Gli scacchi sono un gioco più volte millenario sulla cui
origine non vi è certezza e le prime notizie risalgono ad oltre 2000 anni fa,
dalla Cina dove il gioco si chiamava Siang-Ki e dall’India dove era chiamato
Chaturanga. Nei secoli successivi il gioco venne appreso dai Persiani e poi
dagli Arabi che lo introdussero in Occidente intorno all’anno 1000, anche se
alcuni ritrovamenti archeologici fanno pensare a precedenti contatti col mondo
romano.
Durante il medioevo il gioco si diffuse in tutte le corti e nei più famosi
castelli, divenendo in breve tempo da gioco dei re a re dei giochi. Nel
Cinquecento e nel Seicento cominciano a comparire i primi forti giocatori come
lo spagnolo Ruy Lopez e gli italiani Polerio e Gioacchino Greco detto il
calabrese.
Nel Novecento il gioco conosce un’enorme diffusione soprattutto nei paesi
dell’Europa dell’Est ed in Unione sovietica ed un ulteriore incremento si avrà
con la diffusione del computer e di internet.
La pittura è sempre stata attratta dalla cruenta battaglia che si svolge
sulle 64 caselle della scacchiera a partire da un oscuro artista attivo nel
1200 a.C. (fig 1), che ci narra come la stessa Nefertari amasse trascorrere il
tempo nella sua camera mortuaria dilettandosi nel giocare con l’eternità, a
Scacco matto (fig 2), opera eseguita nel 2004 dal pittore statunitense Zylack
Sue, nella quale due giovinette si affrontano senza esclusione di colpi.
In Italia le testimonianze più antiche sono un mosaico pavimentale (fig 3)
posto nella zona presbiteriale della basilica di San Savino a Piacenza,
risalente al secolo XI ed un particolare del soffitto (fig 4) della cappella
Palatina a Palermo realizzato nel 1143.
Nei secoli successivi abbiamo numerose rappresentazioni artistiche del gioco
con l’utilizzo dei più diversi materiali dall’avorio al vetro, dai codici
miniati all’affresco.
Segnaliamo alcuni esiti di gran pregio, nei quali spesso si confrontano un
uomo ed una donna, a simboleggiare le schermaglie di un approccio amoroso dal
dubbio risultato: il re Otto di Brandeburgo (fig 5), impegnato su una
singolare scacchiera con minor numero di caselle, raffigurato nel 1320 su un
Libro delle ore conservato nella Universitatbibliotek di Heidelberg, la Dama
di Verzù (fig 6) che sfida impavida il cavaliere di Borgogna, immortalata da
un anonimo in una decorazione sita in palazzo Davanzati a Firenze, Tristano ed
Isotta (fig 7) che bevono avidamente un filtro d’amore incuranti del movimento
dei pezzi e Due nobili (fig 8) che si sfidano elegantemente vestiti con
stupefacenti copricapi in una vetrata dell’Hotel della Bessee a Villefranche
sur Saone, apparentemente più attenti al loro incontro ravvicinato che al
risultato della partita.
Passiamo ora a descrivere, anche se brevemente, una serie di dipinti, tra i
più famosi illustranti il gioco degli scacchi, che i più maturi appassionati
ricorderanno sulle copertine dell’Italia scacchistica nei lontani anni
Settanta. Sono tele quasi sempre contrassegnate da un errore nella
disposizione della scacchiera con il nero e non il bianco alla destra del
contendente.
Partiamo forse dal più celebre (fig 9) di Girolamo da Cremona, eseguito
intorno al 1475 – 80 e conservato al Metropolitan di New York, nel quale
giovani parrucconi assistono ad una tenzone tra un gentiluomo ed una damigella
anche loro dalle bionde chiome debordanti. Passiamo poi ad un quadro (fig 10)
di Giulio Campi, anche lui di Cremona, il quale nel 1550 ci fornisce la sua
interpretazione del nobile gioco con una tela conservata a Torino nel museo
civico. In breve svolgere di anni abbiamo poi Alberto duca di Baviera che
sfida la sua sposa (fig 11) assistito dai dignitari della sua corte e con
l’assistenza dei rispettivi cagnolini in una severa tela eseguita da Hans
Muelich nel 1552, la celebre Sofonisba Anguissola, anche lei nativa di
Cremona, che ci dà un’interpretazione tutta femminile (fig 12) del nobile
gioco in un dipinto del 1555 conservato a Poznam nel museo Narodowe e
concludiamo con Alessandro Varotari detto il Padovanino che nel 1630 ci
fornisce un’immagine erotica del gioco (fig 13) con una Venere, nello
splendore della sua abbacinante nudità, assistita da Cupido, che cerca di
vincere il truce Marte con una profferta amorosa alla quale è arduo resistere.
Prima di passare ai secoli successivi segnaliamo una superba tela (fig 14) di
Lucas van Leyden eseguita nel 1510 e conservata a Berlino nella Gemaldegalerie,
nella quale la scacchiera è stata erroneamente delineata con un numero di
caselle spropositato, a lampante dimostrazione della scarsa attenzione
dedicata dai pittori alla realtà ottica della scena rappresentata, mentre i
committenti delle opere sono costantemente membri della nobiltà e dell’alta
borghesia ansiosi di essere immortalati, pensosi e meditabondi, mentre sono
alle prese con l’avversario, spesso una desiderabile pulzella.
Prima di entrare nell’Ottocento ci confrontiamo con una tela eseguita dal
Tischbein eseguita nel 1785 e conservata all’Ermitage di San Pietroburgo (fig
15) nella quale Corradino di Swabia e Friedrich di Baden attendono
ansiosamente in carcere la sentenza ed occupano trepidamente il tempo in
interminabili sfide a scacchi.
La moda dell’Oriente ebbe grosso successo nella pittura europea di metà
secolo e ne abbiamo due esempi: il primo di un modesto carneade del pennello
Rorbye Martinius che nel 1845 ci raffigura (fig 16) alcuni anziani con i loro
turbanti sfidarsi incuranti della calura pomeridiana, il secondo di un gigante
della pittura Eugene Delacroix, che in un fantasmagorico gioco di colori ci
rappresenta due arabi intenti al gioco (fig 17) in un quadro del 1847
conservato nella Galleria nazionale di Edinburgo.
Abbiamo poi un altro famoso artista, Honorè Daumier, egli stesso appassionato
giocatore, che immortala due pensosi scacchisti (fig 18) nel delicato momento
del centro partita in una famosa opera del 1863 conservata a Parigi nel museo
del Petit Palais, seguito da Alma Tadema che ci trasporta indietro nel tempo
all’epoca dei faraoni e a differenza di altre sue tele, dove raffigura con
grande precisione mobili e suppellettili del passato, contrabbanda per scacchi
un differente gioco (fig 19) sicuro che il proprietario della sua opera
eseguita nel 1879, un facoltoso collezionista privato svizzero, non si
accorgerà di nulla.
Estremamente realistica la scena raffigurata da Gerolamo Induno nella sua
partita di scacchi (fig 20) di palpabile realismo tra eleganti contendenti,
eseguita nel 1881 e conservata a Milano nella Galleria d’arte moderna. Di
stupefacente realismo sono anche i dipinti di Luigi Mussini che nel 1883 ci
rappresenta un torneo di scacchi alla corte di Spagna (fig 21), di Giulio
Rosati che ci mostra un cardinale col suo rosso mantello che sfida due garbate
signore (fig 22) e Raffaello Sorbi che nel 1899 ci ricorda che il gioco non
era privilegio di nobili e dame di corte, ma era praticato anche dal popolo,
come nell’osteria di Fiesole (fig 23), dove tra libagioni e manicaretti vi era
il tempo di una sfida sulle 64 caselle.
Nel Novecento abbiamo artisti importanti che dedicano la loro attenzione alla
rappresentazione del gioco (fig 24) ed alcuni divengono addirittura giocatori
di professione come Marcel Duchamp, che preso dal demone degli scacchi,
abbandona la pittura per trascorrere intere giornate a muovere con sottile
arguzia cavalli, torri ed alfieri o Renè Magritte che si immedesima nello
sconforto del perdente (fig 25) ipotizzando che possa giungere al suicidio.
Altro grande artista è Paul Klee, figura di spicco dell’astrattismo, che
giunge ad una scomposizione della scacchiera (fig 26), in una sua opera del
1931 conservata a Zurigo nel Kunstmuseum, dove si giunge ad una sublimazione
di una forma dai confini indefiniti, mentre Karl Truppe nel 1942, quando il
fantasma della morte dominava il mondo, immagina una sfida con una posta che
non ammette rivincite (fig 27).
Chiudiamo la nostra carrellata quasi ai giorni d’oggi con un artista
contemporaneo Sgarra, il quale, in occasione dello scontro avvenuto a Cannes
nel 200 tra il leggendario Karpov ed il nascente astro francese Bacrot, si
ispira a Picasso (fig 28)per immortalare la grande sfida.
Achille della Ragione