L’Origine del mondo la definiva pragmaticamente Gustave
Courbet nel suo celebre ed audace dipinto (fig. 1) conservato oggi al Musée d’Orsay,
del quale costituisce una delle opere più viste e meditate… e colpiva nel
segno, anche se parzialmente, perché la riproduzione è soltanto una delle
funzioni a cui è destinata la vagina, un termine troppo crudo che proponiamo
di mutare in femalia, sì proprio femalia, un neologismo che rende conto con
completezza sia della mirabile anatomia, sia della complessità dei suoi
sofisticati meccanismi fisiologici ed anche del mistero del suo potere
creativo.
Oggi nell’immaginario collettivo maschile sotto le gonne delle donne e
purtroppo sempre più spesso tra le strette pieghe di un jeans si nasconde una
semplice cavità, sede del piacere sessuale, sinonimo di erotismo ed
eccitazione, mentre l’occhio femminile coglie altri particolari ed altre
funzioni, nobili e prosaiche, identificandola come luogo di creazione del
genere umano, come organo per urinare, come fonte di ciclici sanguinamenti e
di fastidiosi dolori mestruali.
Lo studio dell’anatomia del perineo femminile è appena accennata anche nei
licei, per cui confusione ed ignoranza vanno a braccetto e gran parte della
popolazione possiede ampie lacune conoscitive, alle quali non ci illudiamo di
porre rimedio attraverso qualche foto e qualche tavola illustrata che
mostriamo all’attenzione del lettore, includendo anche un rarissimo caso di
assenza congenita della vagina(fig. 2-3-4-5-6-7-8-9).
In passato, presso tutte le civiltà, ben altri erano i poteri di questo oscuro
oggetto del desiderio. Essi andavano dal fecondare le messi a placare le onde
del mare, dalla possibilità di scacciare il male alla facoltà di infliggerlo.
Alcune donne, particolarmente dotate di queste armi segrete, si trasformavano
in esseri mitici e magici con i genitali normalmente velati che venivano
esposti integralmente in situazioni eccezionali. Questa svestizione delle
pudenda era manovra delicata e codificata da divenire un’arte, denominata in
greco da Erodoto anasyromai, un gesto che poteva assumere significati diversi:
apotropaico, per allontanare il male e quindi augurale e protettivo, o
divenire un rito di fertilità, di trasmissione di fecondità ed a volte
assestare un colpo mortale al nemico, una vera aggressione. Talune volte
l’esposizione avveniva mostrando anche i glutei (fig. 10).
Esempi di queste straordinarie facoltà possiamo rintracciarli presso tutti i
popoli e molte culture custodiscono ancora questi riti e li praticano in
condizioni di bisogno.
Nel folklore catalano il mare in tempesta si calma al cospetto della vulva di
una donna sacerdote, che ha il potere di placare la natura scatenata e di
prevenire le sciagure. E non solo i naviganti possono solcare tranquilli i
flutti, ma anche i pescatori di numerose tribù africane possono esercitare il
loro antico mestiere senza timori, perché protetti dal gesto solenne della
pubblica esposizione coram populo dei genitali delle donne della comunità.
Nell’antico Egitto, ma anche in numerosi altri paesi occidentali ed orientali
fino al XX secolo, donne nude attraversavano i campi inseminati per
allontanare gli spiriti del male e per infondere fertilità alla terra,
affinché il raccolto crescesse prospero e rigoglioso, spesso innaffiando
generosamente con liquidi organici naturali, ricchi di fosfati, l’arido
terreno.
Le bellunesi adoperavano l’ostentatio addirittura per incrementare la
produzione delle miniere e secondo la Blackledge, autrice di una monumentale
monografia sull’argomento, su questa convinzione nasce l’originale rapporto
tra Biancaneve ed i sette nani.
Un catalizzatore misterioso, pregno di fascinazione e segreti ed in grado di
scacciare i demoni, terrorizzare le belve, spaventare prodi guerrieri. Per
quanto inverosimile, è stato a lungo patrimonio di diverse culture. Gli stessi
Plinio e Plutarco, la cui autorità è fuori discussione, narrano di grandi eroi
e divinità terrorizzati davanti ai genitali femminili. Nella grande Russia si
è a lungo creduto che gli orsi potevano essere messi in fuga da una fanciulla
che si sollevava la sottana, una gestualità anche della cultura abruzzese ed
indiana, mentre in Africa si spaventavano numerosi altri animali.
Le donne in possesso di questi oscuri poteri divenivano in passato influenti e
temute, depositarie di facoltà imperscrutabili come il mistero della vita,
della nascita e della morte, oggi il potere della vagina, pur priva della
forza devastante dei ferormoni, umiliata da deodoranti ed abluzioni, è
limitata a scatenare nell’altro sesso vivaci tempeste ormonali e, nel migliore
dei casi, poderose quanto prolungate erezioni.
Un’altra credenza comune a numerose culture è quella della vagina dentata(
fig. 11), dalla furia morsicatoria estirpativa spinta a volte fino
all’omicidio. Un retaggio della fobia maschile di non essere in grado di
soddisfare pienamente la inesausta sete sessuale femminile e del timore che la
vagina si trasformi in una mostruosa dentiera mobile, catapultata a divorare
frenetica le fragili appendici sessuali maschili, con tale foga da mettere a
repentaglio la stessa sopravvivenza della specie, fino a quando la fantasia
popolare non materializza un eroe temerario, che riesca a spezzare i suoi
denti aguzzi ripristinando l’ordine sociale.
Nonostante il posto di rilievo occupato dalla vagina nel nostro repertorio
mitico, nelle arti figurative sono pochi gli esempi di rappresentazione,
perché l’organo crea imbarazzo visto al di fuori delle sue funzioni
riproduttive. Anche nei discorsi pubblici la parola viene bandita e diventa
pronunciabile solo nella sua veste procreatrice, quando nel parto diviene
commovente e ripugnante in pari misura.
Prima di Courbet vanamente cercheremo esaltazioni artistiche della femalia, ad
eccezione delle esplicite statuette neolitiche propiziatrici della fertilità.
L’Origine del mondo, della quale abbiamo accennato nell’incipit del nostro
elogio, fu commissionata all’artista da un ricco diplomatico turco, Khalil
Bey, proprietario di una cospicua collezione e che volle l’originale dipinto
per collocarlo nel suo bagno, protetto da un quadro sovrapposto raffigurante
un innocente paesaggio. Il pittore, con rara precisione anatomica, immortalò
la fisicità di un’ignota modella in un sorprendente capolavoro erotico,
concepito per una fruizione intima e privata.
Una clamorosa descrizione in primo piano dell’organo sessuale femminile,
sconvolgente per il realismo con cui è trattato un soggetto già di per sé
scandaloso.
Il dipinto durante la seconda guerra mondiale scomparve per ricomparire nella
villa di campagna del celebre psicanalista Andrè Lacan. Soltanto nel 1995 la
tela è stata acquisita dal Musée d’Orsay e la sua esposizione desta
quotidianamente tra i visitatori grande scalpore.
Tra le opere di artisti contemporanei proponiamo: un’audace contaminazione
(fig. 12) tra Les Demoiselles d’Avignon ed un iridescente brulichio di piccole
labbra luccicanti a forma di cuore o dal contorno ovale, paradisiache
increspature di carne dai colori smaglianti; una fantasmagorica creazione(fig.
13) di un artista giapponese, folgorato da increspature ed infiorescenze, che
producono una sinfonia di immagini concentriche indirizzate verso la vertigine
dell’antro ed infine un’installazione (fig. 14) dallo squillante cromatismo
pervasa da una resa ottica più vera del vero, con papille e vasi che gemono di
vita e sembrano intonare un ammaliante richiamo verso un porto sicuro dove
riposare per sempre.
Anche in natura ritroviamo le curve immortali e le anfrattuosità recondite
della vagina perpetuate nel mondo vegetale e minerale, nella corteccia di un
albero o tra i petali di un fiore, tra le nevi perenni di un ghiacciaio o tra
le solenni fissità di un massiccio montuoso, tra la polpa bacata di una mela o
in una innocente creazione culinaria dal gusto del marzapane.( fig.
15-16-17-18-19-20).
Fascino e bellezza, varietà di forme e di colori, dal rosa pallido al rosso
vermiglio, pieghe delicate che brillano di luce spontanea, una straordinaria
creazione che incute timore e venerazione, un archetipo che si ripete
all’infinito in ogni punto dell’universo.
Il celebre enciclopedista Diderot esordì con un libricino modesto anche se
originale “I gioielli indiscreti”, nel quale faceva parlare le donne “dalla
parte più franca che sia in esse”. L’opera è del 1748 e precorre di due secoli
le scoperte freudiane sulla sessualità repressa nella donna o le arrabbiate
rivendicazioni delle femministe.
Egli tratta con maestria un argomento quanto mai scabroso che travalica
ampiamente il galateo cortigiano dell’epoca, ma sa fornirci una geniale
invenzione libertina che è nello stesso tempo satira e critica di costume.
Questo colto antecedente letterario era probabilmente ignoto all’americana Eve
Ensler autrice nel 1998 de I monologhi della vagina, una pièce teatrale(fig.
21) caustica e irriverente, che per anni ha sbancato i botteghini dei teatri
di tutto il mondo. Il testo nasce da una serie di alcune centinaia
d’interviste a donne di tutte le età e di ogni condizione sociale.
Negli Stati Uniti lo spettacolo è stato interpretato per anni da gruppi di
attrici famosissime, stelle del cinema e del rock, donne in carriera o
politicamente impegnate, che hanno costituito una sorta di staffetta ideale.
Tra queste ricordiamo Jane Fonda, Glenn Close, Melanie Griffith e Kate Winslet.
Lo spettacolo giunto anche in Italia ebbe tra le interpreti anche l’allora
ministra pugilessa Katia Belillo. La tournée cambiò ogni anno compagnia ed a
Napoli giunse con Sabrina Knaflis, Orsetta De Rossi, Paola Pavese e la
sanguinolenta Marina Confalone, la quale in uno dei suoi monologhi,
rappresentante i gemiti dell’orgasmo, offrì agli spettatori allibiti un pezzo
unico da antologia; inoltre grazie a lei per la prima volta nell’elenco
interminabile recitato ogni sera di sinonimi indicanti l’organo femminile fece
la comparsa quello stridente suono onomatopeico che tutti i napoletani veraci
ben conoscono di pucchiacca.
Lo spettacolo era intriso di vetero femminismo oramai datato e mostrava in
maniera palpabile di essere stato scritto da donne per le donne, a differenza
dell’immortale capolavoro di Ramon Gomez de la Serna, Seni, vero e proprio
inno all’anatomia femminile. Nonostante questa ottica riduttiva la performance
conservava un prorompente dinamismo verbale e rappresentava un proclama contro
tutte le sopraffazioni e i soprusi che le donne ancora oggi subiscono in ogni
parte del mondo dalla Bosnia all’Afganisthan.
Lo spettatore maschile, pur nella percezione della violenta metafora,
avvertiva un messaggio in cui la vagina appariva poco invitante. Una singolare
osservazione da specialista: aver constatato la strana assenza del punto G dai
monologhi.
La vera sorpresa fu la straordinaria interpretazione della nostra Marina
Confalone, volto noto al pubblico in spettacoli prettamente partenopei da
Eduardo a Salemme, la quale, accettando la sfida di una interpretazione fuori
dagli usuali canoni, ne uscì bucando letteralmente il palcoscenico.
Nel 2005 esce un libro rivoluzionario sull’argomento: La storia di V, scritto
da Catherine Blackledge, 400 pagine dense di notizie, un saggio(fig. 22) che
condensa la rivoluzione nella percezione della sessualità femminile attraverso
racconti mitologici e teorie biologiche, raffigurazioni artistiche e pratiche
mediche.
Come sempre quando a scrivere è una donna la visuale scientifica subisce
paurosi sbandamenti ed antiche e consolidate teorie vengono attaccate alla
baionetta.
Le pagine scorrono dense di notizie, mentre il leit motiv del libro verte
sulla glorificazione dell’orgasmo, la santificazione del clitoride ed il
trionfo della vagina. Un organo regina, intelligente ed in grado di
selezionare accuratamente le sostanze introdotte, grazie ad un ecosistema
interno in grado di rigettare il materiale genetico danneggiato e di far
compiere un esaltante viaggio agli spermatozoi con una serie di ritmiche
contrazioni innescate dall’orgasmo propiziatorio. Il pene non gode di grande
stima da parte dell’autrice, forse per difetto di conoscenza e viene relegato
al ruolo, accessorio e marginale, di fornire alla vagina un’adeguata
stimolazione per favorire la riproduzione.
Interessanti i paragoni e le curiosità prelevate dal regno animale. Veniamo
così a sapere che la iena maculata possiede un super clitoride di 17
centimetri, che le scimmie bonobo sono aduse allo strofinamento genito
genitale, alcuni ragni posseggono intricati canali interni per favorire
l’inseminazione, mentre le tacchine sono capaci di conservare a lungo lo
sperma e, dulcis in fundo, nelle femmine dei dugonghi è presente un ampio
imene.
Sul clitoride, descritto già con precisione dal medico arabo Avicenna, la
diatriba scatenata da Freud, che lo riteneva un omologo del pene in miniatura,
non accenna a placarsi, anche dopo la scoperta del punto G, dovuta al
ginecologo austriaco Grafenberg ed alla riscoperta dell’importanza
nell’innescare l’orgasmo dei muscoli vaginali, in particolare il pubo
coccigeo. Un patrimonio sconosciuto alle donne occidentali, ma ben noto in
Oriente dove tutte le appartenenti al gentil sesso sanno che uno dei loro
compiti principali è dare godimento agli uomini. Antichi manuali indiani come
l’Ananga Ranga o lo stesso Maometto raccomandavano un costante esercizio dei
muscoli vaginali per incrementare il reciproco godimento sessuale.
Un prezioso bagaglio di conoscenze ed abitudini calpestato dalla cultura
islamica, che diffondendo la pratica delle mutilazioni sessuali, ha negato per
secoli alle donne il piacere, devastando i loro corpi e relegandole in una
posizione assolutamente subalterna.
Mi sia consentito di chiudere questa breve carrellata intorno al pianeta
femminile ricordando una mia scoperta: il vaginometro(fig. 23-24), un
apparecchio utilizzato per la diagnosi e la cura della frigidità, del quale
per maggiori ragguagli rinvio al mio libro (fig. 25) La frigidità e la
verginità nella donna