad anno luce di distanza, per esempio, dall’«Arialda» di Testori, che a Milano, dopo la prima rappresentazione, incappò nei fulmini dell’allora Cardinale Montini, tra la sorpresa di Luchino Visconti, che l’aveva impunemente diretta a Roma. all’«Eliseo», e la disperazione della povera Pupella, che vedeva sfumare la sua già magra paga.
Anche senza mai sguazzare nell’abbondanza, non ha mai accettato un ruolo che non le andasse a genio e, del resto, i personaggi di Eduardo hanno riempito tutti i suoi desideri.
Modestissima, non s’è mai comperata belletti o profumi e si vanta di non aver debiti, né di aver mai firmato cambiali. Eppure di momenti difficili ne ha avuti, e come. Benché facesse tutto quello che si può fare su una scena – farse, canzoni (aveva una bella vocina bianca) e danze (fu anche ballerina di fila) – di soldi ne vedeva pochi. Forse anche perché per molti anni era stata con un inconsueto capocomico, il padre.
Inconsueta anche l’avventura vissuta a Catania, appena quattordicenne. Si trovarono in quella città, contemporaneamente tre compagnie, la Maggio-Coruzzolo-Ciaramela al «Ganci»; la Gondrano-Trucchi di operette al «Pacini» e al «Verdi» la terza, che dava pochade in italiano. La soubrette della Gondrano-Trucchi, Cettina Bianchi, un giorno s’ammalò e il teatro rischiò di chiudere, proprio mentre era annunciato in cartellone «Il paese dei campanelli» e al borderò un incasso mai visto.Qualcuno si ricordò che Pupella conosceva a memoria quell’operetta e propose a Mimì Maggio di «prestargliela» per un paio di sere. Detto fatto, Pupella salvò capra e cavoli, oltre ad assicurarsi un bel successo personale, quantunque al duetto clou Gondrano avesse dovuto inginocchiarsi per non sovrastarla e consentirle di mettersi le mani nei fianchi in segno di sfida.
La famiglia Maggio è forse quella che ha fornito al teatro, in tutti i suoi aspetti, il più alto numero di persone. Addirittura sette e tutte di grande rilievo nel campo rispettivo. Proviamo a citarle: Rosalia, Margherita, Dante, Beniamino, la mostra Pupella e i loro genitori. Altro che famiglia Barrimore.
Come tutte quelle troppo numerose, però, anch’essa soffre della triste dispersione. Pupella ha un solido motivo per consolarsi: di figli – lo abbiamo detto – ne ha uno solo.
Quasi tutti i componenti della famiglia Maggio meriterebbero una biografia. Ci limitiamo ad accennare a Rosalia nata a Palermo nel 1921 e spentasi a Napoli nel 1995 grande attrice di cinema e teatro. Rosalia era la penultima dei componenti della famiglia Maggio, i cui capostipiti erano Mimì e Antonietta: sorella di Enzo, Dante, Beniamino, Pupella, e della più piccola Margherita; era famosa per la sua avvenenza e bellezza. Nacque a Palermo, perché i suoi genitori erano in tournèe lì.
Il debutto sulle scene avvenne, com’era d’uopo all’epoca. Prestissimo: a quattro anni salì sul palcoscenico tra le braccia della madre nel drammone Mastu Giorgio ‘o ferraro.

 

Quei Napoletani da ricordare  (vol. 2)

 

 

 

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