Carceri italiane
«Lo Stato chiede il pentimento dei detenuti, ma non si pente»

Intervista ad Achille della Ragione di Piera Scognamiglio

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A pochi giorni dal termine entro cui l’Italia è stata chiamata a eseguire quanto stabilito dalla sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti dell’uomo (“istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei a offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario”), Achille della Ragione, medico napoletano, attualmente agli arresti domiciliari, torna a parlare del problema delle carceri italiane tramite il suo collegio di avvocati.

“Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione”: il medico di Posillipo rievoca il pensiero di Voltaire, per sottolineare l’importanza di quell’attenzione illuminista ai diritti umani, contrariamente alla disattenzione odierna dello Stato italiano.

Per anni Achille della Ragione ha, infatti, denunciato la situazione carceraria dall’interno, scrivendo lettere ai quotidiani e pubblicando libri, avanzando proposte spesso utopistiche, e proprio oggi che i media riaccendono i riflettori su una tematica scottante per il nostro Paese, racconta la speranza che i detenuti ripongono in quella fatidica data del 28 maggio, quando scadrà la sentenza-pilota che condanna l’Italia per trattamenti inumani e degradanti nelle carceri.

«Una speranza, tuttavia, già disattesa», fa sapere della Ragione, da uno scenario in cui potrebbe prevalere la politica, convinto che l’Italia «otterrà una proroga per completare il percorso di adeguamento agli standard europei, piuttosto che pagare una penale di circa centomila euro per ogni sette detenuti che faranno ricorso».

Le misure sollecitate dallo stesso Presidente della Repubblica nel suo messaggio alle Camere dell’8 ottobre 2013, ovvero l’amnistia e l’indulto, consentirebbero al nostro Paese di rientrare nella legalità costituzionale, come sostengono i radicali, tuttavia, «trovano contraria l’opinione pubblica», afferma della Ragione, «e l’iter sarebbe comunque lungo, poiché occorrerebbero quattro passaggi parlamentari e i due terzi della maggioranza».

«Considerando che circa il 41% dei detenuti in Italia sono stranieri, sarebbe opportuno», a suo parere, «procedere al rimpatrio attraverso l’espulsione e l’estradizione, facilitando la reciprocità dei meccanismi tra Stati europei ed extra europei per far scontare agli stranieri la pena nel loro Paese».

In questo senso, l’ultimo decreto “svuota carceri” ha fatto molto, intervenendo sull'articolo 16 del Testo unico sull’immigrazione, aumentando i casi in cui ai detenuti stranieri si applica l’espulsione come alternativa al carcere quando devono scontare una pena, anche residua, non superiore ai due anni e cancellando il reato di immigrazione irregolare.
«Lo svuota carceri ha istituito, poi, la messa in prova per coloro che per la prima volta sono accusati di un reato punibile fino ai 4 anni e che potranno scegliere una via alternativa alla carcerazione svolgendo lavori socialmente utili, introducendo, inoltre, la detenzione domiciliare come pena principale da comminare già in sentenza».

Ma, come dichiarato in precedenza, della Ragione ritiene che lo “svuota carceri” «non sortirà alcun effetto, finché certi meccanismi rimarranno a discrezione del Tribunale di Sorveglianza, divenuto un anomalo giudizio di quarto grado, che fa sì che la maggioranza dei detenuti, nonostante ne abbia diritto, arrivi a fine pena, senza aver usufruito di un permesso, dell’affidamento in prova, della semilibertà, dei domiciliari, uscendone incattivito e pronto di nuovo a delinquere».

«Nel 2008, prima che il Tribunale del Riesame mi liberasse, ho vissuto per quindici giorni l’esperienza in alcuni padiglioni del carcere di Poggioreale, dove in celle di pochi metri quadrati, sono costretti a sopravvivere 16 detenuti, stipati come bestie, con letti a castello a quattro piani. Parlare di trattamento inumano è pleonastico», aveva dichiarato della Ragione in una precedente intervista.

Parole che oggi vanno considerate anche alla luce della procedura di mobilità per la direttrice del carcere di Poggioreale, Teresa Abate, avviata dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria); misura arrivata a poche settimane dall’ispezione della delegazione del Parlamento europeo, che aveva rilevato le difficili condizioni di vita dei reclusi.

Ma il problema del sovraffollamento, che vede l’Italia seconda solo alla Serbia, rivela una drammaticità che va ben oltre una questione di “spazi”.

Senza tener conto delle mille difficoltà cui va incontro un detenuto, che, come ricorda della Ragione, «spesso sopravvive con un vitto “spaventoso”, mancando di tutto, persino della carta igienica, il problema più grave, di cui bisognerebbe tener conto, riguarda proprio la finalità della pena detentiva, ovvero il reinserimento nella società».
Come sancito dall’articolo 27 della Costituzione, le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, ma ciò, sottolinea il medico, «diventa irrealizzabile nel momento in cui il detenuto viene abbandonato a sé stesso e alla propria condanna, se non addirittura incattivito da una serie di diritti che gli vengono negati e dalla lenta burocratizzazione di tutte le procedure che gli consentirebbero di ottenere un beneficio».

Affinché un condannato, una volta fuori dalle mura carcerarie, non commetta più crimini, è indispensabile che venga educato all’etica del lavoro durante il periodo di detenzione. Purtroppo solo nei grandi penitenziari si verifica quanto detto, e le cifre parlano chiaro: soltanto il 5% della popolazione carceraria lavora, potendo disporre di un piccolissimo reddito.

«Sono ancora in pochi», prosegue Achille della Ragione, «a conoscere l’utilità della legge Smuraglia, che concede sgravi fiscali e contributivi alle aziende che assumono i detenuti in semilibertà. Nonostante lo scorso anno si sia registrato l’impiego di ben 1280 detenuti in aziende e cooperative operanti in Italia, i numeri sono veramente bassi e lo Stato sembrerebbe non considerare questa opportunità che gli consentirebbe, tra l’altro, di risparmiare svariati milioni di euro all’anno. Il costo sociale del reinserimento è, infatti, inferiore al costo giornaliero di circa 250 euro che lo Stato paga per ogni detenuto in carcere».

Il medico di Posillipo si lascia anche andare a un suo personale dubbio sul regime carcerario degli ergastolani, ritenendo che riescano «a usufruire di maggiori benefici durante il periodo detentivo, spesso impiegati nei lavori in cucina o altro, capaci di mantenere le proprie famiglie all’esterno, arrivando anche a guadagnare 1000 euro al mese, quando le altre remunerazioni appaiono umilianti e non rieducative».

Infine, della Ragione denuncia, sempre attraverso i suoi avvocati, «lo stato di inefficienza dell’assistenza sanitaria, in particolare per quel 70% di detenuti che sono tossicodipendenti.

Gli operatori del SerT (Servizio per le tossicodipendenze) sono pochissimi rispetto al numero di coloro che necessitano di un’assistenza farmacologica e psicologica».

Così, il più delle volte, tutti i "buchi" dell’assistenza sanitaria sono riempiti «con la prescrizione di psicofarmaci, che inducono i tossicodipendenti all’inerzia più totale, completamente abbandonati a sé stessi, con il rischio che possano ricorrere da sé a dei mix di farmaci, pericolosi, in alternativa alla terapia del metadone».

«Ai detenuti che hanno commesso un reato viene richiesta una rivisitazione critica del proprio passato, dichiara della Ragione, lo Stato, tuttavia, non si pente del proprio operato». E così da colpevoli, si diventa vittime di un reato subito.

Piera Scognamiglio


 

 

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