Viaggio nella spazzatura campana

di Achille della Ragione

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prefazione

cap.1 il passato

cap.2 Professione stakeholder

cap.3 il presente

cap.4 l'emergenza infinita

cap.5 Rischio malattie

cap.6 Come affrontare il problema?

cap.7 Termovalorizzatori:si o no?

cap.8 Riciclare necesse est

cap.9 Raccolta differenziata

cap.10 Le quattro R del WWF

cap. 11 Opzione zero

cap.12 Una rivoluzione culturale

 

… la Terra non  appartiene all’uomo è l’uomo che appartiene alla Terra…

(Ammonimento del Capo indiano Seattle al Presidente degli Stati Uniti nel 1854)

 

 

Prefazione

L’idea di questo viaggio mi è balenata durante la presentazione del libro Gomorra di Roberto Saviano alla rassegna letteraria Libri d…amare, che si tiene a Lacco Ameno nei mesi estivi. Rimasi in particolare colpito da un capitolo che esaminava il business dello smaltimento dei rifiuti tossici in Campania ad opera della camorra, complici le istituzioni. Sembravano novità assolute, poi, navigando su internet, potetti constatare che non vi era niente di inedito, come chiunque può accertarsi consultando la bibliografia, senza nulla togliere all’incredibilità degli episodi raccontati.

Naturalmente ero già  al corrente che lo smaltimento della spazzatura in Italia, ma soprattutto in Campania, ha assunto negli ultimi anni proporzioni tali da diventare un problema molto grave, fonte di preoccupazione sociale, ecologica e sanitaria. Avevo seguito sulla stampa l’interminabile diatriba sulla costruzione del termovalorizzatore di Acerra e decine di volte, come un qualsiasi cittadino, avevo dovuto fare i conti con cumuli di immondizia agli angoli delle strade, sempre più minacciosi e puteolenti.

Mi ero chiesto come mai nessun quotidiano, al di là della cronaca asettica degli avvenimenti, avesse ritenuto di farsi promotore di una grande inchiesta per rendere nota ai cittadini la verità sulla complessa vicenda. Purtroppo da noi i cittadini sono ancora ritenuti sudditi da tenere all’oscuro delle beghe di potere; meno sanno, meglio è. Fui colpito dall’enormità delle cose narrate: residui nucleari, fusti tossici provenienti da mezza Europa, incendio criminale delle discariche, addirittura scheletri umani e teschi in libera uscita nelle campagne.

Decisi allora di intraprendere un lungo viaggio  nel pianeta monnezza alla ricerca della verità, prima perché bramavo raggiungerla e poi per poterla comunicare agli altri, ai sudditi…, che solo al momento del voto possono, se vogliono, divenire cittadini. Ho navigato giorni e giorni su Internet scaricando  centinaia di notizie, ho consultato gli atti già depositati delle inchieste giudiziarie, ho fatto tesoro dell’archivio telematico dei Carabinieri ed intervistato decine di politici, imprenditori, studiosi del problema, abitanti delle zone interessate.

Credevo di incontrare ostacoli e reticenze, viceversa nessuno degli interlocutori si è sottratto al confronto, anche se i più importanti hanno imposto di confidarsi a quattro occhi, anzi a quattro orecchie, perchè le cose riferite erano scottanti.

Ho inteso concludere proponendo, nell’ultimo capitolo, un modello di trattamento dei rifiuti esemplare, che possa essere adottato a Napoli, come al Cairo o a Tokyo, a Milano come a Città del Messico, un cambiamento rivoluzionario necessario ed improcrastinabile davanti ad un mondo dominato da un capitalismo spietato ed un consumismo suicida, che in pochi anni si avvia a divorare tutte le risorse naturali e a divenire una pattumiera planetaria.

Il viaggio è finito e credo, per quanto possibile, di aver raggiunto la verità.

Nel libro la trasferisco a tutti i lettori, sperando che sappiano farne buon uso.

Napoli 1 novembre 2006                                  Achille della Ragione               

 


Il passato - 1

La spazzatura è il segno tangibile e spesso maleodorante dell’esito frenetico di una civiltà consumistica destinata a divorarsi ed a distruggersi. La Campania è la capitale dei rifiuti ed il ricettacolo di tutte le sostanze tossiche e di tutti gli scarti della produzione della nazione.
Negli ultimi decenni ne sono stati scaricati in quantità vertiginosa, responsabili, non solo la malavita organizzata e la classe politica collusa, ma tutti noi che non abbiamo saputo controllare questo flusso impetuoso, che ha degradato in maniera irrimediabile l’ambiente ed ha compromesso il futuro dei nostri figli, che dovranno scappare o convivere con sostanze velenose di ogni genere, inclusi gli scarti delle centrali nucleari.
Secondo le stime per difetto delle associazioni ambientaliste, se i rifiuti accumulati negli ultimi anni fossero riuniti a formare una montagna con una base di ben 30.000 metri quadrati, l’Everest con i suoi scarsi 9.000 metri impallidirebbe, perché questa montagnia mostruosa supererebbe i 15.000 metri di altitudine, una massa spaventosa ed inimmaginabile sparpagliata nelle nostre campagne e nelle degradate periferie delle nostre sfortunate città.
La maggior parte di questa schifezza si trova concentrata in poco più di trecento chilometri quadrati di estensione tra il casertano ed il perimetro urbano napoletano. I comuni più colpiti che gridano vendetta, oramai unicamente al cospetto di Dio, perché hanno perso ogni speranza nella giustizia degli uomini sono: Acerra, Casal di Principe, Castelvolturno, Cancello Arnone, Giuliano, Grazzanise, Marigliano, Nola, Qualiano, Santa Maria la Fossa e Villaricca.
Questo sporco business ha fruttato alla camorra ed alle ditte interessate in pochi anni circa 50 miliardi di euro, con un incremento annuo del 30%.
Tre clan sono responsabili dei traffici illeciti ed agiscono, almeno negli ultimi tempi, senza intralciarsi vicendevolmente.
I rifiuti creano colline artificiali o vengono stipati nella numerose cave abbandonate, che dopo aver sfregiato per decenni il solenne profilo delle montagne, vengono utilizzate per ospitare spazzatura compressa fino all’inverosimile. Alcune di queste cave contengono una quantità di rifiuti paragonabile al carico di 30.000 Tir, per intenderci una fila di autocarri senza soluzione di continuità da Napoli a Milano.
E quando le discariche sono colme ed andrebbero chiuse, ci pensano dei provvidenziali incendi appiccati da sconosciuti… a ridurre la massa ed a fare spazio a qualche altro migliaio di carichi. Sono incendi spaventosi, alti decine di metri e che durano ininterrottamente per giorni e notti, vomitando nell’aria una quantità impressionante di sostanze tossiche, tra cui la micidiale diossina, che si vanno poi a depositare al suolo, trasformando antiche terre, tra le più fertili d’Europa, in lande desolate.
Gli agricoltori non potendo proseguire il loro lavoro cedono volentieri a prezzi stracciati le loro proprietà alla malavita, la quale può così aprire nuove discariche e l’infernale processo continua così con rinnovata lena.
La zona delimitata dalle cittadine di Giugliano, Qualiano e Villaricca contiene 40 discariche, delle quali 30 con rifiuti estremamente tossici, che vengono continuamente incendiate da bande specializzate, a tal punto che la contrada è tristemente conosciuta come la terra dei fuochi e non vi è notte che non sia illuminata dal sinistro bagliore delle fiamme, che si sprigionano, attizzate dall’alcol e dalla benzina, come una micidiale bomba al napalm.
Scomparsa l’agricoltura sono comparse le malattie genetiche, le affezioni respiratorie, i tumori: una falcidia spaventosa ben più ampia di quella già tragica segnalata dalle Asl locali, che non tengono conto dei pazienti, numerosissimi, che preferiscono rivolgersi agli ospedali del nord.
Ed anche nel bestiame vi è stata una strage silenziosa ed una serie di malformazioni allucinanti. Per sincerarsene è inutile leggere le catastrofiche relazioni dei veterinari comunali, basta osservate un gregge e notare che più di una pecora presenta due teste.
Se percorriamo queste lande desolate possiamo identificare con l’ausilio semplicemente dei sensi il tipo di sostanza velenosa depositato.
A Villaricca da tempo è sorta una cospicua collinetta dall’odore rancido e nauseabondo, ma se tira molto vento, essa si divide in piccoli cloni pronti a ricostituirsi nuovamente. Avvicinandosi il puzzo diviene intollerabile e la sorpresa sbalorditiva: la nuova altura è infatti costituita da un’enormità di carte adoperate per pulire le mammelle delle vacche del regno di Bossi. Centinaia di allevamenti intensivi nei quali per anni vi è stata un’epidemia di mastite, per cui dai capezzoli, tra una mungitura e l’altra, fuoriusciva pus e latte, pus e sangue, oltre naturalmente a miliardi di batteri che trovavano nei fazzolettini un pabulum ideale per prolificare, producendo il classico odore putrefattivo della cangrena.
Tra Villa Literno e Castelvolturno, località con ambizioni turistiche, l’odore acido e penetrante dell’inchiostro toglie il fiato, soprattutto dopo un acquazzone, quando l’acqua evapora, carica di veleni micidiali di cui è infarcito il terreno, dopo che per anni è stato utilizzato come sversatoio a cielo aperto del toner di tutte le stampanti e fotocopiatrici del laborioso ed alacre nord, le cui industrie, quando devono liberarsi di rifiuti speciali, il cui smaltimento è particolarmente oneroso, trovano più semplice ed ecologico… incaricare quelle solerti ditte casertane con sede a Roma o all’estero che, per un tozzo di pane e con una fattura falsa gonfiata (tanto falliscono e si ricostituiscono periodicamente con insospettabili prestanomi) si incaricano di smaltieri i residui di produzione.
La terrificante conferma è venuta dalla recente operazione ”Madre Terra” coordinata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Questo puzzo così patognomonico è provocato dal cromo esavalente, un veleno che se respirato si fissa all’emoglobina dei globuli rossi, producendo difficoltà respiratoria e colpisce cute, polmoni, reni, dando luogo ad un repentino aumento di incidenza del cancro.
L’aumentata radiottivita di molti terreni richiede viceversa l’ausilio di un contatore geiger, che a volte sembra letteralmente impazzire, segno inequivocabile che in numerose discariche, tra buste di plastica e cartoni o innocenti rifiuti organici, sono state occultate scorie nucleari, provenienti dall’estero. Un allarme rosso, tenendo conto che metà del prezzo dell’energia prodotta da una centrale nucleare è imputabile al corretto stoccaggio dei rifiuti della fissione, ma se di questo problemuccio si fa carico qualche solerte società, napoletanissima, con sede in una capitale dell’Est, il guadagno è ingentissimo.
Ma ritorniamo alla semplice vista, basta uno sguardo per verificare che le campagne intorno Santa Maria Capua Vetere sono divenute la memoria storica dei nostri antenati.
Ben prima che i Nas di Caserta lo ufficializzassero, ci voleva attenzione per non inciampare in un femore, o addirittura contro un teschio.
I cimiteri del Nord, periodicamente, attraverso l’esumazione liberano i terreni dall’ingombro di scheletri oramai dimenticati da anni, senza parenti che possano reclamare, per creare nuove zone di sepoltura, per una clientela che non conosce crisi.
Il materiale andrebbe smaltito, incluse le bare infradiciate ed i lumini, attraverso costose ditte specializzate, ma anche in questo caso come rifiutare l’offerta di quei signori così eleganti ed educati, che assicurano lo samaltimento con rapidità ed efficienza ad un prezzo stracciato.
Ben prima della scoperta delle autorità tanti cittadini, indignati e timorati, si facevano il segno della croce, quando passavano accanto a questi terreni divenuti un gigantesco cimitero.
Se vogliamo entrare in contatto fisico con montagne di monnezza leghista, basta recarsi a Trentola Ducenta, dove grazie alle indagini del pm Donato Ceglie della Procura di Santa Maria Capua Vetere, si è scoperto che, in soli quaranta giorni, dalla Lombardia sono giunte 7000 tonnellate di rifiuti, molti dei quali estremamente pericolosi.
Per respirare l’aria mefitica delle pattumiere della città di Milano è sufficiente spostarsi a Grazzanise, dove per decenni è stata raccolta la metà della terra di spazzamento della città meneghima, mentre l’altra metà, a prezzi ben più alti, prendeva la via della Germania.
Ed infine una storiella ai limiti dell’incredibile raccontata da Roberto Saviano in Gomorra, miniera di notizie rese in forma di romanzo.
Un contadino stava arando il suo terreno quando la lama del vomere cominciò a disotterrare migliaia di banconote sbrindellate. L’anziano agricoltore era certo di essersi imbattuto nel tesoro sepolto della camorra e sorrideva beffardo, ma si era sbagliato, non sulla malavita, che centrava e come, ma su ciò che aveva trovato: si trattava infatti di denaro triturato proveniente dalla Banca d’Italia, tonnellate di banconote usurate e fuori corso, gettate lì a scaricare il micidiale piombo del quale sono intrise nei suoi innocenti cavolfiori.

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Professione stakeholder - 2

Per organizzare in maniera efficace, battendo la concorrenza, il traffico dei rifiuti, la criminalità organizzata si serve di cervelli educati nelle più celebri università, specializzati in politica ambientale…Naturalmente queste figure professionali, nuove nel mercato del lavoro, oltre alla teoria appresa alla Bocconi o alla Luiss, imparano molto precocemente a declassificare in maniera truffaldina i rifiuti tossici rispetto al catalogo europeo, il Cer, che detta le norme per lo smaltimento delle sostanze tossiche o a preparare false certificazioni, in grado di far passare per innocua spazzatura un carico di micidiali veleni.
Si chiamano stakeholder queste teste d’uovo, che i clan si contendono a fior di banconote, pur di usufruire dei loro preziosi servigi.
Quasi tutte le industrie producono rifiuti speciali, che richiedono molto denaro per essere correttamente smaltiti, dagli stabilimenti chimici alle concerie, dalle fabbriche di plastica agli allevamenti di bestiame, dagli ospedali alle fabbriche di pneumatici. Tra i materiali che più creano problemi ricordiamo: arsenico, cadmio, cobalto, cromo, mercurio, molibdeno, nichel, piombo, rame e zinco ed inoltre scarti di vernici, fanghi dei depuratori e scarti delle acciaierie.
I prezzi variano a secondo delle sostanze, da un minimo di 10 - 20 centesimi a chilo per i diluenti fino ad un euro per il pentafosfuro di fosforo. Naturalmente grazie alla consulenza di uno stakeholder le ditte possono risparmiare fino al 90%, oltre al non trascurabile vantaggio di lasciare ecologicamente intatti i territori limitrofi.
La catena di trasferimento verso il Sud dei rifiuti speciali parte dai trasportatori, i quali, dopo che i chimici hanno falsificato i documenti, trasformando un carico di rifiuti tossici in innocente immondizia, con i loro Tir stracolmi, giungono in Campania. Quindi i fusti velenosi vengono caricati su camion più piccoli, che li traghetteranno fin nelle viscere della discarica, eseguendo il lavoro più rischioso, per il quale vengono adoperati minori non imputabili. Gli autisti non scendono nemmeno dalla gabina di guida, perchè l’operazione di scarico è molto pericolosa, basta che un contenitore prenda una botta e perda della sostanza, per compromettere, inalandola, per sempre la respirazione.
L’inchiesta giudiziaria Eldorado 2003, condotta dal nucleo operativo ecologico dei Carabinieri diMiilano, ha acclarato che questo comportamento è oramai una regola che non ammette eccezioni, ma esso vige da oltre 15 anni, da quando nel 1991 un autista, tal Mario Tamburrini, finì in ospedale con gli occhi fuori dalle orbite ed ustioni per tutto il corpo, a causa della fortuita apertura di un fusto tossico vicino al viso, che lo aveva bruciato a secco, senza provocare fiamme.
Questi autisti novelli vengono mandati al massacro per qualche manciata di soldi: 200 - 300 euro. E loro si sentono molto importanti, con quel denaro potranno comprare la motocicletta, la dose di eroina o andare a puttane, come i grandi, ignari che di li a pochi anni, il cancro li divorerà e gli ultimi giorni della loro breve esistenza avranno come compagna la flebo di chemioterapici ed il tardivo rimorso di aver sprecato una vita.
Alcune volte per facilitare queste operazioni criminali non è necessario neppure corrompere l’intera classe politica, basta un funzionario compiacente, un tecnico corrotto, un impiegato volutamente distratto e può andare in porto una grossa operazione. Nei tempi brevi questo smaltimento selvaggio delle scorie ha permesso a tante aziende del Nord di rimanere competitive sui mercati internazionali, di resistere disperatamente alla concorrenza delle merci cinesi, che non conoscono cosa sia l’inquinamento industriale, a parte i diritti sindacali.
In ultima istanza ha permesso di contenere il numero dei disoccupati in Italia. A pagarne le conseguenze sono state, sono e saranno le popolazioni meridionali, costrette a vivere in condizioni ambientali contaminate irrimediabilmente, senza tenere conto dei cumuli di spazzatura ad ogni angolo di strada, che degradano il vivere civile.
Gli stakeholder campani sono i più efficienti d’Europa e da loro sono venuti ad imparare da mezzo mondo, con i cinesi in prima fila.
Il modello criminale napoletano in un’epoca di capitalismo sfrenato e di consumismo dissenato come la nostra ha avuto successo e si sta espandendo a macchia d’olio. Fermarlo prima che sia troppo tardi è interesse comune italiano ed europeo.
Come nel caso delle griffe contraffatte che da Napoli invadono mezza Europa, muovendo capitali da brivido, grazie ad una criminalità sempre più audace ed efficiente, che ha trasformato in pochi anni il porto della nostra città nel crocevia dei traffici illeciti internazionali.
Queste considerazioni, amare quanto reali, non sono frutto di coraggiose indagini giornalisti o sociologiche, ma possono leggersi nelle carte processuali delle molte indagini aperte dalla magistratura, indagini difficili, per il velo spesso di omertà che tradizionalmente circonda le attività malavitose, ma soprattutto troppo lunghe e garantiste per incidere profondamente sulla realtà.
Tra le indagini degli ultimi anni, i cui atti sono consultabili, ricordiamo l’operazione Cassiopea, del 2001, che dimostrò che ogni settimana dal Nord verso le nostre terre infelici giungevano 40 - 50 Tir stracolmi di sostanze tossiche, quella denominata Houdinì, del 2004, che prese in osservazione un solo impianto del Veneto, nel quale si gestivano ogni anno 200.000 tonnellate di rifiuti. Altre più recenti: Re Mida(dal nome di un intercettato che si vantava di tramutare l’immondizia in oro), Mosca ed Agricoltura biologica hanno evidenziato il rischio di diffusione di queste pratiche al di fuori della Campania, che fino ad oggi nei progetti della camorra era destinata a ricettacolo nazionale. L’Umbria ed il Molise sono già state oggetto dello smaltimento criminale di residui metallurgici e siderurgici ed addirittura la Procura della Repubblica di Larino ha scoperto enormi quantitativi di residui catramosi miscelati nel terreno agricolo e numerose partite di grano locale straripanti letteralmente di cromo. Ed altre zone di espansione della criminalità sono divenute negli ultimi anni Albania, Costarica, Mozambico, Nigeria, Somalia e Romania. Una piovra dai tentacoli voraci ed onnipresenti, che minaccia di avvolgere tutto e tutti.

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Il presente - 3

Mentre per decenni la Campania è stata, ed è tuttora, la destinazione finale delle più pericolose sostanze tossiche del Nord, pratica criminale che ha arricchito unicamente la malavita e distrutto irreparabilmente l’ambiente, siamo costretti oggi a spedire la nostra spazzatura, innocua ed in grado di produrre ricchezza, in Germania, con un carico di spese per il contribuente non indifferente, ben superiore a quanto costerebbe trattare i rifiuti in loco.
Nel frattempo le strade delle nostre città sono oberate periodicamente da montagne di rifiuti ad ogni angolo, con cumuli che a volte raggiungono i primi piani delle case, fotografate spietatamente dai corrispondenti esteri e destinate a dominare le prime pagine dei giornali stranieri, col malcelato proposito di spaventare i turisti e dirottarli verso altri lidi di proprietà delle grandi multinazionali tedesche e spagnole. Una situazione di degrado della vivibilità insostenibile, che conferma il triste primato di Napoli quale indiscussa capitale della monnezza, un poco ambito titolo di vecchia data, che si consolida sempre più e che è oramai è entrato stabilmente nel Dna dei cittadini.
Un corteo interminabile di treni diretti verso la zona industriale di Dusseldorf e verso la cittadina di Oberhausen, nella Renania settentrionale, dove il piano straordinario di smaltimento prevede l’arrivo di 100.000, forse 200.000 tonnellate di immondizia. Ogni treno trasporta 580 tonnellate di carico… ed impiega 32 ore per giungere a destinazione. Le capsule imbottite di rifiuti sembrano uova gigantesche deposte da un uccello alieno ed intasano i 21 vagoni dell’insolito convoglio. Sono attese dai termovalorizzatori teutonici, costruiti negli anni Settanta e divenuti inoperosi a seguito di una massiccia campagna di riciclaggio, che ha ridotto drasticamente il prodotto da incenerire. Languono pigri come odalische trascurate dal sultano ed hanno accolto come manna dal cielo il fiume di denaro napoletano, poco meno di 40 miliardi delle vecchie lire, elargito per gestire l’emergenza. Sono impianti in gran parte in attesa di essere dismessi, perchè divenuti inutili con la raccolta differenziata eseguita seriamente, mentre noi in Italia, con denaro pubblico a profusione, ci avviamo a costruirne più di quanti ce ne serviranno negli anni a venire.
La spazzatura è rimasta l’ultima merce che la Campania esporta… all’estero, ma non ne ricava certo ricchezza nè gloria. Nel dopoguerra partivano per la Germania gli emigranti, con le valigie di cartone legate con lo spago, carichi di disperazione e di nostalgia, di ansia di riscatto e di antica dignità. Negli anni successivi furono seguiti dai giovani laureati, che cercavano all’estero una sicura affermazione ed una maggiore soddisfazione professionale. Le mani più abili ed i cervelli più raffinati, oggi siamo in grado di esportare solamente la peggiore parte di noi stessi: la monnezza.
Una situazione paradossale che non può e non deve durare a lungo!
Necessita una presa di coscienza da parte di tutti i cittadini, che attraverso ogni mezzo debbono attivarsi per cambiare registro, adoperando principalmente l’arma del voto, una possibilità che può risultare decisiva.
La storia tribolata della spazzatura campana comincia un’eternità fa, col commissariamento della gestione dovuto all’incapacità dei politici locali di interessarsi a risolvere la questione.
Invano cercheremo in emeroteca tra le pagine dei grandi giornali le tappe di questa penosa odissea, l’unica bussola è costituita dai comunicati on line dei gruppi ambientalisti, verdi ed ultrasinistrorsi, molto motivati a condurre la battaglia contro il malgoverno, le speculazioni e, soprattutto la costruzione dei termovalorizzatori. Sono una massa enorme di materiale di diversa qualità, tra il quale è difficile districarsi per chi voglia cercare di raggiungere od avvicinarsi onestamente alla verità.
In questi ultimi anni si sono succedute, come un amaro bollettino di guerra, unicamente notizie di cronaca riguardanti le proteste per la costruzione del termovalorizzatore di Acerra, che, quando e se, sarà completato sarà il più grande d’Europa. Il blocco della circolazione automobilistica e ferroviaria tra nord e sud d’Italia, avvenuto ripetutamente, è stato il momento topico che ha imbestialito centinaia di migliaia di persone intrappolate e dato spazio ai primati negativi di Napoli sulle prime pagine dei quotidiani. A latere occupazione di edifici pubblici, dai municipi alle scuole ed uscita dal consiglio regionale di partiti politici contrari alla localizzazione dell’impianto. Ed in queste manifestazioni di furore collettivo, a fianco di pregiudicati sicuramente prezzolati, è sempre stata stranamente rispettata una sorta di par condicio, infatti in prima fila si alternavano con disinvoltura i no global e l’estrema sinistra ad esponenti di An e del mondo cattolico, con monsignori onnipresenti e preti d’assalto inneggianti a sguarciagola, in perfetta sintonia con ceffi patibolari ed esagitate matrone. Il cittadino, travolto da notizie di cronaca derivate da una visione sull’argomento dicotomica, vorrebbe onestamente saperne di più dai mass media, nessuno dei quali, né locale, né nazionale, si è mai premurato di sviluppare una inchiesta approfondita sulla pur importante querelle.
Fino ad ora ai cittadini i mass media non hanno raccontato la verità ed è stata contrabbandata come emergenza l’incapacità politica di gestire quello che in altre regioni italiane è routine quotidiana, perchè dello smaltimento dei rifiuti urbani si interessano senza problemi ed efficacemente le amministrazioni locali.
L’inefficienza degli ultimi 12 anni, durante i quali la situazione è stata retta da un commissario di nomina governativa, dimostra il malgoverno e l’inettitudine sia del centro destra che del centrosinistra, mentre una classe dirigente evanescente stava in disparte e la magistratura solo recentemente si è resa conto della gravità della situazione, intervenendo attivamente, dopo che per anni, carabinieri, polizia, corpo forestale e guardie municipali hanno permesso a migliaia di Tir, provenienti da mezza Europa, di scaricare indisturbati i loro micidiali carichi di rifiuti tossici e nucleari, “in grado di sterminare intere popolazioni”(Newsweek), di provocare “l’insorgere di malattie endemiche tremende”(Lancet oncology, Settembre 2004), creando situazioni di degrado ambientale tali da “far presagire un esodo biblico dalla Campania” (Assise di Palazzo Marigliano, 2006).
Nel 1994 il governo ritenne opportuno creare dei commissari speciali preposti alla gestione del problema rifiuti, che da tempo aveva ampiamente superato il livello di guardia. La camorra che ha sempre fatto la parte del leone nel settore, con lo smaltimento illegale protetto dalle autorità, ha continuato indisturbata, alleandosi con le consorterie politiche, vere associazioni a delinquere, che pensano unicamente a spartirsi le poltrone all’interno dei vari consigli di amministrazione dei Consorzi rifiuti, nati come funghi per soddisfare la brama di potere dei capicorrente.
Primo presidente regionale ad essere nominato fu Antonio Rastrelli di An, che previde un piano nel quale erano ipotizzati numerosi termovalorizzatori, ma in seguito, per via dell’approvazione del decreto Ronchi, vera e propria pietra milare nel tentativo di difendere l’ambiente, che mutò radicalmente parametri e riferimenti normativi, il progetto cambiò più volte e nell’ultima versione esso riteneva necessari 7 impianti di stoccaggio e due inceneritori.
La gara di appalto viene vinta dalla Fibe, un consorzio imprenditoriale capeggiato dall’Impregilo, di un certo… Cesare Romiti. Essa nello scegliere i luoghi ove sorgeranno i termovalorizzatori indica Acerra e Battipaglia, che verrà poi sostituita da Santa Maria la Fossa.
Bassolino vince le elezioni con un programma nel quale si prometteva la revoca del commissariamento straordinario e l’opposizione alla costruzione degli inceneritori, ma dopo la vittoria, diviene lui commissario e per non dispiacere gli imprenditori progressisti, così munifici e disinteressati, accetta in pieno l’idea dei termovalorizzatori.
Aggiudicatasi l’appalto, la Fibe non si premura di far cessare l’utilizzo delle discariche, oramai esaurite e trascurando completamente di incrementare la raccolta differenziata, si dedica alla costruzione degli impianti di produzione delle famigerate ecoballe.
Nel 2001 la situazione precipita quando la magistratura chiude, per grave e perdurante inquinamento delle falde acquifere, le discariche di Tufino e Parapoti, utilizzate dalle intere provincie di Napoli e Salerno. In pochi giorni la spazzatura sommerse i cassonetti giungendo ai primi piani delle case, tra un odore pestifero e miriadi di animali, dagli insetti ai ratti, che si pasciavano beati, increduli di tanta abbondanza.
La costruzione dei termovalorizzatori non decollava e di conseguenza le ecoballe dovevano essere stoccate in siti temporanei, sempre più difficili da reperire per la protesta popolare che cresceva giorno dopo giorno. Tra l’altro, mancando del tutto la raccolta differenziata, il contenuto delle ecoballe era troppo umido e tendeva ad imputridire con l’inevitabile corteo di un lezzo nauseabondo percepibile a grande distanza.

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L’emergenza infinita - 4

Gli anni successivi confermano il completo fallimento del tentativo di uscire dall’emergenza, complici le inadempienze della Fibe e una pessima gestione politica ed istituzionale, che ha prodotto uno sperpero di denaro pubblico ed il conferimento di una pletora di incarichi e di consulenze, soprattutto a professori universitari, alcuni beneficiari di ben 20 lucrosi contratti consecutivi. Un finanziamento per la rinascita culturale o un acquisto di cervelli all’ammasso?
Gli impianti di selezione sono impiegati costantemente al massimo delle possibilità, per cui basta la necessità di una manutenzione o un intervento cautelativo della magistratura di fronte ad un’irregolarità per provocare il caos, con contenitori stracolmi di rifiuti accanto a chiese e monumenti millenari e sindaci barricaderi alla testa delle immediate proteste della popolazione appena si tenta di smistare altrove i camion di spazzatura.
Il 27 marzo del 2005 Bassolino lascia la patata sempre più bollente della carica di commissario a Corrado Catenacci, già prefetto, che, protetto dalla scorta, prende il posto di comando in un ufficio con 85 dipendenti al quarto piano di un elegante palazzo di via Filangieri. Le direttive del governo sono chiare. Pieni poteri a Catenacci per riaprire le discariche, consorzi guidati da generali dei carabinieri e prefetti per riattivare la raccolta differenziata ed al più presto una gara europea per tre inceneritori: Acerra, da completare, Santa Maria la Fossa ed un terzo impianto nel salernitano in una località ancora da scegliere.
Con decreto legge il 30 novembre 2005 viene risolto il contratto con la Fibe, che dal 2000 gestiva l’intero ciclo integrato dei rifiuti e lo stato di emergenza viene prorogato fino al 31 maggio 2006. Nel frattempo viene indetto il bando di gara d’appalto con procedura ristretta ed accellerata per trovare una nuova società che prenda il posto della Fibe. Un appalto record del valore di 4,5 miliardi di euro, per intenderci 9000 miliardi delle vecchie lire, inclusa una concessione ventennale in esclusiva. Un esborso per il contribuente significatico e che non comprende la raccolta ed il trasporto dei rifiuti, che in genere costa tre volte più dello smaltimento.
Questo fiume di denaro pare abbia fatto cambiare parere non solo ad illustri ministri, da sempre contrari ai termovalorizzatori, ma anche alla camorra, che vede il colossale business con l’acquolina in bocca, certa di poter controllare fabbricazione degli impianti e gestione degli stessi, nei quali eventualmente bruciare in futuro qualsiasi rifiuto.
Il 4 maggio è scaduto il termine per manifestrare interesse alla gara ed hanno aderito 2 cordate. Da un lato l’Asm di Brescia in partnership con l’Unione industriali di Napoli, l’Asia, l’Amsa di Milano e l’Ama di Roma. A contrastare il passo il colosso multiutility francese Veolia Environnement del gruppo Vivendi. L’offerta al ribasso va presentata entro il 27 giugno e le buste si aprono dopo una settimana. L’aggiudicazione non prevede sic et sempliciter la cifra più bassa, bensì una griglia di parametri, calcolata in punti, che va dalla migliore modalità di organizzazione alla gestione del servizio sul territorio. Una circostanza che sembrava avvantagiare la cordata napoletana, invece tutto si è concluso con un nulla di fatto.
Il nuovo bando non è piaciuto a Gianni Lettieri, presidente degli industriali napoletani, che lo ha definito peggiorativo rispetto al primo, per la “presenza di alcuni passaggi ardui”. Non piace alla cordata l’obbligo di dover acquistare e ristrutturare i sette impianti di Cdr e dover individuare i siti di stoccaggio. Il primo sbarramento viene considerato troppo impegnativo sotto il profilo finanziario; il secondo, il tentativo di scaricare sulle imprese un impegno, meglio ancora una rogna, squisitamente politico.
La situazione nella quale comincia il lavoro il nuovo commissario è per sua ammissione disastrosa. ”Ci siamo dovuti occupare di problemi molto più grandi di quelli affrontati dai miei predecessori, ma la Campania non è sola, perchè l’emergenza interessa anche Lazio, Puglia, Calabria e Sicilia”.“Il programma prevede, oltre agli inceneritori, sette impianti per allestire le ecoballe di Cdr, il combustibile ricavato dai rifiuti, localizzati a Tufino, Giugliano, Caivano, Santa Maria Capua Vetere, Battipaglia, Casalduno e Piano d’Ardine. In queste strutture il rifiuto viene trasformato in combustibile e fos (frazione organica stabilizzata), materiali utili al ripristino ambientale.
Ma la magistratura, suo malgrado, non permette a Catenacci di lavorare con serenità. Infatti per osservare alla lettera i parametri del decreto Ronchi si vede costretta ad un valzer estenuante di sequestri e dissequestri, interrogatori, acquisizioni quasi giornaliere di atti e documenti, indagini su i suoi principali collaboratori; mentre continuano gli incendi dolosi degli impianti, senza che si riescano ad identificare gli autori.
Paradigmatico del caos in cui è precipitata la situazione è rappresentata dall’impianto di Tufino, chiuso il 7 giugno scorso, riaperto il 1 agosto, sequestrato tre giorni dopo con sette informazioni di garanzia ai responsabili per incendio doloso, anche se il gip, nel confermare il blocco della struttura, derubrica l’ipotesi di incendio doloso, sembra si sia trattato di autocombustione… E’ necessario l’intervento diretto del governo ed un monito del Presidente della Repubblica per bloccare le dimissioni del commissario e dei suoi collaboratori.
Un nuovo colpo di scena, foriero di clamorosi sviluppi, risale a pochi giorni fa con la conclusione delle indagini della Procura di Napoli sulla gestione dell’emergenza rifiuti in Campania, che vede tra gli indagati nomi eccellenti, tra i quali spicca quello di Bassolino commissario straordinario all’epoca dei fatti contestati. Il presidente regionale, nell’inchiesta condotta dai pm Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, si è visto notificare le seguenti ipotesi di reato: abuso d’ufficio (323 c.p.), frode in pubbliche forniture (356 c.p.), truffa aggravata (640 c.p.) e violazioni ambientali, rispetto a quanto stabilito dal decreto legislativo 152 del 2006.
Bassolino è in eccellente compagnia, infatti tra i nomi degli indagati vi sono Raffaele Vanoli, ex vice commissario, i fratelli Piergiorgio e Paolo Romiti, figli di Cesare e proprietari della Impregilo, Giulio Facchi, ex sub commissario, Armando Cattaneo, amministratore delegato della Fibe, Roberto Ferraris, amministratore della Fisia, Giuseppe Sorace e Claudio De Blasio, tecnici tutt’ora operativi nel commissariato di governo, oltre ad altri imputati meno noti per un totale di 28 indagati.
Vogliamo precisare che la notifica agli interessati della conclusione delle indagini preliminari è atto prodromico alla richiesta di rinvio a giudizio, che talune volte può non avvenire, se il magistrato ritiene di archiviare l’inchiesta.
Nel frattempo la data prevista per la fine del commissariamento, col rientro nei poteri ordinari, è slittata al 31 gennaio 2007, ma se l’opinione pubblica, resa cosciente della gravità della situazione, non provoca un’inversione di tendenza, possiamo essere certi che il collasso del settore ha un luminoso futuro, come sempre a Napoli più che il problema dei rifiuti esiste il rifiuto dei problemi.

30/9/2006

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Rischio malattie - 5

E la dimostrazione lampante della catastrofe nella gestione dei rifiuti è costituita dalla cronaca degli ultimi giorni con l’ennesima chiusura di un impianto di Cdr, che manda in tilt il sistema ed affolla di nuovo le strade di spazzatura, con la ennesima comunicazione giudiziaria al commissario Catenacci per il presunto utilizzo irregolare della discarica di Montesarchio, con le conseguenti reiterate dimissioni irrevocabili dall’incarico (è la terza volta), con la prospettiva che il bando per il mega appalto vada deserto!
Le sostanze tossiche scaricate nelle campagne casertane e nei comuni a nord di Napoli hanno in più punti avvelenato le falde acquifere e le sorgenti a cui si abbevera il bestiame, dando luogo a rischi non ancora ben valutati, ma certamente molto alti tra i consumatori di carne e di latte. Più volte le organizzazioni criminali hanno venduto micidiali misture come fertilizzanti ad inesperti contadini, che le hanno sparse sui loro campi e tali sostanze si sono trasferite nei prodotti della terra, principalmente negli ortaggi. Le greggi sono state decimate da malattie genetiche ed intossicazioni da metalli pesanti ed anche la fertilità degli ovini è quasi colata a picco.
Alle sostanze sparpagliate un po’ dovunque o addirittura scaraventate direttamente nei pozzi degli agricoltori, si aggiungono i prodotti della combustione delle centinaia di incendi dolosi, che periodicamente vengono appiccati alle discariche dalla malavita per fare spazio a nuova spazzatura. I fumi densi e catramosi, dopo aver avvelenato l’atmosfera e contribuito in maniera vistosa all’incremento di malattie respiratorie ed allergiche, si depositano al suolo e si fissano nel terreno, per poi finire sulla tavola degli inconsapevoli consumatori dei prodotti più svariati.
Anche le discariche, più o meno abusive, che sembrano a prima vista una soluzione tranquilla per lo smaltimento dei rifiuti, pur lasciando in eredità il problema alle generazioni future, sono pericolose per la salute. Infatti emettono numerosi gas alla superficie e nella parte inferiore producono una sostanza altamente inquinante: il percolato, un liquido originato in parte dalle acque piovane, che si infiltrano tra i rifiuti ed in parte dalla decomposizione degli stessi. Esso si insinua subdolamente nel terreno inquinando le acque sorgive.
Anche gli impianti dove parcheggiano enormi quantità di spazzatura indifferenziata, in attesa di essere incenerita, costituiscono un serio rischio per la salute e fanno si che la linea di confine del pericolo tra il trattamento legale e lo smaltimento in discariche illegali sia sempre più sottile. Situazione percepita più all’estero che dai mass media nostrani, come dimostra l’attenzione della Commissione europea che, di recente, ha inviato svariate lettere d’ammonimento all’Italia, nelle quali venivano contestati ben 28 casi di infrazione delle normative europee sull’ambiente.
In letteratura si susseguono da anni le segnalazioni del concreto pericolo di malattia nell’area di Caserta e Napoli. Sono studi epidemiologici, alcuni particolarmente preoccupanti, come i dati forniti dall’archivio dei tumori dell’Asl 4 di Napoli, che, già dal febbraio del 2003, segnalava nel distretto 73, corrispondente all’area orientale della Campania, un considerevole ed apparentemente ingiustificato aumento della mortalità per cancro del colon, del retto e del fegato, oltre a quella imputabile ai casi di leucemia e linfoma. Questa zona è quella dove negli ultimi anni più frequenti sono stati i casi di smaltimento criminale di rifiuti tossici. Un’area delimitata dalle cittadine di Acerra, Nola e Marigliano divenuta tristemente famosa come triangolo della morte.
Una sequenza di centri agricoli rinomati, dove la terra fino a pochi anni or sono era tra le più fertili d’Europa ed oggi è divenuta quasi del tutto inutilizzabile.
Un’altra relazione scientifica allarmante è quella pubblicata nel numero 6 di novembre dicembre 2004 sulla rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia. Essa segnala nell’area oggetto dello studio, comprendente le città di Giugliano, Qualiano e Villaricca, in controtendenza al dato generale di una diminuzione della mortalità totale, un aumento di causa di decesso dovuta a neoplasie, in particolare tumori polmonari.
Le numerose ricerche scientifiche dimostrano il rapporto sempre più stretto tra territorio e salute ed oltre al cospicuo incremento delle neoplasie nell’area contaminata dai rifiuti tossici, si segnala l’aumento di altre patologie, come nello studio condotto dai pediatri di Aversa che hanno esaminato il paese casertano di Parete, comune limitrofo alle discariche di Giugliano. Essi hanno riscontrato un enorme aumento delle malattie broncopolmonari nei bambini della zona, dove tra l’altro sono in pericolo gli allevamenti di bufali, produttori di una mozzarella leggendaria e le coltivazioni di albicocche, fragole, mele annurche e pesche, conosciute in tutta Italia e che rappresentano la vera ricchezza di un’economia a vocazione agricola.
Nel 2005 anche l’Organizzazione mondiale della Sanità, accertatasi della gravità della situazione, ha condotto uno studio epidemiologico in collaborazione con istituzioni italiane ed è giunta alla conclusione che i rifiuti nella nostra regione hanno un grave impatto sulla salute, producendo un aumento della mortalità e della morbilità a seguito della presenza nell’aria, nell’acqua e nel suolo di prodotti tossici e cancerogeni prodotti dall’incenerimento e smaltimento illegale degli stessi.
Di questi studi si è parlato poco sui grandi quotidiani, mentre un certo clamore ha interessato la ricerca pubblicata su Lancet oncology nel settembre 2004 da Alfredo Mazza, un ricercatore del Cnr di Pisa. Egli, partendo da dati raccolti sulla letteratura internazionale di un aumento dei tumori, soprattutto al fegato, nelle popolazioni abitanti nei pressi di discariche, ha constatato una situazione ben più grave nell’area geografica da lui esaminata, il territorio circoscritto da Nola, Acerra e Marigliano, conosciuto, dopo la pubblicazione dei suoi risultati come il famigerato triangolo della morte.
In alcune località, Calabricito, a poca distanza da Maddaloni, Marcianise ed Acerra, dove da oltre 10 anni è sotto sequestro una discarica colma di rifiuti tossici, sono stati riscontrati dai tecnici della Sogin valori di diossina 100.000 (centomila!) volte superiori al limite ritenuto pericoloso, non vi è perciò da meravigliarsi se la diossina è stata riscontrata da esperti della Sogin e del Cnr persino nel latte materno.

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Come affrontare il problema? - 6

La spazzatura può essere smaltita nelle discariche, può essere incenerita, può essere trasportata lontano. Può essere inoltre smaltita in impianti a freddo o gassificata. Ed a queste ipotesi possiamo aggiungerne un’altra, per il momento utopica, ma verso la quale bisognerà tendere con tutte le forze: non crearla affatto, la cosiddetta opzione zero secondo il lessico degli addetti al settore.
Qualunque sia la soluzione scelta, si impone l’opzione della raccolta differenziata e del riciclaggio dei rifiuti.
Discariche

La discarica è l’anello finale della catena dove dovrebbero arrivare i rifiuti che non possono essere riutilizzati, recuperati o riciclati. Generalmente è costituita da una concavità naturale o da un enorme fossato artificiale, dove vengono depositati la spazzatura urbana e tutti quegli altri rifiuti che non possono trovare utilizzazione, come i materiali di risulta dell’attività edilizia o gli scarti industriali.
Secondo la normativa europea, alla quale aderisce l’Italia, esistono tre categorie di discariche:
1) Per rifiuti inerti
2) Per sostanze non pericolose, come la spazzatura urbana
3) Per rifiuti tossici o pericolosi
Le discariche rappresentano il più antico e più economico sistema di smaltimento dei rifiuti, in grado di risolvere momentaneamente il problema, che viene trasferito in gran parte ai nostri discendenti, i quali si troveranno costretti a dover convivere con una quota sempre più ampia di superficie non utilizzabile, perché occupata a stipare la spazzatura. In Campania le discariche divorano letteralmente 30 chilometri quadrati di territorio, per intenderci un’area estesa quasi dieci volte quella di San Giorgio a Cremano. Ed ogni giorno la situazione peggiora per le richieste pressanti del commissario ai rifiuti, che si vede costretto a pretendere, più di un mitologico mostro famelico, il sacrificio di sempre nuove aree per stipare le ecoballe in attesa di una soluzione futura. Sono ogni mese 40.000 metri quadrati di terreno pianeggiante per far stazionare i rifiuti, una superficie equivalente a cinque stadi San Paolo messi assieme.
E’ una soluzione economica se la discarica è posta vicino ai luoghi di produzione dei rifiuti, tenuto conto che raccolta e trasporto incidono generalmente per il 75% della spesa. Naturalmente si parla di contenitori che rispettino le norme di sicurezza previste dalla legge, oggi molto severe, altrimenti la proporzione dei costi è ben diversa. I cinque sesti dell’immondizia raccolta in Italia negli ultimi anni è finita nelle discariche a cielo aperto, oramai quasi tutte stracolme ed esaurite.
Il pericolo maggiore di una discarica è costituito dalla circostanza che i rifiuti restino attivi per oltre trenta anni, dando luogo, per la decomposizione anaerobica, verso l’alto a numerosi biogas, che, se non raccolti, si diffondono nell’atmosfera e verso il basso ad un liquame (percolato), che può contaminare non solo il terreno, ma anche le falde acquifere. Alcuni tecnici più pessimisti hanno addirittura ipotizzato che questo pericolo possa manifestarsi per un periodo ben più ampio dei decenni.
L’emissione di gas pericolosi nell’atmosfera è molto più alto per le discariche del secondo e terzo tipo e si tratta di sostanze che interferiscono nei cambiamenti climatici ed aumentano l’effetto serra del pianeta, in stridente contrasto alle indicazioni del protocollo di Kyoto, per cui è assolutamente necessario l’uso di sistemi di captazione di tali gas, non utilizzabili, a differenza del metano, che può essere tranquillamente adoperato.
In una discarica normale non sono ammessi i rifiuti liquidi, infiammabili, esplosivi ed ossidanti, provenienti da cliniche o ospedali infettivi, i pneumatici, salvo alcune eccezioni e tutte le sostanze potenzialmente pericolose. Per tutti questi rifiuti esistono, anche se in numero insufficiente, impianti particolari, dove confluiscono anche le cospicue quantità di ceneri tossiche prodotte nei termovalorizzatori, che rappresentano circa il 30% della massa sottoposta al trattamento.
Per contenere le emissioni nocive e limitare i pericoli gli impianti a regola devono essere costruiti con delle barriere di vari materiali per isolare i rifiuti dal terreno e debbono poter assorbire tutti i gas biologici. Una volta raggiunto il limite di capienza la struttura deve essere ricoperta, sigillata e rimanere in osservazione per almeno 30 anni, mentre l’area non può essere utilizzata, a differenza di tante discariche in Campania, dove sulla superficie si sono costruite villette ed appartamenti con negozi.
Il decreto Ronchi del ’97 prevedeva la sostituzione delle discariche con impianti di smaltimento, che avrebbero dovuto favorire il contenimento dei rifiuti, la raccolta differenziata ed il recupero energetico.
Bisogna però necessariamente dividere la spazzatura a monte, educando e convincendo la popolazione a collaborare o a valle, utilizzando costosi impianti di vagliatura, in grado di separare la parte umida dalla parte secca. Con questo trattamento è possibile produrre fertilizzanti (compost) e riciclare carta, vetro e metalli, oltre ad estrarre biogas. Purtroppo l’interregno tra la chiusura delle discariche e la costruzione dei nuovi impianti in Campania è stata particolarmente sofferta ed ha aggravato la cronica e già grave emergenza, per cui è stato necessario riaprire discariche sature, prevedere siti di stoccaggio temporanei, col rischio che da noi il concetto del tempo è estremamente variabile e creare un numero spaventoso di ecoballe in attesa di un futuro migliore, contenitori compressi che costituiscono delle potenziali bombe tossiche, per la presenza di materiale umido soggetto a fenomeni di putrefazione con relativo aumento volumetrico.
I termovalorizzatori
Un termovalorizzatore è costituito da un alto forno che, attraverso la combustione dei rifiuti, ne riduce notevolmente il volume, permettendo nello stesso tempo un recupero energetico per scaldare del vapore da utilizzare per riscaldamento o per produrre energia elettrica da fornire al gestore della rete nazionale.
La prima proprietà è molto utile perchè può concorrere ad abbattere notevolmente i danni all’ambiente provocati dai normali impianti cittadini di riscaldamento, che a volte costituiscono, dove il clima è particolarmente rigido, il 50% dell’inquinamento. Per quel che riguarda l’energia elettrica prodotta, bisogna tener conto che il vantaggio per il gestore dell’impianto è superiore a quello della collettività, perchè l’elettricità è pagata ad un prezzo politico, tre volte superiore, di cui si fanno carico i contribuenti.
I termovalorizzatori sono conosciuti in tutto il mondo come inceneritori, ma da noi si preferisce questa terminologia più soft, con la speranza che l’impatto psicologico con le popolazioni limitrofe alle zone dove vengono localizzati sia più morbido. Si cerca di presentare infatti questi impianti come qualcosa che trasforma la spazzatura in energia, togliendola nello stesso tempo dalla circolazione, senza inquinamento e residui di alcun genere, la favola del fuoco famelico che si mangia tutta l’immondizia. Naturalmente in natura nulla si crea e nulla si distrugge, per cui una parte dei rifiuti attraverso la combustione viene immessa nell’atmosfera sotto forma di gas, una parte, modesta, si trasforma in energia ed una parte, 30% di peso e 10% di volume, residua come cenere, che necessita di essere smaltita in discariche speciali.
Il primo inceneritore, denominato destructor, venne realizzato nei primi anni dell’Ottocento a Manchester, in seguito trovarono utilizzo in Germania ad Amburgo, mentre i primi due ad essere costruiti negli Stati Uniti furono realizzati nel 1905 e prevedevano la produzione di energia elettrica ed il riscaldamento di tutti gli edifici adiacenti.
Negli anni passati, per la bassa tecnologia, erano strutture altamente inquinanti, mentre oggi quelli dotati delle più avanzate metodiche di abbattimento, sono in grado di ridurre, ma non di eliminare del tutto, i prodotti nocivi della combustione.
Un po’ come è capitato per le automobili, alle quali è stata dedicata attenzione da parte delle case produttrici in tema di diminuzione dei gas di scarico. Oggi infatti non possiamo certo paragonare una scorreggiante Balilla, dal fetido tubo di scappamento, ad una moderna Bmw ultimo tipo, dalla marmitta catalitica, in grado di emettere ad ogni accelerazione spruzzi e sprazzi di afrore paradisiaco, da rammentarci l’eccitante ebbrezza dello Chanel n5.

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Termovalorizzatori:si o no? - 7

L’incenerimento trasforma numerosi materiali ancora potenzialmente adoperabili, taluni preziosi perchè in esaurimento, in effluenti (solidi, liquidi o gassosi) assai più tossici dei rifiuti di partenza ed inutilizzabili, oltre a diffondere nelle zone limitrofe una serie di sostanze nocive alla salute, dalla diossina ai furani, che, inquinando l’ambiente: suolo e sottosuolo, acqua ed aria, colpiscono l’uomo e gli animali attraverso la catena alimentare.
Gli inceneritori tendono inoltre ad innalzare la temperatura dell’atmosfera, accentuando l’effetto serra, in stridente contrasto con le pressanti raccomandazioni del protocollo di Kyoto, al quale l’Italia ha così entusiasticamente aderito.
La costruzione dei termovalorizzatori richiede un grande investimento di capitali, a fronte del quale si creano pochi posti di lavoro e non si elimina del tutto la dipendenza dalle discariche speciali.
In molte nazioni occidentali, dopo aver realizzato un vasto programma di costruzione di inceneritori si è attivata una massiccia sensibilizzazione della popolazione verso la raccolta differenziata, che ha prodotto in pochi anni la chiusura di molti impianti. Un caso paradigmatico è costituito dalla Germania, dove si incoraggia con tariffe molto basse l’arrivo di spazzatura dall’estero, pur di permettere l’utilizzo di termovalorizzatori, che non sono stati completamente ammortizzati e nel frattempo sono divenuti inutili.
Un termovalorizzatore funziona a pieno regime solamente se vengono bruciati tra i rifiuti grandi quantitativi di carta e di plastica, che innalzano il potere calorifico, sostanze che vengono a mancare in larga misura quando cresce il ricorso alla raccolta differenziata.
In Italia negli ultimi trenta anni abbiamo assistito ad un indecoroso aumento nella produzione di spazzatura, segno ineludibile di una società in preda ad una perversa ansia consumistica, in aperto contrasto al comportamento dei nostri partners europei ed alle indicazioni della Ue, che, già dal 1996, prevedeva che la prevenzione nella formazione dei rifiuti e la drastica riduzione delle sostanze pericolose dovessero essere degli imperativi categorici per una corretta gestione del problema nella comunità europea.
Come sono lontani i tempi in cui è ambientata la nota commedia di Eduardo De Filippo, nella quale il protagonista, la sera, con un piccolo cartoccio di pochi etti tra le mani, scende in strada a depositare la sua quota di spazzatura.
Il programma di costruzione che viene progettato in questi mesi, in Campania, ma anche nelle altre regioni, si basa sui macroscopici quantitativi di spazzatura che oggi produciamo: 500 chili pro capite all’anno, il contenuto di 200 vasche da bagno. Una pazzia alla quale non si potrà non porre rimedio in breve tempo, pena un disastro economico ed ecologico. E quando, immancabilmente, attraverso la raccolta differenziata avremmo ridotto la quota da bruciare, gran parte dei termovalorizzatori, costati una cifra considerevole, non serviranno più e dovranno essere dismessi. Anche se la presenza di tante bocche fameliche e voraci, ansiose di divorare rifiuti, frenerà le campagne di sensibilizzazione della popolazione.

Come funziona un termovalorizzatore
Le tecnologie dell’incerenimento sono essenzialmente tre: forni a tamburo rotante, a griglia ed a letto fluido con camera di post combustione, mentre il funzionamento di un termovalorizzatore può essere suddiviso in 7 fasi fondamentali:
1- Arrivo dei rifiuti – In genere vengono adoperati rifiuti già sottoposti ad una selezione preliminare, ma può essere utilizzata anche la spazzatura tal quale.
2- Combustione – Nel forno alcune griglie mobili facilitano la mobilità dei rifiuti, mentre una corrente d’aria forzata fornisce l’ossigeno necessario per raggiungere temperature elevate.
3- Produzione del vapore – Il calore porta a vaporizzare l’acqua posta a valle nella caldaia.
4- Produzione di elettricità – Il vapore mette in moto una turbina che trasforma l’energia termica in energia elettrica.
5- Recupero delle scorie – Le componenti che residuano alla combustione(10% del volume iniziale e 30% del peso) vengono raccolte a valle dell’ultima griglia, raffreddate in acqua e smaltite nella discarica.
6- Trattamento dei fumi – I fumi ad alta temperatura passano in un complesso sistema di filtraggio per ridurre gli agenti inquinanti più pericolosi, quindi vengono liberati nell’atmosfera.
7- Smaltimento delle polveri fini – Le ceneri che residuano dalla combustione non sono pericolose, mentre le polveri fini (il 4% del peso iniziale) sono da considerare molto tossiche e necessitano di speciali discariche.
Conclusioni
Alcune considerazioni finali sono necessarie sulla difficile problematica: se adottare o meno i termovalorizzatori in Italia, dove la ricerca differenziata non accenna a decollare.
Bisognerà sempre localizzare gli impianti lontano dai centri abitati, anche se la scelta è molto difficile per l’altissima densità abitativa presente su quasi tutto il territorio nazionale. Non si può altresì dimenticare che numerosi e qualificati studi internazionali hanno dimostrato che i fumi delle ciminiere ricadono fino a trenta chilometri di distanza ed Acerra, dove è in fase di ultimazione l’impianto più grande d’Europa, è ad appena 15 chilometri dal centro di Napoli.
Dimensionare i progetti tenendo conto delle reali necessità delle zone tributarie, avendo ben presente che, se una campagna di raccolta differenziata e riciclaggio avesse successo, la quantità di spazzatura da avviare all’incenerimento si ridurrebbe notevolmente, rendendo inutili impianti costati cifre iperboliche, che diverrebbero di colpo un problema di dismissione. Permettere il funzionamento soltanto ad impianti con tecnologie ultra moderne, quali la pirolisi e la gassificazione, per ridurre l’impatto negativo sulla salute dei cittadini.
Pro e contro
In favore e contro la costruzione dei termovalorizzatori si sono schierate da tempo, anche a livello internazionale, due fazioni contrastanti con pareri diametralmente opposti. Riportiamo le idee base dei due schieramenti per facilitare il lettore che voglia farsi una sua idea personale.
I termovalorizzatori producono calore ed energia a basso costo
L’energia elettrica prodotta gode di cospicui stanziamenti pubblici da parte dello Stato, altrimenti non sarebbe conveniente, in contrasto a quanto previsto dalle normative europee, motivo per il quale l’Italia è stata oggetto di una procedura di infrazione da parte della Ue. Bruciare i rifiuti è un’operazione assai costosa, tenuta in piedi artificiosamente dal flusso di denaro pubblico che la finanzia. In Lombardia, ad esempio, la provincia di Brescia, dotata di un termovalorizzatore, ha il costo pro capite più alto per lo smaltimento dell’immondizia.
I cittadini debbono addossarsi l’onere dello smaltimento dei rifiuti accettando l’idea di bruciarli, che è la cosa più pratica e meno costosa e non comporta un inquinamento superiore ad una qualsiasi fabbrica e debbono rinunciare al proposito di trasferirli lontano, una sindrome ben conosciuta nella letteratura anglo sassone, che ha coniato l’acronimo Nimby (not in my back yard), cioè si ma non nel mio giardino.
Con gli inceneritori i rifiuti invece di essere posti in una discarica tradizionale vengono immessi nell’atmosfera sotto forma di gas ed inoltre residuano dalla combustione una cospicua quantità di ceneri che debbono essere smaltite con molta cautela.
I termovalorizzatori moderni non rappresentano un pericolo per la salute di chi vive vicino agli impianti, come dimostra l’esperienza all’estero di grandi e civilissime città come Vienna, dove sono stati costruiti in pieno centro abitato.
Purtroppo la letteratura medica a riguardo è di parere contrario, in attesa di dati sempre più precisi ed aggiornati. Un impianto tecnologicamente avanzato libera nell’atmosfera circa 250 diverse sostanze potenzialmente pericolose e di queste soltanto una ventina sono studiate e monitorabili; a parte le ceneri che sono molto più pericolose dei rifiuti di partenza e pongono il problema del loro smaltimento. Alcune sostanze prodotte, anche se in quantità modeste, dalla combustione dei rifiuti, come la diossina, destano elevata preoccupazione, perché l’organismo non è in grado di metabolizzarla, per cui nel tempo può accumularsi nei tessuti in concentrazioni nocive, dando luogo a svariate patologie, insidiosissime ed ancora poco note alla scienza.
Bruciare la spazzatura è la soluzione più economica.
Gli impianti hanno un costo elevatissimo e per essere ammortizzati richiedono di essere utilizzati a pieno regime per almeno venti anni, inoltre una volta costruiti rendono controproducente la prospettiva del riciclaggio, perchè carta e plastica costituiscono il 70% del potere calorifico.
Lo Stato, le regioni ed i comuni si stanno attivando per sensibilizzare la popolazione alla serietà del problema, allo scopo di diminuire i rifiuti e di conseguenza gli impianti di incenerimento.
Attualmente gran parte della spesa pubblica è assegnata alla costruzione degli impianti, che richiedono grossi investimenti, pochissime risorse sono destinate ad incrementare il riciclaggio e quasi niente si spende per la ricerca medica e scientifica.
Il monitoraggio delle sostanze nocive eseguito all’uscita dei camini di emissione non segnala sostanze tossiche al di fuori dei parametri previsti dalla legge.
Le apparecchiature non riescono a percepire la presenza di sostanze pericolose nei gas di scarico perché esse sono diluite in enormi quantità, ma rivelazioni fatte a poca distanza, nel raggio di alcuni chilometri, segnalano sostanze tossiche che nel tempo si accumulano. Va altresì considerato che le normative vigenti sono tarate sulla possibilità di purificazione dei filtri attualmente in commercio e non sulle raccomandazioni della comunità medica internazionale.
Gli ambientalisti enfatizzano il rischio di inquinamento nelle zone limitrofe ai termovalorizzatori.
I comitati ecologici ritengono opportuna una funzione di supplenza nei riguardi dello Stato e dei mass media, che non operano una sufficiente informazione sulla delicata problematica, attorno alla quale gravitano fiumi di denaro e gli interessi della criminalità organizzata, che nelle regioni meridionali ha sempre gestito la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.
Studiosi autorevoli in Italia ed all’estero ritengono che l’installazione dei termovalorizzatori non comporta alcun rischio per la salute dei cittadini e che tali impianti rispondono pienamente alle norme di sicurezza europee.
Gli scienziati favorevoli all’innocuità degli inceneritori traggono cospicui vantaggi economici e di prestigio perché possono far parte dei consigli di amministrazione delle industrie e delle istituzioni, che controllano il colossale business dell’ambiente, mentre tutti coloro che sono di parere contrario faticano a farsi strada nella carriera universitaria e difficilmente hanno accesso agli organi di informazione.
Le popolazioni limitrofe possono in qualsiasi momento controllare la situazione dell’inquinamento e se dovesse essere necessario possono far fermare i termovalorizzatori.
I controlli periodici sull’emissione delle sostanze tossiche sono a carico delle istutuzioni, di cui è nota negligenza ed approssimazione. Inoltre esse non sono tenute a rendere pubblici i risultati delle analisi e non esiste alcuno strumento giuridico in grado di fermare un impianto, ad eccezione dell’ordinanza di un magistrato. Nello stesso tempo fermare un inceneritore anche per pochi giorni rappresenta un cospicuo danno economico.

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 Riciclare necesse est - 8

L’umanità negli ultimi decenni è cresciuta enormemente di numero ed inoltre è aumentata sempre più la domanda di energia e di risorse naturali, in contrasto con i limiti naturali del nostro pianeta. E’ oramai evidente che il modello di consumo di un europeo o di un nord americano non può essere esteso a tutti gli abitanti del terzo mondo, che costituiscono i 5/6 della popolazione mondiale, senza andare incontro in brevissimo tempo ad un disastro ambientale di dimensioni apocalittiche.
E’ necessario adottare stili di vita radicalmente diversi, troncando la nefasta abitudine del consumismo e cercando in ogni modo di riciclare e riutilizzare tutto ciò che noi riteniamo rifiuto. Non vi è più tempo da perdere perchè le trombe di Gerico sono già pronte ad intonare il loro tragico De profundis.
Si impone una rivoluzione culturale profonda che interessi dai legislatori ai pubblici amministratori, dai produttori ai distributori, ma che abbia il suo perno fondamentale nei consumatori che debbono cambiare mentalità ed abitudine.
Oggi è ritenuto maleducato colui che getta una cartaccia a terra, fra poco dovrà essere considerato stolto e scriteriato chi continuerà ad acquistare bevande in contenitori di plastica o getterà via la carta ed il vetro.
Noi consideriamo spazzatura un oggetto che ha completato il compito per il quale è stato creato: la bottiglia, i tovaglioli di carta, il giornale, il sacchetto per la spesa, mentre in natura non esiste il concetto di rifiuto, bensì una serie di mirabili processi, che interessano sia il mondo organico che inorganico, attraverso i quali, con una complessa concatenazione di fenomeni, ogni cosa rientra in un ciclo successivo.
La pubblicità martellante ed invasiva ci fa credere necessari una serie interminabile di desideri, vacui ed incomprensibili: il telefonino la pelliccia, gli abiti alla moda, l’auto ultimo modello e tante altre cose che per essere prodotte, e dopo poco buttate via, richiedono energia e consumo di risorse naturali non riproducibili.

Raccolta differenziata
Per riciclaggio si intende l’insieme di tutte le strategie volte a recuperare i rifiuti per riutilizzarli, evitando o riducendone lo smaltimento. Non essendo possibile, se non in via teorica, recuperare ogni componente, il riciclaggio non esclude completamente l’utilizzo delle discariche o dei termovalorizzatori.
In un sacchetto di spazzatura reperiamo mediamente: 29% di materiale organico decomponibile, 28% di carta, 16% di materiale plastico, 11% di polveri e ceneri, 8% di vetro, 4% di metalli, 4% di stracci e legno.
Di questi materiali quasi il 90% sono riutilizzabili con guadagno economico diretto, a parte il considerevole risparmio di risorse per la diminuzione della massa di rifiuti da smaltire.
La raccolta differenziata può essere effettuata direttamente dai cittadini, attraverso un sistema di raccolta porta a porta, oppure sfuttando sistemi di separazione in appositi impianti di smistamento. L’ideale è utilizzare tutte e tre le modalità per raggiungere una percentuale molto alta di separazione. Attraverso il riciclaggio si apre un nuovo mercato, in cui piccole e medie imprese possono trovare facilmente spazio per un’attività produttiva con impiego di numerosa manodopera e grande sollievo per la disoccupazione.
In molte nazioni, oltre a massicce campagne di propaganda si cerca di imporre il riciclaggio attraverso delle leggi, come in Germania, ove un recente decreto impone ai rivenditori di ritirare gli imballaggi dei prodotti venduti. In Italia con il decreto Ronchi del 1997 si prevedeva di raggiungere il 35% di raccolta differenziata entro il 2003, obiettivo purtroppo non raggiunto. Anche nelle direttive europee si raccomanda vivamente di adoperarsi per la riduzione dei rifiuti ed un’ottima risposta si è avuta da parte delle nazioni del nord, dove moltissimi prodotti sono venduti alla spina, dal dentrificio ai detersivi, con drastica riduzione dei contenitori a perdere ed un sensibile risparmio sul prezzo, che per molte merci è un decimo di quello confezionato.
Per rendersi conto dell’importanza di recuperare quanti più componenti tra i rifiuti bastano pochi dati:
Ogni tonnellata di carta riciclata consente di risparmiare 14 alberi di alto fusto, 300 -400 tonnellate di acqua e 800 kilowatt di elettricità corrispondenti a 200 - 300 litri di petrolio. Bisogna sempre avere in mente che nel mondo, ogni anno, 40.000 ettari di foresta (una superficie equivalente a 3 -4 grandi regioni italiane) vengono sacrificati per produrre giornali, libri, manifesti, imballaggi che, una volta adoperati in gran parte vengono distrutti, mentre potrebbero essere tranquillamente recuperati.
La plastica merita un discorso a parte perchè, più che per il recupero della materia prima, abbastanza economica, è importante recuperarla per il risparmio di petrolio e di energia e per il considerevole volume occupato nella spazzatura ed inoltre per il pericolo che, bruciata in maniera non corretta, liberi nell’aria gas molto dannosi.
Esistono vari tipi di plastica e tra questi solo la Pet è biodegradabile. In futuro bisognerà per legge obbligare le industrie ad utilizzare per i contenitori soltanto questo tipo o meglio ancora la bioplastica, un nuovo materiale di origine vegetale che ha il vantaggio di produrre una combustione meno inquinante, se incenerita e di essere degradabile, (attaccata dagli agenti naturali) se rilasciata nell’ambiente o in una discarica.
Attualmente una busta di plastica viene adoperata per 20 – 30 minuti, per portare merce dal negozio a casa, mentre la natura per disintegrarla impiega circa 1000 anni!
Per produrre plastiche biologiche si utilizza il mais, coltivabile nei nostri campi e non il petrolio che viene da lontano ed incide pesantemente nella bilancia dei pagamenti.
Ogni anno adoperiamo 200.000 tonnellate di gasolio per produrre le 300.000 tonnellate di plastica che consumiamo, vomitiamo nell’atmosfera 400.000 tonnellate di anidride carbonica, dando un nefasto contributo all’effetto serra ed al disastro ambientale. A parte il riciclo nel caso della plastica è facile l’uso ripetuto e se ogni italiano riutilizzasse due volte una busta di plastica, in un anno si risparmierebbero 200.000 tonnellate di oro nero.
L’alluminio è adoperato moltissimo come contenitore e può essere riadoperato all’infinito senza perdere le sue qualità originali. Quaranta lattine permettono di recuperare un chilogrammo di metallo, per la cui fabbricazione si adopera un processo altamente inquinante, oltre al consumo di bauxite, un minerale in esaurimento e di una quantità di energia corrispondente ad un peso cinque volte superiore di petrolio.
Il vetro deve essere preferito sempre ai contenitori di plastica, perché non altera il sapore né l’odore dei cibi e può essere facilmente riutilizzato o riciclato. Per fabbricarlo occorrono un elevato consumo sia di energia che di materie prime, oltre alla distruzione di boschi e monti per aprire nuove cave. Esso rappresenta una quota significativa (8%) dell’immondizia e se disperso nell’ambiente impiega 4000 anni per decomporsi. Attualmente in Italia il 70% del vetro finisce nelle discariche o viene incenerito, distruggendo in tal modo una considerevole ricchezza.
L’ideale e scegliere bottiglie e barattoli con vuoto a rendere, in maniera tale che i contenitori possano essere utilizzati all’infinito, oppure, in ogni caso, riciclare bottiglie frantumate.
Il legno viene prevalentemente adoperato a livello industriale, per cui difficilmente il cittadino troverà un contenitore apposito per la raccolta di rifiuti legnosi e dovrà rivolgersi alla ditta incaricata al prelievo nella propria cittadina. In ogni caso riciclare il legno significa risparmiare una cosa molto preziosa: gli alberi.
Le cassette adoperate per contenere frutta ed ortaggi possono e devono essere utilizzate più volte, restituendole al rivenditore, fino a quando, divenute inservibili per l’usura vengono inviate ai centri di raccolta.

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 Raccolta differenziata -9

I rifiuti organici costituiscono una quota considerevole del sacchetto (29%) che può essere interamente recuperata. Essi sono costituiti da tutte le sostanze di origine vegetale o animale: residui di cucina, scarti di potatura, ecc. Se vengono smaltiti nelle discariche producono grandi quantità di percolato, che abbiamo visto crea grossi problemi, se bruciati richiedono costi elevati e se rimangono a fermentare nell’ambiente danno luogo a cattivi odori. Di conseguenza è quanto mai opportuno trasformarli in una sostanza utile attraverso il compostaggio, un processo biologico attuato da microrganismi che, nutrendosi della sostanza organica, ne causano la decomposizione, producendo una sostanza simile all’humus. Il prodotto ottenuto, detto compost, può essere utilizzato validamente per sostituire i normali concimi chimici, in quanto ricco di minerali e sostanza organica. In agricoltura questa tecnica viene adoperata per restituire al terreno i componenti che sono andati via con il raccolto ed assume un’enorme valore, perché evita il ricorso ai fertilizzanti, sfruttando il meccanismo naturale di riciclo delle sostanze organiche.
Ciò che avviene in natura è un esempio mirabile di come non esistano sostanze che possano essere definite rifiuti: le piante dall’aria e dalla terra, attraverso le radici, assorbono una serie di sostanze inorganiche, quali acqua, anidride carbonica, nitrati e fosfati e grazie alla luce solare le trasformano in sostanze organiche come zuccheri, grassi e proteine, indispensabili alla crescita degli esseri viventi. Una volta morti, animali e vegetali vengono attaccati da parte di batteri e funghi, che danno luogo a energia e materie prime, tra cui di nuovo le sostanze inorganiche necessarie alle piante, chiudendo un percorso circolare.
Per via naturale il compostaggio richiede circa 8 – 12 mesi, ma con alcuni artifici è possibile accelerare il processo a 15 – 45 giorni, ottenendo da un chilogrammo di spazzatura 300 grammi di compost.
E’ una tecnica che chiunque possieda un giardino o dello spazio può mettere in pratica, contribuendo vistosamente a risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti ed avendo la soddisfazione di produrre ricchezza, perchè il compost sostituisce i concimi e può trovare utilizzo anche come materiale inerte utile per impieghi geologici di vario genere.
Si possono utilizzare gusci d’uovo, fondi di caffé o tè, scarti di frutta e verdura, ceneri di legna, alimenti deteriorati, ossa di animali, lische di pesce, foglie, fiori appassiti, piccoli rami ecc. Tutto questo materiale può essere raccolto in un apposito contenitore, oppure in giardino si può formare un cumulo, o sistemare il materiale in una buca nel terreno. Ogni tanto con un forcone è opportuno rivoltare almeno la parte superficiale per favorire il ricambio d’aria ed alla fine la soddisfazione di aver creato, seguendo l’esempio della natura, qualcosa di utile dai rifiuti è molto gratificante.
Tra la spazzatura esistono poi una serie di sostanze pericolose, che vanno separate, non tanto in vista di un recupero, ma per evitare che, abbandonate nell’ambiente o mescolate ad altri elementi, possano inquinare per periodi molto lunghi, contaminando la catena alimentare fino all’uomo.
Bastano a volte piccole quantità per provocare danni irreparabili, ad esempio 5 litri di olio per auto (il quantitativo di un cambio in una media cilindrata) sono in grado di danneggiare 5.000 metri quadrati di mare, deponendosi sulla superficie ed impedendo l’ossigenazione.
Le sostanze più pericolose sono: pile esaurite, medicinali scaduti, batterie delle auto, oli minerali, pneumatici, materiale di risulta edile, toner ed accessori per l’informatica, ecc.
Le pile anche quando sono scadute contengono sostanze fortemente inquinanti quali, cromo, cadmio, rame, zinco, ma soprattutto mercurio, che se raggiunge l’acqua è in grado, con un grammo, il contenuto di una pila, di inquinarne 1000 litri. Non possono essere riciclate né bruciate, ma devono essere sottoposte ad uno speciale trattamento che le rende inerti. Esse vanno raccolte in speciali cassonetti situati spesso vicino alle tabaccherie.
I farmaci scaduti presentano un pericolo simile a quello delle pile, anche se più variegato, per la varietà di sostanze attive in grado di legarsi al terreno o sciogliersi in acqua. Vanno raccolte in contenitori presenti presso tutte le farmacie e bruciate in un apposito forno.
Le batterie delle auto sono costituite per metà di piombo, un metallo infido perché tende ad accumularsi negli organismi viventi, causando gravi intossicazioni ed avvelenamenti. Inoltre in una batteria sono presenti acidi corrosivi molto pericolosi. Esse non vanno mai gettate in un cassonetto e neppure sul terreno, ma vanno consegnate ai rivenditori, che hanno l’obbligo di portarle nei centri di raccolta, dove il piombo può essere riciclato, eliminando la sua pericolosità come rifiuto e risparmiando una preziosa riserva naturale e l’energia per produrlo.
Gli oli minerali usati dai motori di auto, camion e motociclette rappresentano un consumo di 600.000 tonnellate all’anno, delle quali un terzo resta come residuo. Attualmente gran parte di questo scarto viene raccolto e riciclato, ma mancano all’appello 30.000 tonnellate, che vengono disperse nell’ambiente con gravi danni. Bisogna far sì che tutti gli automobilisti che eseguono il cambio dell’olio da soli per risparmiare, portino quello vecchio presso i distributori, che hanno l’obbligo di riceverlo. In tal modo questi scarti possono venir lavorati e trasformati in lubrificanti di alta qualità.
I pneumatici possono essere adoperati più volte se sottoposti ad un procedimento speciale chiamato rigenerazione. Altrimenti possono venir riciclati nelle componenti dell’asfalto, nei respingenti delle barche o nei cavi isolanti. Non vanno bruciati e se non utilizzati vanno raccolti in speciali discariche.
I materiali di risulta dell’edilizia, anche se derivati da piccole riparazioni casalinghe, non vanno mai gettati nei cassonetti, ma portati in appositi centri, che operano una prima selezione. In seguito vengono frantumati e riutilizzati nuovamente nell’edilizia.
Il toner è l’inchiostro contenuto in apposite cartucce utilizzate in stampanti per fax e computer. Esso può essere ricaricato più volte, con notevole risparmio ed infine conferito in centri specializzati dove, ripulito dell’inchiostro, viene rinviato al riciclaggio. L’eventuale dispersione nell’ambiente, alla pari di altri accessori per la informatica è molto pericolosa per l’estrema tossicità delle sostanze.
Uffici ed aziende possono richiedere gratuitamente in dotazione dalle ditte produttrici un contenitore dove introdurre cartucce e toner esauriti, che viene ritirato periodicamente a richiesta dell’utente.
A parte vanno considerati i rifiuti ingombranti costituiti da materassi, televisioni, frigoriferi mobili ecc, che per le loro dimensioni non entrano nei cassonetti né devono essere depositati vicino ad essi. In molti comuni è previsto un servizio di raccolta domiciliare gratuita previo appuntamento telefonico, che li trasporta presso centri dove si ricavano i metalli riciclabili ed il legno.
Vestiti, vecchi giocattoli ed altri oggetti passati di moda, ma ancora utilizzabili, vanno depositati presso i contenitori che periodicamente gli Enti di beneficenza ed assistenza predispongono per vendere il possibile e destinare il ricavato a scopi sociali e distribuire gli indumenti usati ai poveri.

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Le quattro R del WWF -10

Cambiare freneticamente vestito, automobile, arredamento è un’abitudine schizoide che da anni ha preso il sopravvento nel mondo occidentale ed anche nei paesi emergenti, come la Cina, sta divenendo la regola. Martellati dalla pubblicità, aizzata da un sistema industriale che necessita di vendere continuamente gli oggetti che costruisce, acquistiamo senza sosta prodotti ai quali non ci affezioniamo, come capitava una volta, quando i mobili, ma anche un maglione o le suppellettili della cucina, ci accompagnavano lungo il percorso della vita.
Le fabbriche hanno da tempo capito che gli oggetti debbono funzionare per poco tempo e non avere possibilità di essere riparati, per costringerci ad acquistarne continuamente di nuovi. Invece di procurarci benessere questo perverso meccanismo ci produce unicamente ansia ed angoscia.
Giovenale, il sommo poeta latino, in periodo di decadenza dei costumi, osservò acutamente che i Romani, dopo aver conquistato il mondo, non possedevano neanche un pezzo di terra. Una situazione paragonabile a quella attuale in Occidente, dove i cittadini sono semplicemente meri utilizzatori di oggetti, che scorrono via rapidamente senza identità. Un precario trasformatore di prodotti in rifiuti e della natura in un’immensa cloaca.
Da anni il WWF ha individuato in questo comportamento ottuso la causa del nostro malessere e dell’insolubile problema dello smaltimento dei rifiuti e dell’esaurimento delle risorse naturali del pianeta. Esso consiglia vivamente una filosofia di vita basata su quattro imperativi categorici da rispettare, denominato sinteticamente come filosofia delle 4R, dalle iniziali dei quattro comandamenti: riduci, ripara, riusa, ricicla.
Al raggiungimento di questo obiettivo devono lavorare insieme industrie, istituzioni, commercianti e consumatori.
Le aziende devono ridurre drasticamente tutti gli imballaggi superflui, molti sono unicamente decorativi, sostituendoli con vuoti a rendere, non soltanto per i generi alimentari.
Le istituzioni, dallo Stato ai singoli comuni, devono prevedere, nel piano di smaltimento dei rifiuti, al primo posto la riduzione della spazzatura ed in seconda battuta, raccolta differenziata e riciclaggio e solo alla fine incenerimento o deposito in discarica.
I commercianti devono proporre ai consumatori prodotti in contenitori a rendere, come il vetro, consegnare il più possibile a domicilio, utilizzando imballaggi riutilizzabili, predisporre la vendita alla spina di quanta più merce è possibile, abitudine molto diffusa all’estero, che permette di abbattere drasticamente il costo di numerosi prodotti.
I consumatori devono acquistare oggetti ben fatti, averne cura, per farli durare a lungo, senza andar dietro all’ultimo modello. Indirizzare le loro scelte verso merci prive di imballaggio o con vuoti a rendere. Portare sempre con sé la vecchia quanto insuperabile borsa della spesa, in grado di far risparmiare montagne di plastica. Scegliere prodotti confezionati localmente, per evitare trasporti a grandi distanze con relativo inquinamento. Consigliare quei negozi che si attivano per la vendita di merci con vuoti a rendere e dei prodotti sfusi senza alcun imballaggio.
Diffondere tra i conoscenti la necessità di una sensibilizzazione generale sull’argomento ed appoggiare le organizzazioni ambientaliste.

Nuove tecnologie
Un recente orientamento di alcune associazioni ambientaliste, allo scopo di evitare la costruzione degli inceneritori, è quello di favorire la conoscenza di nuove tecnologie più rispettose della salute dei cittadini. Sono metodiche di recente elaborazione, bisognose ancora di sperimentazione, ma i primi risultati sono molto promettenti, in particolare per la gassificazione, inoltre è necessario descrivere anche il processo di pirolisi ed il trattamento a freddo. Generalmente per gassificazione si intende un processo chimico o termico usato per trasformare una sostanza in un gas.
Essa consiste in un processo di combustione ad elevata temperatura(tra 900 e 1000 gradi) dei rifiuti senza necessità di una selezione preliminare. Grazie all’immissione di una modesta quantità di ossigeno si fa partire un processo di ossidazione completa degli elementi da bruciare. La componente organica viene ridotta ad un gas combustibile di basso potere calorifico (chiamato gasogeno), mentre la frazione inorganica viene trasformata in un residuo solido inerte. Il gas di sintesi prodotto, dopo essere stato raffreddato e depurato, può essere utilizzato, in un ciclo a combustione interna, per la produzione di energia elettrica.
La gassificazione abbatte drasticamente l’emissione di sostanze nocive, quali le diossine, molto al di sotto dei limiti imposti dalla legge nei paesi più severi. Per questo, rispetto alle tecnologie tradizionali, che utilizzano forni a griglia, la nuova metodica dà migliori risultati nella riduzione dell’immissione nell’atmosfera di sostanze nocive. Inoltre i residui prodotti dal processo costituiscono un minerale granulare inerte, che non deve essere smaltito in discarica, ma può essere utilizzato come sottofondo nella pavimentazione stradale.
Attualmente in Malesia si sta costruendo un impianto di gassificazione grande quanto il futuro termovalorizzatore di Acerra, sull’onda dell’orientamento del Giappone, che, dopo aver costruito in 6 anni 80 impianti per incenerimento, si sono ora orientati sul processo di gassificazione, una tecnologia meno inquinante ma bisognosa di misure di sicurezza particolarmente rigorose.
La pirolisi consiste nella degradazione termica dei materiali attraverso il calore in assenza totale, o in presenza molto limitata, di ossigeno. In un impianto di pirolisi i materiali vengono riscaldati fino ad una temperatura oscillante fra 425 e 760 gradi Celsius e la mancanza di ossigeno ne previene la combustione. Tuttavia, data l’impossibilità di eliminare totalmente l’ossigeno si verificano fenomeni di ossidazione che portano alla formazione di diossina e di altri composti pericolosi correlati. Dalla pirolisi si ottengono tre prodotti: gas, olio combustibile ed un residuo solido chiamato residuo di carbonizzazione, che può contenere metalli pesanti.
Il trattamento a freddo è un sistema di gestione dei rifiuti residui alla raccolta differenziata. Esso consiste nel ridurre il volume del materiale in vista dello smaltimento finale e di stabilizzarlo, in modo tale che venga minimizzato il potenziale sviluppo di gas e la formazione di inquinanti. Il trattamento a freddo viene esaltato se posto a valle di un buon sistema di differenziazione dei rifiuti. La frazione secca riciclabile viene separata meccanicamente, mentre quella biodegradabile viene trattata biologicamente.
Impianti piloti sono quelli di Amiens, in Francia, dove si recupera il 90% del materiale trattato e quello di Sidney, in Australia, realizzato nel 2004, anche esso in grado di massimizzare il riciclo di risorse preziose.

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Opzione zero - 11

Nei paesi in via di sviluppo la quantità di rifiuti ha raggiunto, negli ultimi anni, livelli altissimi, per via della popolazione in continuo aumento, della migrazione dalle campagne verso le città, per i nefasti effetti della globalizzazione, che hanno reso ubiquitari i modelli di consumo occidentale e per il proliferare delle confezioni monouso. Le discariche, generalmente niente più che ammassi di rifiuti a cielo aperto, sono stracolme e la dilatazione dei confini delle città limita sensibilmente la possibilità di crearne di nuove. Molte nazioni guardano con interesse alla possibilità di incenerire i rifiuti, una tecnologia che presenta numerose problematiche e che i paesi più evoluti si avviano ad abbandonare. Le alternative hanno un costo inferiore, forniscono maggiori posti di lavoro e determinano un minore inquinamento. Per questo in tutto il mondo sta acquistando sempre maggiore consistenza il movimento Rifiuti zero che promette una cospicua riduzione dei rifiuti prodotti.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale, un obiettivo che richiederà tempo e volontà per essere perseguito, ma così come un viaggio lungo migliaia di chilometri inizia con un singolo passo, anche questa opzione si avvia lentamente, ma inesorabilmente e può avere successo anche nel Sud del mondo, dove il materiale organico rappresenta il maggior componente del flusso dei rifiuti.
Per raggiungere e consolidare l’obiettivo sono utili alcune iniziative per avviare il processo a livello locale:
1- Adottare di un programma di smaltimento dei rifiuti che non preveda l’incenerimento.
2- Decentralizzare la gestione dei rifiuti facendo affidamento sulle iniziative delle comunità locali ed utilizzando risorse indigene.
3- Tenere separati i materiali da riciclare per preservarne la qualità.
4- Dare impulso al compostaggio, che rende il progetto appetibile dal punto di vista economico.
5- Rendere la partecipazione al programma conveniente e significativa.
6- Istituire, se necessario, un sistema di incentivi economici.
7- Approvare o promuovere politiche e normative che migliorino l’ambiente.
8- Sviluppare un mercato per i materiali riciclati possibilmente a livello locale.
9- Impegnarsi per responsabilizzare i produttori relativamente a tutto il ciclo di vita dei loro prodotti.
10- Educare il più possibile gli utenti diffondendo la nuova filosofia sui mass media, negli ambienti lavorativi e nella scuola, inculcando il concetto che l’Opzione zero protegge l’ambiente, crea posti di lavoro e rafforza le economie locali e regionali.
L’obiettivo prefisso non costituisce una fascinazione impossibile da raggiungere, ma l’unica via da percorrere per salvare l’ambiente e la società; è però necessario attivarsi, attualmente infatti in Italia si ricicla solo il 18% della spazzatura, mentre il decreto Ronchi imponeva agli enti locali di raggiungere almeno il 35% entro il 31 dicembre del 2003. Bisogna decidersi ad incoraggiare la raccolta porta a porta, l’unica modalità seria per raggiungere percentuali significative, fino a quando la collaborazione dei cittadini non aumenterà.
E’ importante uscire dalla logica aberrante di bruciare tutto o seppellire tutto, per ripartire con un nuovo modello di produzione e di consumo, in definitiva un nuovo progetto di sviluppo; solamente così sarà possibile uscire dalla trappola in cui siamo caduti.
Nel XXI secolo la nostra prospettiva deve mutare radicalmente: l’obiettivo non deve essere più come smaltire i rifiuti, ma smettere di produrne.
Con la scoperta del fuoco l’uomo ha imparato a cucinare i cibi, compiendo un sensibile progresso nell’evoluzione; oggi, viceversa, brucia le risorse, precipitando rovinosamente all’indietro verso la preistoria.
L’incenerimento deve diventare un triste ricordo del passato, come dimostra l’esperienza degli Stati Uniti e della Germania, e non una soluzione del futuro come blaterano i nostri scriteriati politici, di destra e di sinistra.
Non ha alcun senso spendere enormi quantità di denaro per distruggere risorse da utilizzare in futuro.
La strategia di ridurre i rifiuti drasticamente è portata avanti da anni in Canada ed in Australia, in Nuova Zelanda ed in molte grandi città degli Stati Uniti. In breve si è giunti ad una diminuzione della spazzatura di oltre il 50%. In tutti i supermarket sono stati installati dispositivi di erogazione al minuto di shampoo, detergenti, acqua e vino, tenendo lontani così dalle discariche milioni di contenitori di plastica.
Questo nuovo verbo è portato in giro per il mondo da un novello profeta Paul Connett, professore di Chimica della St. Lawrence University dello Stato di New York, il quale, infaticabile, pubblica il celebre bollettino Wast not (Rifiuti zero) ed ha visitato 50 nazioni, tra cui l’Italia, tenendo conferenze sull’argomento. Egli propugna una facile ricetta: eliminare inceneritori e discariche, convincendo le industrie a produrre soltanto materiali riciclabili ed ama citare a tal proposito una celebre frase di Albert Einstein ”Un uomo intelligente risolve i problemi, il genio li evita”.
L’illusione che più si consuma, più si è felici, che l’America ha esportato in tutto il mondo, si sta rivelando una trappola infernale per il futuro dell’umanità. La perversa filosofia dell’usa e getta ci sta conducendo verso l’apocalisse planetaria. Noi ci comportiamo come se avessimo un altro pianeta disponibile dove poterci trasferire se dovesse essere necessario, eventualità che secondo il WWF avverrà non più tardi del 2050. Gettando via tutto alla fine tutte le risorse si esauriranno, ce ne stiamo accorgendo oggi con il petrolio, ma quanto prima dovremo confrontarci con un’emergenza ancora più assillante: la carenza di acqua, che diverrà un bene prezioso, per il quale si scateneranno guerre ed a soffrire, come sempre, saranno i più poveri, gli ultimi della Terra.
Per raggiungere l’obiettivo, oltre ad educare la comunità, è necessaria la collaborazione dell’industria che, attraverso incentivi economici o obblighi legislativi, eviti di fabbricare prodotti che non possano essere riciclati. Il nostro compito in futuro non sarà quello di perfezionare i metodi di distruzione, ma di migliorare i metodi di produzione per puntare verso una società più sostenibile.
Il cambiamento di rotta ed una maggiore coscienza ecologica comincia a farsi strada anche tra le multinazionali ed un esempio positivo di responsabilità industriale da segnalare è il comportamento della Xerox, che da tempo sta recuperando tutte le vecchie fotocopiatrici e le sta portando in depositi in Olanda, dove vengono smontate in parti riutilizzabili raggiungendo l’obiettivo di un 95% di riciclaggio.
I margini di beneficio di un comportamento conservatore… sono illimitati, infatti la Scuola agraria di Monza ha calcolato che, anche se ogni famiglia italiana si fosse impegnata totalmente nella raccolta differenziata dei rifiuti organici per fare il compost, quello ottenuto non sarebbe ancora sufficiente a far fronte alle esigenze di concime in Italia.

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Una rivoluzione culturale - 12

Sia gli imprenditori che i lavoratori debbono rendersi conto che viviamo senza accorgercene una terza rivoluzione industriale e soltanto un uso più razionale delle materie prime e dell’energia consentirà la sopravvivenza degli affari e del lavoro.
Gli standard di qualità delle merci, in una società sostenibile, debbono essere basati sui principi di maggiore durata, più lunga vita utile ed ampia possibilità di riutilizzo e di riciclo. Purtroppo l’accettazione di norme di qualità cozza contro il perverso andamento della civiltà dei consumi, vincolata al credo della produzione di merci sempre meno durature, al successo di mode effimere di oggetti usa e getta e di un mercato che spinge verso una continua produzione senza alcuna preoccupazione per il futuro.
Bisogna agire in fretta e con la massima decisione, un ritardo di cinque anni ci costringerebbe a fare i conti con una massa di rifiuti (cemento, ferro, plastica, imballaggi, carta, scarti alimentari e conciari, ecc.) aumentata di un altro mezzo miliardo di tonnellate, una valanga in grado di travolgerci e se i governi del mondo continueranno ad ignorare la gravità del problema, sarà necessario far nascere e crescere un movimento di liberazione dai rifiuti.

Epilogo
Napoli crocevia dei rifiuti


In questi ultimi anni Napoli, antica e gloriosa capitale, è diventata triste metafora del declino del Paese, assurgendo a crocevia kafkiano dei rifiuti: innocua spazzatura locale che viene mandata in giro per l’Italia e per l’Europa, accolta con supponenza dal nord ricco ed industrializzato, respinta dal Veneto leghista e gradita ai tedeschi, che si trovano gli inceneritori sotto utilizzati e prossimi alla dismissione, mentre per anni decine di migliaia di rifiuti tossici pericolosissimi sono giunti in Campania provenienti da Milano, dalla Lombardia, dal Veneto, dall’Emilia e da tutte le zone dove sono concentrate le fabbriche metallurgiche, le centrali termoelettriche, le concerie e gli stessi inceneritori, obbligati a liberarsi delle temibili ceneri residue, pari ad un terzo del materiale sottoposto a combustione.
La Campania, ieri felix oggi infelix, non riesce a smaltire la sua spazzatura di serie B, che giace per settimane per le strade, ma ne accoglie tanta, ignara, di serie A, proveniente dalle regioni che contano economicamente e politicamente, mentre l’ideologia surroga la competenza, alimentando l’audacia criminale.
Da Napoli parte ed a Napoli arriva.
Parte per l’insipienza di una classe politica inetta e corrotta, che non ha saputo e non ha voluto risolvere il problema.
Arriva per una malavita organizzata che, indisturbata, ha gestito un traffico criminale, in grado in quattro anni di riversare nelle tasche dei clan 44 miliardi di euro ed un milione di tonnellate di rifiuti solo a Santa Maria Capua Vetere, mentre 18.000 tonnellate di sostanze tossiche, provenienti dalla civilissima Brescia, patria del più moderno termovalorizzatore d’Europa, hanno invaso, impestandolo, il casertano.
E mentre questo traffico impazzito continua i cittadini, a scadenze ravvicinate sono obbligati a convivere tra i tanfi ed i fetori della monnezza, accumulata ad ogni angolo ed a fare zapping tra i cumuli in fermentazione ed i ratti increduli di poter partecipare in massa, non invitati, al ghiotto pasto.


Dobbiamo augurare ai politici, ai quali spetta il compito di scegliere una corretta gestione dello smaltimento della spazzatura, di decidere con saggezza e lungimiranza, tutelando innanzitutto la salute dei cittadini ed inducendo una radicale inversione di tendenza, una vera e propria rivoluzione culturale, nella produzione e nel riciclo dei rifiuti, che invadono sempre più l’ambiente, trasformandosi in una mina vagante per i più ed in una miniera d’oro per pochi.


Letture consigliate

Capone Nicola, Cuccurullo Antonella, Micillo Flora – Allarme rifiuti tossici, Palazzo Marigliano, Napoli 2006

Ciafani Stefano, Buonomo Michele – Dossier rifiuti, il caso Campania – La rivista del Manifesto, N. 54, ottobre 2004

Connett Paul – L’incenerimento dei rifiuti: una soluzione insufficiente per il XXI secolo – Rimini (conferenza) 22 giugno 2006

D’Aloia Alessandro – L’emergenza rifiuti in Campania, i veleni della privatizzazione Falce e martello n. 146, del 12 aprile 2001

Dragoni Adriana – Rifiuti: emergenza continua, in Quaderni radicali N. 80-81, aprile luglio 2003, pag. 211-219

De Renzis Pasquale - La spazzatura: un problema da trasformare in risorsa – Web Magazine, 15 luglio 2004

Iacuelli Alessandro – La discarica della salute – Altre notizie, 1 marzo 2006-10-01

Iacuelli Alessandro – La diossina fa bene? – Altre notizie 11 marzo 2006

Iacuelli Alessandro – Rifiuti tossici in Campania – Altre notizie, 6 luglio 2006

Jacomelli Aldo – Il rifiuto del problema (con ampia bibliografia) – Roma 1996

Gatto Alessandro – Lo smaltimento dei rifiuti in Campania – Napoli 2004

Locatelli Goffredo – L’insostenibile leggerezza di un’emergenza, in Den di Agosto 2006, pag. 22-24

Mazza Alfredo, Kathryn Senior – Il triangolo della morte, da The Lancet oncology, vol. V, settembre 2004

Nadeau Barbie – La nuova ecomafia italiana trasforma i rifiuti in oro, da Newsweek, 8 novembre 2004

Nebbia Giorgio – Un piano in cinque anni, in La Rivista n. 54, 2004

Platt Brenda – Risorse in fumo, l’approccio rifiuti zero nel Sud del mondo contrapposto al mito dell’incenerimento – New York aprile 2004

Ruotolo Alessandro – Rifiuti d’Italia –Tg3 delle 21 del 12 luglio 2005

Ruzzenenti Marino – L’incenerimento. Una non soluzione, in La Rivista n. 54, 2004

Scuola elementare Giovanni Pascoli di Bibbiena, Livorno – La raccolta differenziata – sul web.

 

Achille della Ragione

 

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