Il crepuscolo dei diritti e della dignità umana

di Achille della Ragione

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  1. L’odissea delle consulenze mediche esterne e delle udienze
     
  2. L’amore al tempo della galera
     
  3. Giornalieri esempi di follia giudiziaria
     
  4. L'abuso vergognoso delle perquisizioni
   

1° Maggio 2013

(1^ puntata)

L’odissea delle consulenze mediche esterne e delle udienze

Molti penitenziari, anche di primaria importanza, si trovano per lungo tempo sforniti di figure fondamentali quali il chirurgo, l’ortopedico, il neurologo per cui i pazienti vengono inviati all’esterno per la consulenza medica necessaria che dovrebbe avvenire presso l’ambulatorio, riservando solo ad indagini strumentali, quali TAC o risonanza magnetica (per le quali vi è un’attesa media di un anno) i pazienti che ne hanno bisogno.
Spesso si tratta di pazienti che versano in gravi condizioni di salute e qui comincia l’odissea, ma sarebbe più opportuno parlare di inferno, del trasferimento del detenuto verso il nosocomio.
Si appongono le manette e si viene stipati in blindati con uno spazio a disposizione inferiore al mezzo metro quadrato dove si trascorrono ore ed ore in condizioni disumane per raggiungere l’ospedale, eseguire l’accertamento ed attendere che tutti terminino i propri.
Tra partenza ed arrivo spesso trascorrono 4-5 ore durante le quali si è costretti ad attendere in una scatola di ferro priva di luce dove la temperatura a volte supera i 40 gradi.
E si tratta di cardiopatici, malati anziani, a volte incontinenti.
Quale giudizio si può esprimere: nessuno, se non rabbia, indignazione, impotenza.
Un discorso a parte è la partecipazione dei detenuti alle udienze: sveglia alle 6, alle 7 si viene smistati nelle celle di attesa, quindi, ammanettati a due a due, si comincia il lungo viaggio, a volte di ore, stipati in quattro in cubicoli sempre di un metro quadrato. Ancora nuova, interminabile attesa di ore prima di essere ammessi davanti alla corte, senza nemmeno il tempo di potersi consultare con l’avvocato, né, tanto meno, consegnare importanti documenti processuali.
L’udienza dura pochi minuti ed a quelle del tribunale di sorveglianza non può assistere il pubblico: una vera e propria caricatura della giustizia che, in nome del popolo italiano, in pochi minuti, decide il destino di una persona.
Il tribunale di sorveglianza si è trasformato in un vero e proprio 4° grado di giudizio che, applicando con insindacabile severità ogni questione, ha vanificato i provvedimenti sfollacarceri emanati dal precedente governo con detenuti a pochi mesi dal fine pena che non hanno mai usufruito di un permesso perché giudicati pericolosi o bisognevoli di ulteriore osservazione che dovrebbe durare sei mesi, ma spesso copre tutto il periodo da espiare

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20 Maggio 2013

(2^ puntata)

L’amore al tempo della galera

Avrei voluto intitolare questo capitolo Il sesso nelle carceri poi sono stato attirato da questo titolo di derivazione cinematografica e ho deciso di adottarlo per discutere di quello che, a parere dei detenuti, quasi tutti molto giovani, è la privazione più grave: l’impossibilità di continuare a praticare una dignitosa affettività con le persone care, anche loro condannate, senza alcuna colpa, alla stessa pena e non vogliamo parlare solo di sesso negato, ma anche dell’impossibilità di continuare ad intrattenere un decente, anche se discontinuo rapporto, con i propri figli in tenera età, che sono sottratti per lunghi periodi da qualsiasi contatto col genitore.
Si tratta di un tema scottante, tale da suscitare imbarazzo e perplessità anche solo a parlarne, ma alcune nazioni, Svizzera, Spagna, Svezia lo hanno affrontato con coraggio ed hanno trovato delle soluzioni dalle quali prendere esempio.
L’argomento è talmente audace che si è voluto creare un termine ambiguo: affettività per aggirare la terminologia più esplicita di sesso, che potrebbe mettere subito in fuga moralisti e benpensanti.
Tutti riconosciamo che l’essere umano ha bisogno di affetto, tanto più quando viene a trovarsi in situazioni di disagio e senza dubbio la restrizione della libertà è una delle condizioni più penose da sopportare.
Nella repressione degli affetti si verificano gravi deviazioni, comprese quelle sessuali. A questo proposito lapidario è il pensiero di Friedrich Nietzsche: "È noto che la fantasia sessuale viene moderata, anzi quasi repressa, dalla regolarità dei rapporti sessuali, e che al contrario diventa sfrenata e dissoluta per la continenza e il disordine dei rapporti." (“Umano, troppo umano”, I, n. 141).
Allora la soluzione va cercata in una politica illuminata che, nell’esecuzione della pena, privilegi sin dall’inizio, se non è possibile l’uscita dal carcere, almeno l’incontro periodico coi propri cari e non il distacco netto e la drastica separazione, causa di infiniti problemi esistenziali, di relazione e interpersonali.
Nell’interno del carcere è opportuno creare degli ambienti, che pur rispondendo a tutti i requisiti di sicurezza, offrano al recluso ed ai suoi familiari dei momenti di intimità. Se un detenuto riesce a mantenere una rete solida di rapporti affettivi, oltre a tollerare di buon grado la pena da scontare, corre molti meno rischi di tornare a commettere reati, inoltre conserva un comportamento corretto, quando queste occasioni di incontri ravvicinati… sono subordinati ad un condotta assolutamente irreprensibile.
Prima di considerare gli incontri intimi bisogna valutare tutta una gamma di possibilità intermedie, che vanno dai colloqui gastronomici, la possibilità di consumare un pasto con parenti ed amici, alla facoltà per i familiari di partecipare a giornate particolari come il Natale o la Pasqua ed infine, molto importanti, gli incontri con i propri figli in tenera età, in ambienti opportuni e, se richiesta, con l’assistenza di psicologi ed operatori sociali.
Le sorprendenti scoperte di Reich hanno dimostrato in maniera inequivocabile quanto la repressione sessuale generi violenza e come le istituzioni tendano a canalizzare l’esplosione di queste pulsioni primitive per utilizzarle nei conflitti bellici.
La violenza che si produce nelle carceri, impedendo anche solo la parvenza di un’attività sessuale, non giova a nessuno, certamente non alla società che si trova a ricevere individui incattiviti, nei quali cova l’odio e la vendetta, invece che la volontà di reinserimento.
La storia del carcere è lunga quanto quella dell’uomo, ma le segregazioni nell’antichità (Roma docet) e nel medio evo ripugnano la sensibilità moderna per le atrocità ed il costante utilizzo della tortura, per cui un’analisi storica sulla nascita dei sistemi penitenziari bisogna farla risalire alla nascita della società industriale ed all’accentuazione dell’esercizio del potere dello Stato, in momenti dominati dalla cultura religiosa, che ha sempre dato al sesso una valenza particolare di demonizzazione.
Pensiamo alle Lettere di San Paolo ai Padri della chiesa, ad Origene, a San Girolamo, a Sant’Agostino, fino ad Alberto Magno e San Tommaso d’Aquino. Di conseguenza una soluzione al problema "affettività", intesa in particolare nella sua dimensione sessuale, deve cominciare necessariamente attraverso una critica storico culturale puntuale e puntigliosa. Dobbiamo ripercorrere e rivisitare tutta la nostra tradizione culturale sull’argomento, ereditata in duemila anni di storia dell’Occidente, che ha accompagnato ed influito sul concetto del sesso e del piacere in generale, vissuto costantemente come peccato, male necessario solo per la procreazione ed a salvaguardia della specie.
La cattolicissima Spagna o la democratica Svizzera da tempo consentono i "colloqui intimi" ed hanno ottenuto ottimi risultati.
In Italia per evitare che qualcuno confonda le "stanze dell’affettività" con le "celle a luci rosse" è necessaria un rivoluzione culturale. La pena è privazione della libertà, ma non deve significare anche distruzione degli affetti ed annullamento completo di una normale vita sessuale.
Naturalmente non bisogna considerare unicamente le esigenze di affettività degli uomini sposati o conviventi, trascurando i bisogni, impellenti ed improcrastinabili dei più giovani, che non hanno legami fissi, ma in compenso hanno ormoni in ebollizione e desideri difficile da placare. La masturbazione o l’omosessualità, i rimedi ai quali sono obbligati non sono certo la soluzione del problema.
Anche per loro bisogna predisporre un programma che tenga conto delle loro esigenze.
In Italia il meretricio è legale e sarebbe eccessivamente licenzioso pensare ad una cooperativa di prostitute che si convenzioni con le istituzioni carcerarie?
Vi sarebbe spazio anche per volontarie, moderne suffragette pronte ad immolarsi per una giusta causa, eventualmente anche per fanciulle poco attraenti, in virtù del fatto che molti detenuti a seguito della lunga astinenza sarebbero pronti a tutto…
Naturalmente agli ammogliati sarebbe vietato di accedere a questo servizio.
Naturalmente la prestazione sarebbe a spese del recluso.
Naturalmente sarebbe un evento sporadico molto dilazionato nel tempo.
Naturalmente potrebbero usufruirne solo quelli che osservano una condotta corretta.
Naturalmente tutti, politici ed opinione pubblica devono impegnarsi per risolvere lo spinoso problema.

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2 giugno 2013

(3^ puntata)

Giornalieri esempi di follia giudiziaria

In questi giorni assistiamo ad un triste spettacolo: di una magistratura, vistasi assediata e sempre più delegittimata, la quale sta dando, disperatamente gli ultimi colpi di coda, mettendo in mostra gli anacronismi lasciatici in eredità dalla costituzione, che nella spartizione dei poteri, non è riuscita a garantire un reale equilibrio tra gli stessi, concedendo ad un manipolo di PM, attraverso milioni di costose intercettazioni a strascico di acquisire una quantità di informazioni, tale da poter ricattare chiunque.
Diteci in quale Paese del mondo un capo di governo può essere sottoposto a 300.000 intercettazioni senza gridare al golpe. Dove un magistrato datosi alla politica, non rientra nella sede predestinata, costringendo, evento rarissimo, il CSM a bacchettarlo nel tentativo di metterlo in regola.
Dove una procura chiama a deporre le più alte cariche dello stato, incluso il Presidente della Repubblica, creando un clamoroso precedente, in un momento delicato, in cui abbiamo bisogno di regole e non di eccezioni, soprattutto in un processo nel quale da pochi giorni la Corte Costituzionale aveva dato torto ai PM, sancendo solennemente la posizione di Napolitano.
E non possiamo esimerci dal prendere in esame l’andamento del processo Ruby, dove si persegue un teorema, più che la ricerca della verità, accusando il cavaliere Berlusconi di corruzione di minorenne, senza alcuna prova testimoniale e di concussione di funzionario pubblico, senza chiedersi se il tentativo sia avvenuto nella veste istituzionale, allora la competenza è spostata automaticamente al Tribunale dei ministri o se da privato cittadino e perché il funzionario avrebbe dovuto esaudire la richiesta.
La colpa di questa follia giudiziaria non dipende solo dai PM in preda a protagonismo e giustizialismo, ma ha origini remote.
La magistratura, come corpo organico di impiegati pubblici, è un grande apparato burocratico che non esiste in nessuna delle democrazie liberali, dove la Giustizia si esercita con procedure più garantiste per l’imputato, derivate dallo habeas corpus. Da noi, per storia, natura e funzioni la magistratura è tutt’altro che garantista. Durante il fascismo serviva il tiranno. Caduta la dittatura, trasferita pedissequamente in un contesto pluralista si è trasformata, priva di controllo democratico in un potere folle come possiamo costatare ogni giorno.

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9 aprile 2014

(4^ puntata)

L'abuso vergognoso delle perquisizioni

Una delle pratiche più perverse alle quali sono sottoposti i reclusi, con un accanimento degno di miglior causa, sono le perquisizioni delle celle, che avvengono con ritmo incessante al punto da configurare senza ombra di dubbio il reato di stalking.
Nel migliore dei casi, prima delle 8 del mattino, una squadretta di 6-7 guardie penitenziarie si presenta all'improvviso ed invita perentoriamente gli occupanti della cella a svegliarsi, a lasciare la latrina, anche se nel pieno di un improcrastinabile bisogno fisiologico e dopo una perquisizione personale, chiusi a chiave in una saletta dove attendere la fine delle operazioni.
Nessuno può essere presente e qui viene a manifestarsi la prima grave irregolarità, perché chi può assicurarci che tendenziosamente non vengano portati dall'esterno corpi di reato: una bustina di droga o una lima, la cui proprietà poi venga contestata ad uno dei detenuti.
In tutti i penitenziari europei, alla stregua di ciò che avviene nel corso di una perquisizione domiciliare autorizzata dal magistrato, è permesso assistere alla stessa e se alla fine viene riscontrata qualche irregolarità, l'interessato può fare le sue osservazioni sul verbale di sequestro.
Un altro palese abuso è costituito dalla possibilità di leggere la corrispondenza conservata dal recluso e qui ci troviamo davanti ad un palese reato previsto e punito dal codice penale.
Infine, e questo è l'aspetto più inquietante, al ritorno nella cella, il più delle volte, il detenuto trova i suoi effetti personali sparpagliati sul letto se non a terra e deve a fatica cercare di rimettere a posto cose a cui tiene tantissimo: foto dei familiari, lettere, appunti, vestiti, generi alimentari.
Lo spazio fisico riservato ad ognuno è come sappiamo limitatissimo ed ancor più ridotto è quello dove riporre il necessario per sopravvivere: angusti armadietti con capienza limitata, per cui ci si arrangia conservando in scatoloni posti sulle bilancette ciò che materialmente non trova spazio negli armadietti.
Capita di frequente di trovare a terra tutto ciò che è contenuto in questi pietosi scatoloni, che vengono sequestrati e buttati nella spazzatura con minaccia di sanzioni disciplinari, che spesso fanno bollire di rabbia e per non reagire è necessaria una pazienza superiore a quella di quella di Giobbe.

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(continua)

 

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