| Agostino
          Beltrano: alcuni inediti e qualche aggiunta ad uno "stanzionesco
          falconiano"di
          Achille della Ragione
   segnala 
    questo articolo ad un amico   stampa
  una copia di questo articolo   
     invia un commento a questo articolo        torna
  indietro alla pagina del download   
    
      | 
          Agostino Beltrano
          nasce a Napoli il 25 febbraio 1607, da Francesco, di professione
          indoratore e da Vittoria De Grauso, zia di Andrea Vaccaro.Sposò nel 1626 Diana, alias Annella De Rosa, sorella di Pacecco e
          figlia di Tommaso, anche egli pittore, e di Caterina De Mauro che,
          rimasta vedova, sposò Filippo Vitale. Ebbe sei figli, quattro femmine
          e due maschi e fu inoltre cognato, oltre che di Pacecco, anche di
          Aniello Falcone e di Juan Do.
 Sua moglie Diana morì di malattia nel suo letto il 7 dicembre 1643, e
          questo particolare, scoperto dal Prota Giurleo1,
          al quale si debbono anche tutte le altre notizie anagrafiche, fa
          cadere come inverosimile e partorita dalla fertile fantasia del De
          Dominici la leggenda del truculento uxoricidio perpetrato dal Beltrano,
          accecato dalla gelosia per le attenzioni rivolte alla moglie dal suo
          maestro Massimo Stanzione.
 Il Beltrano si trovò invischiato così in una ragnatela di parentele (fig.
          1) con artisti napoletani di primo piano attivi a Napoli nel terzo
          e nel quarto decennio che finirono per influenzarsi a vicenda.
 
            
              |  fig.1 albero genealogico
 |  
 fig. 10 Lot e le figlie |  Per Beltrano, oltre a
          questi intrecci parentali, che si trasformarono in influssi reciproci,
          fu però molto importante per la sua maturazione stilistica la
          vicinanza, in occasione dei lavori nella cattedrale di Pozzuoli, che,
          cominciati nel 1635 si protrassero per molti anni, con il Lanfranco,
          con Artemisia Gentileschi e con Massimo Stanzione.Il De Dominici lo include tra gli allievi di Stanzione e ne parla
          nella vita di Pacecco De Rosa, definendolo tra i migliori scolari del
          maestro2. Gli storici hanno
          ritenuto che la sua prima formazione fosse avvenuta presso il Vitale,
          ma di recente un documento ha evidenziato che il Beltrano,
          quattordicenne, fu messo a bottega nel 1621 assieme a Diana De Rosa,
          diciottenne, da Gaspare De Populo3,
          pittore del quale conosciamo ben poco, se non che fu legato allo
          Stanzione, di cui tenne a battesimo il primogenito.
 La critica si è da tempo impegnata a ricostruire la personalità
          artistica del Beltrano4 ed ha
          distinto una fase naturalista, contigua ai modi falconiani ed un
          secondo periodo più propriamente stanzionesco, contrassegnato da un
          impreziosimento cromatico e da un ingentilimento delle fisionomie e
          dei sentimenti, culminante nella spettacolare tela di "Lot e le
          figlie" di collezione Molinari Pradelli (fig. 10).
 Il presente studio, oltre alla presentazione di alcuni inediti ed alla
          identificazione di numerosi caratteri patognomonici utili al
          riconoscimento dell'artista, si propone di allargare l'orizzonte della
          fase falconiana, che riteniamo comprenda gran parte della carriera
          dell'artista, almeno fino al 1650.
 A conferma di tale asserzione sono comparsi negli ultimi anni sul
          mercato numerosi dipinti siglati o assegnabili con certezza al
          Beltrano, dei quali tratteremo brevemente, quasi tutti contraddistinti
          da spiccati caratteri naturalisti.
 La prima tela esaminata (fig. 2) è un "Martirio di San
          Sebastiano" passato sul mercato5
          nel 1992 con un'attribuzione al Gargiulo del Brigante, il quale
          affermava: "Questo importante dipinto del celebre maestro
          napoletano, che in alcuni particolari mostra affinità col
          "Martirio di San Lorenzo" della Banca sannitica di Benevento
          siglato "DG", risale probabilmente ai primi anni del sesto
          decennio del secolo".
 Nel 1997, in occasione della stesura del catalogo della collezione ove
          il quadro era pervenuto6, i
          principali "napoletanisti" espressero la loro opinione sulla
          paternità del dipinto7.
          Pacelli e Pavone confermarono la autografia spadariana, la Daprà,
          specialista dell'artista, avanzò l'ipotesi di Agostino Beltrano in
          parte confermata da Spinosa, che in un primo tempo aveva pensato
          genericamente al Maestro dei martirî. Leone De Castris collocò il
          dipinto al 1635 ed evidenziò la presenza nell'opera di caratteri
          falconiani, battistelliani e cavalliniani. Ed infine, originale
          l'ipotesi di Gennaro Borrelli, che parlò di una esercitazione della
          bottega di Aniello Falcone, sottolineando l'errata incidenza della
          luce e la pessima esecuzione dell'albero sullo sfondo, definito
          bituminoso.
 Nel 1998 è comparsa, presso un antiquario a Roma, una replica
          autografa del dipinto (fig. 3) di eguali dimensioni, identica
          nell'incidenza della luce ed in ogni più minimo particolare, con la
          composizione leggermente spostata verso sinistra, così che nel primo
          dipinto compaiono taluni particolari, come l'uomo col turbante, mentre
          nel secondo vi è un più esteso stralcio di panorama e l'ampia
          boscaglia sullo sfondo, non più bituminosa, presenta viceversa un
          trattamento del fogliame più accurato.
 
            
              |   fig.2 martirio di San
                Sebastiano |  fig.3 martirio di San Sebastiano bis
 |  Ed infine, nel 1999, il passaggio in asta8
          di una scena di supplizio (fig. 4) identificabile come
          "Martirio di Santa Apollonia9,
          con in alto l'identico gruppo di angioletti (fig. 5) e sulla
          destra lo stesso cavaliere nascosto dietro la bandiera rossa, che sono
          presenti nel "Martirio di San Sebastiano", ha permesso di
          riconoscere lo stesso pittore come autore dei tre dipinti.
 Molto importante la presenza del cavaliere sulla destra con elmo e
          bandiera, simbolo del potere romano, (derivata da alcune celebri tele
          del Gargiulo), il quale sembra volersi nascondere dietro al drappo
          rosso, con un atteggiamento che compare identico anche nella grande e
          famosa pala di Pozzuoli rappresentante "Il miracolo di
          Sant'Alessandro", firmata e documentata al 1649.
 
            
              |   fig.4 martirio di
                Santa Apollonia | 
 fig.5 gruppo di
                angioletti |  Numerose altre figure presenti nel "Martirio di Santa
          Apollonia" permettono l'assegnazione della tela con certezza al
          Beltrano. Esse sono il fanciullo a dorso nudo in primo piano sulla
          destra, di vaga ascendenza battistelliana e, poco più che abortito,
          sulla sinistra il fantolino che si avvicina alla scena a braccia
          protese e che ricompare identico nel già citato "Miracolo di
          Santo Alessandro" e nell'affresco rappresentante "Il
          pagamento del tributo a Sennacherib" (fig.6) di Santa
          Maria degli Angeli a Pizzofalcone, documentato agli anni 1644-'45. Il
          volto della Santa pronta al martirio è sovrapponibile alla fisionomia
          della figura femminile presente nel "Sacrificio di Mosé",
          siglato, (fig. 7) del museo di Budapest, identificato dal De
          Vito nel 1984 ed alla Rachele del "Giacobbe e Rachele al
          pozzo" del museo di Besançon (fig. 8), assegnato già dal
          1963 al Beltrano dal Volpe. Infine l'uomo barbuto che attizza le
          fiamme e l'altro scherano sulla destra che incombe sulla Santa sono
          modelli adoperati spesso dal Beltrano, che li riproduce più volte
          nelle sue opere dal "Martirio dei Santi Gennaro, Procolo e
          Filippo " (fig. 9) documentato al 1635, al "Miracolo
          di Sant'Alessandro", al "Giacobbe e Rachele al pozzo".
 
            
              |   fig.6 pagamento del tributo a Sennacherib
 | 
 fig.7 Sacrificio di
                Mosé |  
              |   fig.8
                Giacobbe e Rachele al pozzo | 
 fig.9Martirio dei Santi Gennaro, Procolo e Filippo
 |  Riteniamo di aver identificato con sufficiente sicurezza una serie di
          prototipi patognomonici: dal gruppo di angioletti, al cavaliere che
          timidamente si nasconde dietro la bandiera, dal fanciullo a dorso nudo
          sempre in primo piano, al volto dolcissimo di fanciulla, ai personaggi
          barbuti, che permettono, quando presenti in tele in cerca di
          attribuzione, di proporre il nome del Beltrano con una ragionevole
          probabilità di essere nel giusto.
 Altri due caratteri meno specifici, ma sempre indicativi, nelle opere
          del nostro artista, sono i turbanti orientaleggianti, presenti non
          solo nei quadri in esame e nelle tele "falconiane", ma anche
          in dipinti tardi della fase stanzionesca come il "Lot e le
          figlie" ed il particolare modo di rappresentare le dita dei
          piedi, che ad un attento esame può far trapelare l'autografia di una
          composizione.
 Di recente è comparsa, sul mercato antiquariale napoletano, una tela
          di grandi dimensioni (cm 148-195) rappresentante una Battaglia tra
          cavalieri (fig. 17), firmata "Belt, la quale costituisce
          la più importante acquisizione al catalogo del nostro artista degli
          ultimi anni. Essa, oltre a mostrarci un Beltrano in piena forma, con
          colori squillanti e ben acconci contrasti chiaroscurali, emulo della
          lezione impartita dal Falcone e dal De Lione, sommi specialisti del
          settore, ci permette di attribuirgli con certezza alcuni altri
          dipinti: dal Martirio di San Gennaro ed i suoi compagni (fig. 22),
          già assegnato a lui da Spinosa, in cui compare sullo scudo dei
          combattenti lo stesso mascherone di vecchio contrassegnato dalla
          firma" Belt", all'Episodio della vita di Sinoringe (fig.
          21), precedentemente creduto del Gargiulo dal Sestieri, autore
          della monografia su Micco, il quale ha successivamente riconosciuto il
          quadro, eseguito dal Beltrano, "legato alla medesima temperie
          culturale e al medesimo gusto rappresentativo".
 
            
              |  
 fig.17
                battaglia di cavalieri |  fig.14
                Caratteri falconiani
 |  
              |  fig.22
                martirio di San Gennaro e dei suoi compagni
 |  fig.21
                episodio della vita di Sinoringe
 |  Nella tela in esame possiamo constatare per la prima volta,
          nell'ardito gioco di macchie cromatiche, una influenza dello stile del
          Grechetto, presente a Napoli nel 1635, circostanza che ci permette di
          collocare cronologicamente la Battaglia del Beltrano negli inoltrati
          anni Trenta.
 Nel dipinto è possibile ancora leggere una serie di richiami
          ispirativi molto lontani dalla lezione di Massimo Stanzione, che
          contrassegnerà una parte del percorso successivo del Beltrano. Essi
          sono, da un lato, l'adesione ad antiche suggestioni tardo
          manieristiche, presenti nei lavori del Corenzio e del Cavalier d'Arpino
          e ben rappresentate dagli aggrovigliati contorcimenti dei combattenti,
          fino ai prelievi letterali dall'Oracolo delle battaglie (vedi il
          cavallo bianco impennato sulla destra) e dalla lezione naturalistica
          del suocero, Filippo Vitale. E per finire una consonanza di stile con
          la fase primitiva del Gargiulo, celebre battaglista secondo le fonti,
          ma con poche opere fino ad oggi reperite di quel genere e con il
          Cavallino, dal quale prende il gusto per la pennellata elegante e per
          il cromatismo delicato.
 Un'opera importante che allarga considerevolmente lo sguardo degli
          studiosi su un artista, il cui percorso, ancora poco noto, richiede
          ulteriori focalizzazioni ed approfondimenti e sicuramente ci riserva
          altre gradevoli sorprese.
 Il Beltrano è attivo in quegli anni, dal 1635 al 1655, durante i
          quali a Napoli una folla di stanzioneschi più o meno abili lavora
          ancora sotto la tutela dell'autorità del Ribera, anche lui convertito
          al pittoricismo, e dell'influsso del genio dell'astro nascente:
          Bernardo Cavallino.
 Ogni pittore guarda gli altri e copia dettagli e brani di successo
          dalle tele dei colleghi; ci sono differenze impercettibili di
          sfumature, di parlata, di vernacolo stretto; soltanto
          "l'orecchio" esperto può dirimere la matassa e distinguere
          le variazioni di accento e di desinenza. Col Beltrano il problema a
          volte si complica, in mancanza di uno stile personale; infatti il
          nostro artista può essere definito un "pittore da traino",
          perché segue pedissequamente le mode imitando, a volte fino al
          plagio, l'artista di successo, ai cui modi pittorici sa adattarsi con
          un'abilità tecnica che con il tempo diventa sempre più sofisticata.
 Questo percorso, che è segno di una mancanza di spessore culturale,
          possiamo seguirlo nell'analisi dei suoi dipinti, nei quali imita
          Falcone (figg. 2-3-14-17), Gargiulo (figg.2-3-4),
          Grechetto (figg.17), De Lione (figg. 11-12), Stanzione (fig.
          13) e Cavallino (fig. 10)10.
 
            
              |  
 | fig.11 Mosè fa scaturire l'acqua
 |  
              |  | fig.12 David
                festeggiato dalle ragazze ebree |  
              |  | fig.19 Adorazione del
                vitello d'oro |  
              | 
 | fig.13 sacrificio di Isacco
 |  Un carattere distintivo precipuo nei confronti del Gargiulo è il
          trattamento del paesaggio e delle figure. Se esaminiamo infatti la
          stesura del paesaggio nei due martirî di San Sebastiano (figg.
          2-3) ci accorgiamo che esso presenta delle indubbie analogie con
          quello esibito nel "Lot e le figlie" (fig. 10) in
          collezione Molinari Pradelli, come pure con quello dei due pendant
          "Adorazione del vitello d'oro" (fig. 19) ed il
          "Ritorno dalla terra di Canaan" (fig.20) di
          collezione Baratta a Napoli11,
          nei quali si evidenziano affinità formali con i piccoli paesaggi
          spadariani tipicizzati da una folta e rigogliosa vegetazione dai rami
          contorti. A riguardo del Beltrano paesaggista, segnaliamo che negli
          ultimi anni sono passati sul mercato diversi dipinti di notevole
          livello, che illustreremo in un nostro prossimo articolo, siglati o
          attribuibili con ragionevole possibilità al Nostro Agostino, il
          quale, lentamente, comincia a delinearsi come specialista.
 Nel trattamento dei personaggi il Beltrano, a differenza delle esili
          ed affusolate figurine spadariane di evidente derivazione callottiana
          dimostra le sue solide basi falconiane12,
          predilige un formato grande ed è molto accurato nel dipingere gli
          abiti e le fisionomie, ciò nonostante mostra lacune ed incertezze
          nella definizione degli arti, specie se presi di scorcio.
 A riguardo dell'attività di Beltrano come frescante il De Dominici ci
          riferisce che egli fu attivo in quattro complessi, non tutti oggi
          visibili, ma il riconoscimento di alcuni suoi caratteri stilistici
          originali, quali i disegni delle figure affusolate ed una cromia
          chiara con pochi toni di base, molto vicina allo stile tardo dello
          Stanzione, ci permette di cercare di identificarlo in altre
          decorazioni, come ha supposto il Willette che, sulla scorta di
          documenti di archivio13 che
          attestano girate di pagamento dallo Stanzione al Beltrano, ritiene di
          poter riconoscere la mano del nostro artista in altri cicli di
          affreschi ed anche in alcune delle quindici tavole di rame di piccolo
          formato con "Scene della passione di Cristo e della vita della
          Vergine", che attorniano la celebre pala della "Madonna del
          Rosario e Santi" dello Stanzione, conservata nella cappella
          Cacace nella Chiesa di San Lorenzo Maggiore a Napoli. (In contrasto
          con l'opinione di Nicola Spinosa che, viceversa, vede la mano del
          Marullo).
 
            
              | 
 fig.20 ritorno dalla
                terra di Canaan |  fig.15 Immacolata concezione
 |  Individuati oggi questi caratteri distintivi, forse una attenta
          ricerca in provincia potrà riservarci in futuro qualche altra
          sorpresa che allarghi il catalogo dell'artista, già cresciuto
          notevolmente negli ultimi anni nell'ambito dei lavori da cavalletto,
          per i quali, volendo ipotizzare un plausibile itinerario cronologico,
          potremmo collocare agli esordi della attività artistica del Beltrano14
          il "Martirio di S. Gennaro e dei suoi compagni"15
          di collezione privata napoletana, nel quale sono presenti molte
          ingenuità nella costruzione delle immagini e nella resa pittorica;
          mentre verso la fine della carriera va posto il "Lot e le
          figlie" di collezione Molinari Pradelli (fig. 10)
          capolavoro dell'artista e come ultima opera vogliamo proporre, non la
          grande pala della chiesa di S. Maria della Sanità16,
          parzialmente incompiuta e documentata al 1654, raffigurante "I
          Santi Biagio, Raimondo e Antonio" bensì una "Immacolata
          Concezione" (fig.15) allogata in S. Maria la Nova sulla
          destra della parete del coro17,
          la quale per evidenti motivi iconografici è databile a non prima del
          1662.
 Questa attribuzione, se confermata, sposterebbe di molto in avanti la
          data della morte del Beltrano, forse fino al 1665 indicato dal De
          Dominici, in forte contrasto con il 1656 comunemente accettato dagli
          studiosi.
 Ed infine una constatazione, stranamente fino ad ora sfuggita agli
          studiosi, un ultimo squarcio di luce su questo personaggio che
          lentamente sta riemergendo dalle tenebre ove per tanti anni è stato
          dimenticato: nella chiesa della Pietà dei Turchini, nella IV cappella
          a sinistra entrando, si trova, tra altri affreschi del Beltrano
          documentati al 1646, un "San Nicola che comunica i fedeli"
          dove evidentissima sulla destra della composizione si staglia la
          figura di un nobile personaggio nella classica posa dell'autoritratto (figg.
          16-18), il volto del pittore ancora giovane somigliantissimo
          all'unica sua immagine che conosciamo18,
          che ci guarda beffardo da secoli senza che noi ce ne fossimo accorti.
 
            
              |  fig.18 autoritratto (a sinistra)
                criptato
 |  fig.16 San Nicola che comunica i fedeli
 |  MI PREME RINGRAZIARE VIVAMENTE I
          MIEI AMICI DANTE CAPORALI E CIRO PISCOPO PER IL LORO AIUTO NEL METTERE
          IN ORBITA... SUL WEB QUESTO ARTICOLO.
 NOTE
 
            
              1 Prota
              Giurleo U., Un complesso familiare di artisti napoletani del
              secolo XVII, "Napoli - Rivista Municipale", 1951, pp.
              25-26.
              2 De
              Dominici B., Vite de' pittori, scultori e architetti napoletani,
              Napoli (1742 - 1745) III, pp. 96-100, 111-113.
              3 Delfino
              A., Documenti inediti su artisti del Seicento tratti dall'Archivio
              di Stato di Napoli e dall'Archivio storico del Banco di Napoli, in
              Ricerche sul Seicento napoletano, p. 30, Milano 1989.
              4 I
              principali contributi alla conoscenza del Beltrano sono stati
              forniti da:a) De Dominici B., Vite de' pittori, scultori e architetti
              napoletani, Napoli (1742-1745), III tomo, pp. 96-100, 111-113;
 b) D'Addosio G.B., Documenti inediti di artisti napoletani del
              XVII e XVIII secolo, Archivio per le province napoletane, XXXVII
              (1912) p. 608;
 c) Ortolani S., La pittura napoletana dei secoli XVII-XVIII-XIX,
              Napoli 1938, p. 72;
 d) Prota Giurleo U., Un complesso familare di artisti napoletani
              del secolo XVII, "Napoli rivista municipale", 1951, pp.
              25-26;
 e) Prota Giurleo U., Del pittore Passante e del suo maestro Beato,
              Il Fuidoro, 1954, 5/6, pp. 135-138;
 f) Bologna F., Francesco Solimena, Napoli 1958, pp. 33-34, nota
              12;
 g) Volpe C. - Un dipinto firmato ed una attribuzione per Agostino
              Beltrano, Paragone, XIV (1963), n. 163, pp. 141-43;
 h) Engass R., Dizionario biografico degli italiani, ad vocem, 8,
              Roma 1966;
 i) Causa R., Opere d'arte nel Pio Monte della Misericordia a
              Napoli, Napoli 1970, pp. 89, n. 7, tav. XVIII;
 l) Novelli M., Agostino Beltrano "stanzionesco" da
              riabilitare, Paragone, XXV (1974) pp. 67-82;
 m) Volpe C., Un'altra opera firmata di Agostino Beltrano, Paragone
              XXV (1974) n. 287, pp. 82-85;
 n) Delfino A., La Chiesa di Donnaregina Nuova, in Ricerche sul
              Seicento napoletano, Milano, 1983, pp. 110-111;
 o) Novelli Radice M., Pittura napoletana del Seicento: inediti di
              Agostino Beltrano e Nunzio Russo, Arte cristiana, LXXII (1984) n.
              702, pp. 143-149;
 p) Ambrosio L., in Civiltà del Seicento a Napoli, catalogo della
              mostra, Napoli 1984, I, pp. 117-118, pp. 193-196;
 q) De Vito G., Ritrovamenti e precisazioni a seguito della prima
              edizione della mostra del Seicento napoletano, in Ricerche sul
              Seicento napoletano, Milano, 1984, p. 15 e foto n. 58-61;
 r) Spinosa N., La pittura napoletana del Seicento, Napoli 1984 -
              tav. 27-45;
 s) Grabski Y., On Seicento paintings in Naples: some observations
              on Bernardo Cavallino, Artemisia Gentileschi and others, "Artibus
              et Historiae" VI, 1985, 11, pp. 23-63;
 t) Spinosa N., Il Seicento, la pittura in Italia, tomo II, Milano
              1988, p. 632;
 u) Ambrosio L., Un nuovo documento per Agostino Beltrano e
              un'altra opera firmata, in Scritti di Storia dell'arte in onore di
              Raffaello Causa, Napoli 1988, pp. 217-222;
 w) Nappi E., in Ricerche sul Seicento napoletano, p. 28 (Riepilogo
              di tutti i documenti pubblicati a quella data);
 v) Willette P.C., in Massimo Stanzione, l'opera completa, Napoli
              1998, pp. 126-127;
 z) della Ragione A., Il secolo d'oro della pittura napoletana,
              Napoli 1998-1999, I fasc. p. 83, fig. pp. 27-28 e copertina, III
              fasc. pp. 201-203 e 205;
 z bis) Sestieri G., Battaglie - Maestri italiani del XVII e XVIII
              secolo, Brescia 2002, pp. 24-27.
              5 Asta
              Semenzato, Roma 12 ottobre 1992, lotto 29 (cm 138x184).
              6 Cfr.
              Catalogo della Collezione della Ragione, Napoli 1997, copertina,
              pp. 28-33 e fig. 17-21.
              7 Idem, cfr.
              pp. 28 e 30.
              8 Asta
              Finarte, Napoli 9 novembre 1999, lotto 498 (cm 114x150).
              9
              L'identificazione della martire rappresentata con Sant'Apollonia
              è resa facile dalla contemporanea presenza del cavadenti e del
              rogo.
              10 Per i
              raffronti intendiamo riferirci: per il Gargiulo ai due martirî di
              San Sebastiano ed al "Martirio di Sant'Apollonia" (lato
              destro della composizione); per il Falcone al gruppo di figure a
              sinistra nei due martirî di San Sebastiano; per De Lione ai due
              dipinti conservati nel museo Diocesano di Salerno, "Mosè fa
              scaturire l'acqua dalla roccia" e "Lot si separa da
              Abramo", ed inoltre il "David festeggiato dalle
              fanciulle ebree" del Kunsthistorisches Museum di Vienna; per
              Stanzione "Il sacrificio di Isacco" del museo di
              Salisburgo; per Cavallino "Il Lot e le figlie" della
              collezione Molinari Pradelli.Infine nel "San Biagio fra i Santi Antonino e Raimondo",
              della chiesa di Santa Maria della Sanità a Napoli, si può
              apprezzare un naturalismo temperato alle suggestioni
              pittoricistiche e alle prime soluzioni del classicismo
              romano-bolognese, che in quel periodo cominciano ad avvertirsi
              nell'ambiente napoletano.
              11 Cfr.,
              Catalogo della mostra Civiltà del Seicento, Napoli 1984, pp.
              194-195.
              12 Cfr., Il
              gruppo degli arcieri nella parte sinistra dei due martirî di san
              Sebastiano.(fig.14)
              13 A.S.B.N.,
              Banco dello Spirito Santo, giornale matr. 328, partita di cento
              ducati estinta il 27 agosto 1643. Documento pubblicato da Delfino
              1986, p. 115 n. 40.
              14 La
              critica generalmente considera come opera più antica del Beltrano
              la grande pala del Duomo di Pozzuoli, raffigurante "Il
              martirio dei Santi Gennaro, Filippo e Proculo" documentata
              nel 1635: ma essa è opera nella quale l'artista si mostra già in
              possesso di grande maturità, per la sua straordinaria ricchezza
              cromatica e per la notevole resa naturalistica.
              15 Il
              dipinto (cm 128x197) passato in asta presso Finarte a Milano, è
              stato assegnato al Beltrano da Spinosa, nel cui repertorio del
              1984 lo si può studiare al n. 42.
              16 Per le
              notizie sulla tela (cm 310x230) consulta la scheda a p. 83 e la
              foto a colori a p. 28 nel primo fascicolo del "Secolo d'oro
              della pittura napoletana", della Ragione A., Napoli 1998.
              17
              L'"Immacolata concezione con Papa Alessandro VII e Filippo IV",
              (Cogliamo l'occasione per correggere una nostra precedente
              imprecisione quando abbiamo indicato Filippo V e non IV nel
              trattare dell'argomento [cfr. Il secolo d'oro, III fasc. p. 203],
              seguendo una fallace indicazione di Willette) è stata assegnata
              dalla Novelli Radice al quasi sconosciuto Giuseppe Beltrano,
              fratello di Agostino, in base ad un livello di qualità dell'opera
              molto modesto.È facile constatare che la tela in esame trasuda lo stile di
              Agostino da tanti dettagli: dal volto della Vergine, identico a
              quello delineato nell'affresco della "Incoronazione della
              Vergine", al gruppo degli angioletti simile nei
              contorsionismi a tanti altri che possiamo rintracciare anche in
              dipinti da cavalletto ed infine la fisionomia del re Filippo IV,
              immortalata più volte dal Velázquez, col suo caratteristico
              prognatismo, che richiama a viva voce il ritratto equestre di
              Carlo Di Tocco, conservato al Pio Monte della Misericordia, il
              quale fu eseguito dopo il 1642.
 In particolare dobbiamo considerare i due personaggi raffigurati
              ai piedi della Vergine, il Papa Alessandro VII, il quale si
              espresse definitivamente sull'iconografia rappresentata nel
              dipinto l'8 dicembre 1661 con la Sollicitudo omnium ecclesiarum ed
              il re Filippo IV che fece pressioni a lungo sul pontefice affinché
              si pronunciasse sulla questione.
 Risulta pacifico concludere che l'opera in esame non ha potuto
              vedere la luce prima del 1662, in accordo con il De Dominici che
              riferisce che l'artista morì nel 1665. Bisognerà perciò
              accettare l'ipotesi che Beltrano superò indenne l'infuriare della
              peste e visse molti anni dopo il fatidico 1656, che i libri di
              storia dell'arte continuano ad indicare come data del suo decesso.
              18 Il
              Giannone nella tavola VI, fig. 24, della sua opera sui pittori
              napoletani ci fornisce l'unica immagine che possediamo
              dell'artista, senza rivelarci da dove l'abbia presa.
               |  Torna su  
    
       |