Le chiese di Ischia:
 
"Forio"

di Achille della Ragione

Chiesa di San Francesco d'Assisi

La chiesa del Soccorso

Chiesa di San Carlo al Cierco

Arciconfraternita di Santa Maria Visitapoveri

Chiesa di Santa Lucia

Chiesa di San Gaetano

Chiesa delle anime del Purgatorio

Chiesa di San Francesco di Paola

Chiesa di Sant'Antonio Abate

Chiesa di San Michele Arcangelo 

Chiesa di San Francesco Saverio

Chiesa di San Leonardo

Arciconfraternita della Santissima Annunziata

Chiesa di Santa Maria al Monte

Chiesa di San Domenico

Chiesa di San Gennaro

Basilica di Santa Maria di Loreto

Arciconfraternita di Santa Maria di Loreto

Chiesa di San Francesco d'Assisi

La chiesa con il convento sorge nel 1646, in ottemperanza ad un voto fatto dalla popolazione foriana in occasione di una pestilenza; all'edificazione partecipa la locale Università con i proventi di una tassa sul vino.
Essa appartiene da sempre ai Frati Francescani, che hanno superato indenni la bufera della legislazione repressiva dei beni ecclesiastici, entrata in vigore nel 1866 all'indomani dell'Unità d'Italia, quando il monastero fu soppresso e l'ala occidentale con il chiostro venne adibita a sede municipale, destinazione che conserva anche ai nostri giorni.
In passato tutto il chiostro era affrescato con una serie di storie francescane, eseguite nel 1835 dal pittore Filippo Balbi, purtroppo oggi in condizioni precarie, più per l'incuria degli uomini che per l'inesorabile scorrere del tempo.
L'interno della chiesa è ad una sola navata con abside e presenta quattro cappelle tra loro comunicanti; il soffitto è riccamente adornato di stucchi, conchiglie e motivi floreali. Capitelli di stile corinzio sormontano sei eleganti lesene, su cui spiccano alcune telette con le stazioni della Via Crucis, opera di un ignoto autore settecentesco.
Numerosi sono i tesori d'arte conservati, tra questi vi è la pala d'altare, di notevoli dimensioni, rappresentante la Vergine che dà la regola a San Francesco, firmata da Giuseppe Simonelli, un allievo ancora poco studiato del grande Luca Giordano. L'opera presenta una iconografia alquanto rara ed è collocabile cronologicamente all'ultimo decennio del XVII secolo. L'artista venne molto lodato dal De Dominici, il celebre biografo settecentesco, il quale raccontava che molti forestieri compravano a caro prezzo i suoi quadri, scambiandoli per autografi dell'illustre suo maestro. Nel coro trovano inoltre posto, ai due lati, due quadri di scuola stanzionesca di modesta fattura, quindi, di dimensioni maggiori, altre due tele, di cui una firmata e datata 1778, di Carlo Ferrazzano, rappresentanti "Una Natività" ed " Una nascita di San Francesco".
Sulla navata sinistra, dopo un pregevole acquasantiere di marmo, sono presenti alcuni quadri molto guasti, frutto di una donazione della famiglia Castellaccio, illustranti dei miracoli e di nessun valore artistico.
L'altare maggiore, in marmi policromi, del 1745, reca ai lati due stemmi marmorei con le insegne del potere spirituale e del potere temporale. Nella zona absidale due busti lignei della metà del Seicento effiggianti San Giacomo della Marca e San Pietro d'Alcantara. Nel coro stalli lignei costruiti tra il 1755 ed il 1761, che venivano adoperati dai frati per la recita delle orazioni e dei salmi.
Nella navata destra, viceversa, sono collocati, nelle quattro cappelle, una serie di dipinti di Filippo Ceppaluni, un epigono giordanesco di buon livello, abile copista, che qui si esprime con garbo, ripetendo alcune iconografie di successo. Vi è una certa discrepanza tra alcuni dipinti, restaurati di recente, splendenti nella loro vivace gamma cromatica ed altri che hanno perso l'antica lucentezza del colore. La firma dell'autore è spesso presente e la data di esecuzione oscilla tra il 1721 ed il 1723. I soggetti rappresentati replicano quelli di moda all'epoca, dalla Pietà all'Annunciazione, dalla Deposizione alla Predica ai pesci.
Tra le numerose sculture lignee presenti nel sacro tempio, colpisce particolarmente una Filomena, riciclata in Santa Barbara, nel momento in cui la santa, famosa per le sue visioni, è stata declassata, scomparendo dal calendario.
Sull'altare della seconda cappella destra, troviamo poi quello che, a mio parere, è il più bel dipinto conservato in tutta Ischia: una Crocefissione( firmata e datata 1777) eseguita da Evangelista Schiano, un solimenesco di seconda battuta, attivo a Napoli in importanti chiese e celebri collezioni private. La tela rappresenta con grande emozione il momento culminante della crocefissione. Ad essa è sovrapposta una scultura raffigurante il Cristo in croce di notevole livello e di autore ignoto. Nella tela, il capolavoro dell'artista, si legge prepotentemente una coralità di sentimenti accesi e contrastanti, dal gruppo di soldati dai gesti perentori e solenni, alla schiera di donne rappresentate in movimento ai piedi della croce, impregnate di vibrante realismo e potente vigore cromatico.


Evangelista Schiano (particolare)

In alto, poco visibili, sulla cantoria vi sono altre due opere quanto mai interessanti: una Immacolata Concezione su tavola, erroneamente attribuita allo sconosciuto Andrea Bordone, mentre l'autore, come confermato dal professore Leone De Castris è un astro della pittura cinquecentesca : Marco Pino. Ed inoltre una Sacra Famiglia, che la Rolando Persico ha voluto attribuire al pennello di Anna Maria Manecchia, una poco nota pittrice, moglie di Nicola Vaccaro, presente a Forio nella chiesa di San Vito con la sua unica opera firmata e datata (1680).
Ma la chicca più preziosa della chiesa è custodita in sacrestia, visitabile a richiesta, grazie alla gentile disponibilità di padre Armando, un colto francescano, che sogna di allestire alle spalle dell'altare maggiore una piccola pinacoteca. Parliamo di una spettacolare Pietà, dai colori lividi e cianotici, da assegnare senza ombra di dubbio alla mano virtuosa di un gigante del secolo d'oro della pittura napoletana: Mattia Preti.
In passato la critica si è occupata del dipinto foriano ed ha adombrato l'ipotesi che potesse trattarsi di una copia. Ma sia le figure femminili che il volto del Cristo mostrano una morbidezza di tocco ed una preziosità materica che, vanamente, potremmo pretendere dalla mano di un copista, anche se molto abile. Se vogliamo invece vedere una copia di questa tela autografa, dobbiamo recarci al Prado, dove potremo ammirare lo stesso soggetto, ma di minore qualità, replicato da uno dei più noti allievi ed imitatori del Preti: lo spagnolo Pedro Nugnez de Villavicencio. Quanto siamo ricchi e spreconi noi napoletani! Conserviamo chiusa e non visitabile una tela di uno dei grandi maestri del Seicento europeo, mentre all'estero, in uno dei più celebri musei del mondo, espongono la copia....
uanto siamo ri cchi noi napoletani
La tela foriana va, viceversa, collocata nel primo periodo maltese dell'artista, poco dopo il 1660, quando il Preti, non potendo reggere la rivalità con il più giovane Giordano, si ritira nella tranquillità dell'isola di Malta, da dove, con inesausta fertilità, continuerà per quasi quaranta anni ad inviare le sue opere in Italia ed in Europa.

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La chiesa del Soccorso

La chiesa della Madonna del Soccorso, conosciuta anche come Santa Maria della Neve, è senza dubbio la più famosa di Ischia, immortalata da celebri pittori quali Vianelli e Duclere, ha portato in giro per il mondo l' immagine di Forio, non solo attraverso le innumerevoli cartoline illustrate, ma anche grazie ad un francobollo in uso per molti anni.
Posta su un enorme piazzale a picco sul mare, domina l'omonimo promontorio, dal quale con un po' di fortuna ed una buona dose di fantasia si può ammirare il leggendario raggio verde. La sua fama indiscutibile è legata non solo alla straordinaria posizione strategica su un panorama che lascia il segno, ma soprattutto alla sua singolare architettura, crogiuolo di vari stili, assurta a paradigma di chiesa isolana doc.
Faceva parte di un convento di frati agostiniani, edificato intorno al 1350 e soppresso nel 1653, a seguito della Bolla emanata da Innocenzo X.
L'edificio nel corso dei secoli ha subito sostanziali trasformazioni, infatti la chiesa primitiva era costituita soltanto dalla navata e dalla zona absidale, mentre mancavano sia la cappella del Crocifisso che la cupola sull'altare, costruite rispettivamente nel 1791 e nel 1854. La cupola precipitò per il terremoto del 1883 e venne sostituita dall'attuale di più modeste proporzioni. 
Il sagrato sviluppa una doppia rampa di scalini, distribuiti a semicerchio e transennati da bordi laterali rivestiti da mattonelle con motivi ornamentali multicolori, volti di santi e scene della passione di Gesù. Le maioliche, secondo l'opinione del Donatone, sono state eseguite da una fabbrica napoletana nella seconda metà dell'Ottocento.
La facciata segue la curvatura della volta a botte che ricopre l'unica navata; il lato destro è delimitato da un contrafforte, mentre il sinistro ingloba il campanile dall'audace cuspide.
Superato il portale seicentesco, l'interno riveste particolare interesse per il succedersi di vari tipi di volta. Una cornice aggettante corre lungo le pareti e trabocca letteralmente di modellini di velieri di varie epoche e dimensioni, ex voto di una popolazione i cui destini si sono nei secoli intrecciati con gli imprevedibili capricci del mare.
Entrando, a sinistra, dopo aver ammirato un'acquasantiera settecentesca a forma di conchiglia con mensola e peduccio, ci imbattiamo nella cappella del Crocifisso, che costituisce il punto focale del tempio per l'assidua frequentazione dei fedeli. Essa è coperta da una volta a crociera ed è chiusa da una balaustra in marmo ed una ringhiera in ferro. Da secoli si venera un Crocifisso taumaturgico di manifattura catalana inizio Cinquecento, epoca in cui fu rinvenuto a mare nello specchio d'acqua prospiciente la chiesa, unico oggetto superstite di una nave naufragata. La preziosa scultura è conservata in una nicchia posta su di un altare settecentesco in marmi policromi. Ai lati si notano due medaglioni in marmo provenienti da un sarcofago smembrato, un tempo nell'antica Cattedrale; essi secondo il Monti sono databili orientativamente alla prima metà del secolo XVI. Sulle pareti laterali della cappella due dipinti di ignoto eseguiti intorno al 1745 da un pittore locale. L'uno rappresenta l'Andata al Calvario, l'altro è una copia della Pietà di Ribera, conservata nella Certosa di San Martino. Sull'arco della cappella, infine, vi è una serie di quindici puttini modellati in cartapesta e dipinti, che reggono i simboli della Passione.
Nella seconda nicchia alla parete sinistra vi è una scultura in legno policromo raffigurante San Luigi Gonzaga, opera di un mediocre artista locale, attivo nella prima metà dell'Ottocento.
Proseguendo si entra in sacrestia ove sono conservate una vasca quattrocentesca d'artigianato campano ed alcuni dipinti, tra cui spicca una tavola, dalla superficie in pessimo stato di conservazione, raffigurante Cristo portacroce e la Vergine, eseguita nel 1554 per conto di tal Bernardino Migliaccio. Classificata nelle schede della Soprintendenza come opera di ignoto, ispirato ai modi del Roviale spagnolo, il quadro viceversa è stato assegnato a Marco Pino da Leone de Castris, anzi costituisce, secondo il noto studioso, l'esordio della lunghissima permanenza in area napoletana dell'artista toscano. 
Giungiamo così nella zona dell'altare maggiore, donato nel 1743 da Cristoforo Coppa, il quale, abbastanza modesto, si colloca in una tipologia molto diffusa all'epoca.
In fondo al presbiterio, in una nicchia, vi è una statua lignea policroma, raffigurante la Madonna del Soccorso, coeva agli anni in cui fu eseguito l'altare. La scultura richiama lo stile di Francesco Picano (notizie dal 1712 al 1747), collaboratore a volte del più famoso Giacomo Colombo.
Nella zona absidale è presente un pavimento, che probabilmente si estendeva in passato per tutta la superficie della chiesa. Esso è simile a quello che si trova nella sacrestia di Santa Maria di Loreto ed è costituito da maioliche a cellula quadripartita, che formano un fiore alternato da una stella
Esaminando la parete destra, sull'ingresso si staglia una pila per acquasantiera in marmo bianco, assegnata tradizionalmente a Vincenzo Borquera, che l'avrebbe scolpita nel 1610. Probabilmente ricavata da materiale di spoglio riutilizzato sull'orlo della vasca si legge però, anche se con difficoltà, in una scritta dedicatoria, la data 1688 ed i nomi di Giovanni e Francesco Monte, i committenti.
Le due cappelle sul lato destro presentano l'altare in legno dipinto a finto commesso con volute, fiori e motivi fogliacei, i pavimenti, venuti alla luce di recente, sono probabilmente coevi a quelli della zona absidale e sono attualmente in fase di restauro e studio.
Nella prima cappella, provenienti dalla sacrestia, vi sono, in mediocre stato di conservazione e datati 1581, frammenti di tavola dipinti, divisi in due scomparti laterali con tre scene ciascuno: Visitazione, Predica di Sant'Antonio ai pesci, Santa Caterina d'Alessandria, Nascita di Gesù, Miracolo della mula e Santa Lucia. In basso una trabeazione con scritta dedicatoria e ritratti delle committenti, tutte donne, circostanza quanto mai eccezionale e definite maestre. Gli scomparti erano originariamente posti ai lati di una tavola, rappresentante Sant'Antonio da Padova, ora scomparsa.
Nella seconda cappella, infine, firmata e datata, 1633, da Cesare Calise, è collocata una grossa tavola con Sant'Agostino, Santa Monica e San Nicola da Tolentino. Il quadro, del tutto ignaro della doppia permanenza a Napoli del Caravaggio e della sua rivoluzionaria lezione, gronda retrivo tardo manierismo e pregnanti rimembranze della pittura di Raffaello.

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Chiesa di San Carlo al Cierco

Se si percorrono le tortuose stradine della Forio medioevale, rimaste miracolosamente indenni alla furia devastatrice del piccone e del cemento della scriteriata speculazione edilizia degli ultimi anni, conservando un andamento sinuoso con numerose curve, fiancheggiate da abitazioni rustiche immerse nel silenzio, si ha l'impressione che il tempo si sia fermato e l'ansia che ci attanaglia quotidianamente finalmente si placa.
La via Gaetano Morgera conserva l'antico tracciato e le primitive costruzioni; percorrendola dopo un po' ci imbattiamo in un gioiello di architettura locale, edificato nel 1620 da Sebastiano Sportiello, per adempiere ad un voto: la chiesa di San Carlo al Cierco, dal nome della frazione o più semplicemente di San Carlo Borromeo, dal santo effigiato sull'altare maggiore. Essa fu fino al 1807 grancia della parrocchiale di San Vito ed alle spese per il suo mantenimento partecipava la locale Università. Essa svettava poderosa grazie ad una cupola con lanternino di notevole altezza, posta all'incrocio del transetto con la navata, come ben si evince da un raro disegno del Mattei del 1847. Purtroppo il disastroso terremoto del 1883 provocò il crollo sia della cupola che della volta a botte che ricopriva la navata. Altri danni, anche se di minore consistenza, furono arrecati alla chiesa dall'alluvione del 1910.
Una caratteristica singolare della chiesa è costituita dall'ampio utilizzo del tufo verde, una pietra locale adoperata generalmente nelle costruzioni, che invece qui viene usato con rustica eleganza nel portale esterno, negli archi, nel cornicione aggettante, nei pilastri ed addirittura per il rivestimento di alcune cappelle.
La facciata presenta al di sopra del portale un timpano semicircolare nel quale è inserita una lapide. Più in alto una finestra anch'essa in tufo verde è sormontata da un'edicola nei cui due fornici trovano posto le campane.


S. Carlo al Cierco, interno

L'interno, a pianta basilicale, presenta una sola navata, protrudente in un ampio transetto; nelle pareti laterali si aprono tre archi, mentre al di sopra dell'architrave, sulla fascia del fregio, si alternano ai triglifi le metope affrescate. La volta della navata e della zona presbiteriale presenta a vista una copertura lignea, rinforzata prudenzialmente da travi di ferro. I due ampi bracci del transetto sono coperti da volta a botte e prendono luce da una finestra centrale.
L'interno costituisce una vera e propria pinacoteca del pittore foriano Cesare Calise (Forio 1560 circa- Napoli 1640 circa), documentato tra il 1588 ed il 1636 e ricordato anche dal De Dominici, un tardo manierista ruspante quanto carico di devozione. Egli vi lavora infatti per molti anni, tra il 1620 ed il 1635 ed a lui appartengono tutte le tavole, le tele e gli affreschi conservati nella chiesa, anche la pala sull'altare maggiore, attribuita da alcuni studiosi ad un altro artista. Alle opere realizzate in loco si è aggiunta di recente un'altra opera del Calise, comparsa sul mercato antiquariale e prontamente acquistata dai fedeli: una Madonna della Libera con in basso un panorama di Forio, eseguita nel 1614. Inoltre anche la volta, crollata nel terremoto del 1883, era completamente affrescata dall'artista.
Unica opera di un certo rilievo, estranea a questo singolare ciclo pittorico, è una statua lignea settecentesca rappresentante la Madonna della Libera.
Entrando, alle due pareti laterali, incontriamo le prime opere del Calise, firmate e datate 1635, sono due tempere grasse su intonaco raffiguranti la Pietà e la Crocifissione di San Pietro.
Proseguendo nel transetto sinistro un altro dipinto del 1635, con San Francesco che riceve il Bambino dalla Vergine, completato da una lunetta in cui il Santo è raffigurato mentre riceve le stimmate. Una tela eseguita dall'artista, già avanti negli anni, contrassegnata da una pacata disposizione dei personaggi, da una discreta padronanza nell'uso del chiaroscuro e da atteggiamenti di serena dolcezza nelle fisionomie.
Modesto l'altare maggiore in marmi policromi realizzato nel 1874 per incarico di Aniello Sportiello.
La pala d'altare non è firmata, ma può tranquillamente essere assegnata al Calise, essa rappresenta San Carlo Borromeo in preghiera e richiama la tela di analogo soggetto, conservata a Napoli in San Domenico Maggiore, attribuita a Filippo Vitale e Pacecco De Rosa, della quale ricalca gli stessi particolari somatici dall'impresentabile naso, affilato ed aquilino, agli stessi dettagli nell'abbigliamento.
Sui pilastri della zona absidale vi è una serie di quattro coppie di dipinti, a tempera su intonaco, raffiguranti santi, attribuibili ad un collaboratore del Calise e realizzati in contemporanea agli ultimi lavori di edificazione della chiesa. Sempre alla bottega sono assegnati i trentuno dipinti sulla controfacciata e su le pareti laterali in alto. Essi costituiscono una decorazione di tipo metopale, con crocifisso e serie di ritratti di santi a mezzo busto, incorniciati ed alternati da triglifi in tufo verde.
Ed infine, sull'altare del transetto destro, firmato e datato 1635, un dipinto con la Visione di San Giacinto del Calise, nel quale la parte più bella è costituita dalla Madonna con il Bambino, con in basso un gruppo di angioletti, affini anche nelle fisionomie a quelli presenti nella Madonna del Rosario, conservata nella chiesa di San Sebastiano di Barano. Il committente, ritratto in basso a sinistra, può essere identificato con Sebastiano Sportiello, il quale fece edificare la chiesa, come già ricordato, nel 1620.

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Arciconfraternita di Santa Maria Visitapoveri

Affianco alla chiesa di San Francesco d'Assisi, quasi nascosta in un angolo della piazza, si trova l'Arciconfraternita di Santa Maria Visitapoveri, della quale si presume una fondazione antecedente al 1600, anche se la certezza della sua esistenza risale a partire dal 7 ottobre del 1601, data di un testamento di una tal Caterina Catalano, la quale lascia i suoi beni all'arciconfraternita. 
I documenti più antichi conservati nell'archivio sono: un libro di conti del periodo 1614-1618 ed un elenco degli amministratori a partire dal 1614.
I lavori dell'oratorio annesso, dedicato alla Madre delle Grazie e delle Misericordie, durarono alcuni anni, almeno fino al 1620, perchè sul capitolo della congrega, in tale anno, è annotata una spesa per l'acquisto delle pietre necessarie al completamento della cupola. La confraternita fu a lungo il motore di un'intensa attività spirituale e di mutuo soccorso, non solo verso tutti gli associati, ma anche verso i poveri ed i bisognosi.


Arciconfraternita Visitapoveri, interno

Nel 1670 un furioso incendio colpì l'oratorio, distrusse arredi e suppellettili, ma in breve tutto fu rinnovato ed il culto ripartì con maggior lena.
Nel corso del Settecento furono eseguite ampie ristrutturazioni, fu leggermente modificata la facciata per far posto alla cantoria con l'organo e venne rinnovata la decorazione interna, per la quale venne chiamato il celebre stuccatore Francesco Starace, che abbiamo visto attivo anche in altre chiese dell'isola.
Il 30 settembre furono approvate dalla Regia Camera di Santa Chiara le Capitolazioni e le regole della confraternita. Il 2 agosto 1829, Visitapoveri ottenne il titolo onorifico di Arciconfraternita.
L'architettura dell'edificio presenta un'originalità singolare nella sua duplice facciata. Una chiude il cortile l'altra la chiesa. Quella esterna nacque nel 1660, contemporaneamente alla costruzione della contigua chiesa di San Francesco, per la cui edificazione furono abbattute alcune stanze della confraternita, al cui posto sorse l'attuale atrio. Essa è costituita da uno stipite in piperno decorato da scanalature ed in alto da un frontone spezzato, nel quale è inserito un ovale in mattonelle maiolicate raffigurante la Madonna delle Grazie, databile alla seconda metà dell'Ottocento.
La facciata interna è invece di forma rettangolare e presenta nella parte superiore due pinnacoli fiancheggianti l'edicola di gusto fanzaghiano.
L'interno ha un'unica navata, ristretta dalla presenza di poderosi stalli lignei, che coprono i due lati, costituendo il coro, molto simile nel disegno a quello della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Secondo il Buonocore fu eseguito nel 1829, quando la Congregazione fu eletta Arciconfraternita, in sostituzione di uno più antico. Esso è costituito da una triplice fila di sedili con parapetti a balaustri intervallati da gradini; nella zona presbiteriale presenta una sola fila di sedili con parapetti e la parte dorsale è decorata da borchie e da timpano spezzato.
Le lunette della volta a botte inquadrano sei dipinti, che risaltano maggiormente grazie alle decorazioni di splendidi stucchi, che ricoprono le membrature. Nella zona dell'altare vi è la cupola, a forma di scodella, su pennacchi sferici.
Il periodo di maggior attività e rigoglio artistico fu il Settecento, infatti, nel 1756, furono acquistate le statue del Cristo risorto, della Madonna e di San Giovanni, tra il 1775 ed il 1780, il Di Spigna, che fu anche priore nel 1754, dipinse i quadri che adornano i lati della chiesa, nel 1780, furono eseguiti da Francesco Starace gli stucchi, nel 1791, si portarono a compimento la cantoria, l'organo ad opera di Giuseppe Gallo ed il pavimento maiolicato, capolavoro di Ignazio Chiaiese, celebre riggiolaro napoletano. Ed infine l'altare di marmo, con uno stupendo paliotto, realizzato da Antonio di Lucca ed i sedili di legno furono aggiunti sul finire del secolo.
La chiesa rappresenta una vera e propria pinacoteca del pittore lacchese Alfonso Di Spigna. Descriviamo per primi la serie di sei dipinti posti sulle pareti laterali che raffigurano, partendo dall'ingresso verso il presbiterio, l'Immacolata, l'Annunciazione, lo Sposalizio mistico e, sulla parete sinistra, nell'ordine inverso, la Visitazione, l'Adorazione dei pastori e l'Assunzione.
Le tele, grazie alla scoperta di nuovi documenti (1982) da parte del Di Lustro, hanno avuto una più corretta collocazione cronologica agli anni tra il 1775 ed il 1780. Questa circostanza ha permesso di correggere alcuni giudizi critici precedenti, soprattutto riguardo l'ovale della Natività il quale non anticipa, come sostenuto nel 1968 dall'Alparone, la tela omonima della chiesa di San Michele, datata 1646, bensì la segue di circa trent'anni. Tutti i dipinti sono caratterizzati dall'uso di un cromatismo molto chiaro con l'uso di tonalità pastello, preferite dall'artista negli ultimi anni della sua attività. Le tele sono immerse in un'atmosfera lieve e surreale, dovuta all'uso di una tavolozza dai colori delicati e trasparenti. Dai personaggi rappresentati traspare una calma ed una serenità interiore associata ad una gestualità misurata e pacata.
Nella zona presbiteriale, sulla parete sinistra, vi è una copia del Battesimo di Cristo, eseguita dal Reni a Napoli ed ivi conservata nella chiesa dei Gerolamini. La tela, interpretabile anche come l'Incontro di Gesù col Battista, risulta donata alla congregazione, intorno al 1771-1774, da Benedetto Lipari, che la teneva da tempo a casa. Attribuita al Di Spigna o ad Anna Maria Manecchia , nuora di Andrea Vaccaro dagli studiosi locali, al momento è da considerare di ignoto.


copia da Giudo Reni

Al centro l'altare maggiore, realizzato nel 1750, presenta al centro del paliotto un rilievo raffigurante la Madonna ed il Bambino. Un elegante ciborio a baldacchino, con porticina in argento sbalzato, presenta un bollo camerale con la data di esecuzione.
Sull'altare troneggia, risaltata da una superba cornice in stucco, una Madonna delle Grazie col Bambino ed i santi Giuseppe e Rocco. In attesa di un esame radiografico, che dirima definitivamente la questione, la critica ritiene, sulla base di alcuni documenti reperiti nell'archivio della confraternita, che il Di Spigna abbia ridipinto, nel 1768, una tela eseguita da un ignoto pittore nel 1630. L'artista è accertato che anche altre volte aveva lavorato su tele dipinte precedentemente da altri, sulla Madonna con Bambino e Santi di Montevergine e sul San Nicola da Tolentino in Santa Maria di Loreto. Il quadro mostra i segni della maturità assunta dallo stile neoclassico del Di Spigna, che scandisce piani e figure in maniera geometrica, mentre la tavolozza crea "un'atmosfera di rigoroso impianto accademico"
(Persico Rolando).
Sulla parete destra dell'altare vi è un Martirio del Battista, il quale, pur non risultando tra le tele documentate al Di Spigna gli può essere attribuita in base ad analogie con altre opere del pittore. L'angelo in volo ricorda altri panciuti e riccioluti puttini dispigniani ed anche l'agnellino, che affianca il Battista, è quasi una firma nascosta del lacchese.
Lungo tutta la navata e nella zona presbiteriale corre un pavimento maiolicato, in alcune zone molto rovinato, di notevole qualità, del quale non sono stati ritrovati nell'archivio della confraternita i documenti di pagamento. Esso è stato assegnato dal Donatone alla bottega della famiglia Chiaiese. Al centro il pavimento presenta un'originale ovale con due incappucciati in preghiera incorniciato da un motivo marezzato verde acqua. Particolarmente importanti sono le mattonelle poste ai lati dei gradini dell'altare, in migliore stato di conservazione, che presentano un elegante motivo rocaille in giallo ornato da ghirlande ed uccelli. Secondo il parere dell'attuale priore, tale gruppo di mattonelle fu aggiunto per ultimo, sfruttandone alcune residuate dai lavori in Santa Chiara a Napoli, decorazione oggi scomparsa per i noti eventi bellici, osservabile oggi solo, e parzialmente, a Visitapoveri.
Sulla volta della navata trova posto un'elegante decorazione parietale eseguita nel 1781 da Francesco Starace, il noto artigiano napoletano, il quale, in collaborazione con il fratello Cesare, esegue anche i celebri stucchi della chiesa dell'Annunziata a Napoli. La parte centrale della volta è decorata dal monogramma mariano, mentre attorno ai dipinti alle pareti sono presenti strombature ogivali impreziosite da corone di alloro, conchiglie e cartocci.
Passando poi nei locali della confraternita, incontriamo una orribile tavola rappresentante la Deposizione. Essa è datata 1721 ed è stata eseguita da Domenico Antonio Verde, mediocre pittore locale, autore anche della Maddalena nella chiesa di San Vito.
Tra le statue lignee conservate spicca uno splendido Angelo, di ignoto scultore seicentesco, il quale veniva adoperato, già a partire dal 1618, nella caratteristica processione detta la "corsa dell'Angelo", che avveniva il giorno di Pasqua. Il poderoso Angelo è rappresentato in piedi con il braccio destro levato in alto, con indosso un abito dorato ed eleganti calzari. L'opera risente del gusto della plastica tardo manierista napoletana.
Altre statue lignee, conservate nei medesimi locali, rappresentano la Madonna, il Redentore e San Giovanni. Queste sculture, ottocentesche, partecipano anch'esse alla processione, poste su delle robuste basi costituite da quattro ampie volute impreziosite da foglie, che inquadrano le facce decorate a traforo con foglie, racemi e conchiglie.
Per finire un'originale quanto macabra bara, utilizzata dall'Ottocento fino a pochi anni fa, per trasportare il feretro dei confratelli nel tragitto dalla chiesa al cimitero. A turno tutti gli iscritti usufruivano del passaggio... gratuito. La bara di un rosso smagliante poggia su quattro piedi a zampa di leone, sui lati è decorata da intagli dorati a racemi con fiori ed, al centro presenta una medaglia rilevata con la Madonna delle Grazie.

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Chiesa di Santa Lucia

Trasferendoci nella zona di Monterone visitiamo ora la chiesetta di Santa Lucia, fondata nel 1646 e completamente distrutta dal terremoto del 1883. Ricostruita in forme molto semplici presenta una facciata modesta con un portale in muratura ed un oculo al centro, terminante con un timpano rettangolare. A sinistra un piccolo campanile ospita le squillanti campanelle.
Ad eccezione dell'altare maggiore, molto bello, salvatosi dal sisma, l'interno non conserva opere d'arte di rilievo.
Entrando, nella prima cappella a sinistra, trova posto una statua lignea a manichino, rappresentante l'Addolorata, opera di un ignoto scultore di ambito napoletano, attivo nella seconda metà dell'Ottocento. Sull'orlo della corona argentea, posta sul capo della Vergine, vi è un punzone con le iniziali "G.R.", probabilmente dell'artigiano napoletano Gennaro Russo.
Sulla parete di fondo del presbiterio vi è un dipinto della Madonna con Santa Lucia, della seconda metà del Settecento, attribuibile ad un collaboratore di Alfonso di Spigna.
Nella zona presbiteriale, l'altare, in marmi policromi, del XVIII secolo, presenta un paliotto decorato a commesso, con al centro un bassorilievo ovale con Santa Lucia. Molto graziosi i due cherubini ai capialtare, slanciato il ciborio a tronetto

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Chiesa di San Gaetano

All'ingresso del paese ci accoglie, in una viuzza tortuosa della vecchia Forio, la chiesa di San Gaetano e Santa Maria di Portosalvo, con una facciata originale ed una gialla cupola svettante, che domina il panorama della ridente piazza.
La chiesa venne costruita nel 1655 ad uso dei marinai e pescatori a due passi dalla banchina del porto e fu da questi a lungo frequentata, come testimoniano i numerosi ex voto, che decorano i pennacchi della cupola con modelli di barche e navi a vela del secolo XVIII. Venne completamente ricostruita nel 1857, conservando le linee originali dell'architettura esterna, mentre all'interno presero il sopravvento le forme barocche in auge nel Settecento.
La facciata sembra sproporzionata rispetto alla stradina in forte discesa su cui si affaccia ed è compressa verso l'alto dai poderosi contrafforti presenti sui fianchi laterali dell'edificio. Il portale d'ingresso si erge su di una gradinata a doppia rampa asimmetrica. Esso è costituito da uno stipite in pietra con incisioni che ne seguono l'andamento, sormontato da un timpano triangolare, al centro del quale, in una nicchia, fa capolino un busto di San Gaetano. La cupola poggia su un tamburo cilindrico, che da luogo a quattro grandi finestre ed è divisa in spicchi da ampi costoloni.
L'interno, a croce latina, presenta una navata che si incrocia con un ampio transetto. Le cappelle laterali, poco profonde, sono poste su di un solo lato. Nella zona absidale, di forma poligonale per la disposizione dei pilastri, è presente in alto una decorazione in stucco di angeli e nuvole.
Entrando, sulla navata destra, in una bacheca addossata alla parete, vi è un gruppo scultoreo ligneo a manichino raffigurante la Madonna del Rosario e Santi, un'opera ottocentesca di modesta fattura a squisito carattere devozionale.
Sempre sulla parete destra vi è poi, incassato in una cona marmorea, un dipinto raffigurante il patrono dell'isola San Giovanni Giuseppe della Croce, in colloquio di paterna intimità col Bambinello. Secondo l'Alparone è attribuibile all'ultimo periodo dell'attività del Di Spigna, quando la sua tavolozza assunse i colori del pastello.
In fondo alla parete destra vi è poi un altare e cona, datato 1790, in marmi policromi e stucco, opera di un ignoto artigiano di cultura napoletana.
Sulla parete di fondo del presbiterio è ubicata una pala raffigurante la Gloria della Vergine con San Gaetano e San Francesco Saverio. Il dipinto è attribuibile, per le stringenti affinità con molte delle sue opere note, ad Alfonso Di Spigna e lo si può cronologicamente collocare intorno al 1764, anno di esecuzione dell'altare. La tela è di livello mediocre e ripete stancamente soluzioni di tipo devozionale. L'Alparone ritiene autografo soltanto il gruppo della Madonna col Bambino, mentre la Persico Rolando dà un giudizio più benevolo sulla qualità del dipinto, nel quale rileva uno studio attento del contorno ed una spiccata finezza nei tratti somatici della Vergine.
L'altare maggiore in marmi policromi risale al 1764, data incisa sulla porticina del ciborio e riprende lo stile dei maestri marmorari attivi a Napoli negli anni verso la metà del secolo.
In una nicchia, sull'altare del transetto sinistro, vi è una scultura lignea, datata 1870, rappresentante San Gaetano. Il santo, a figura intera, indossa una cotta ed una stola intorno alle spalle.
Nei mobili della sacrestia sono conservati numerosi oggetti sacri d'argento, tra i quali segnaliamo un ostensorio eseguito nel 1903 da Vincenzo Catello ed un incensiere attribuibile, in base al punzone "G.B.", a Gennaro Ballerino, argentiere napoletano attivo intorno alla metà dell'Ottocento.
Un cenno alla decorazione in stucco modellato e dipinto che orna la volta della cupola, esemplata sui modi di quelle diffuse nella città nella prima metà del secolo XVIII, periodo di prolifici commerci marittimi dei marinai foriani, ai quali alludono le barche a vele spiegate.
Sulla porta d'accesso della cantoria è situata una mediocre tela ottocentesca con la Madonna ed il Bambino di ignoto, mentre sul lato sinistro, per finire, descriviamo una coppia di dipinti, raffiguranti l'Addolorata e San Giovanni, attribuibili ad un ignoto seguace dei modi pittorici di Giuseppe Bonito ed una Vergine con il Bambinello in grembo, assegnabile, per le strette affinità al suo stile ad un seguace di Giacomo Del Po'.

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Chiesa delle anime del Purgatorio

La chiesa di San Michele detta del Purgatorio, decentrata rispetto al paese, si incontra percorrendo la strada provinciale che collega Forio a Lacco Ameno, in località Scendone. Essa fu fondata nel 1742 da Aniello d'Ascia e fu dedicata a San Michele, come si legge chiaramente sulla lapide murata, posta al centro della facciata al di sopra della porta d'ingresso e da una pergamena con l'atto di fondazione conservata in sacrestia. Ristrutturata nel 1983. Una celebre veduta di Forio di Hackert del 1789, ci mostra la chiesa già completa come la possiamo ammirare oggi.
Per isolarsi dal tumultuoso traffico della "270", l'edificio ha un breve sagrato di forma quadrata, contornato da una seduta in pietra, al quale si perviene salendo alcuni gradini. La facciata presenta un duplice ordine di paraste e, nella parte alta, due archi contenenti le campane ed ancora più sopra la croce sagomata a cartoccio. Il portale assai semplice, in pietra lavica, presenta ai lati due semplici nicchiette.
L'interno è a navata unica e sui lati si aprono due arcate sostenute da pilastri con capitelli corinzi. La volta a botte lunettata è impreziosita da una decorazione a stucco. Nella zona absidale insiste la cupola priva di tamburo, che poggia su pennacchi sferici.
Entrati all'interno, sulla sinistra, vi è un' acquasantiera in marmo bardiglio a forma di conchiglia, di metà Settecento di ignoto artigiano campano ed un Crocifisso, antecedente la costruzione della chiesa, della prima metà del secolo XVII, in legno scolpito e dipinto, con il Cristo con i fianchi cinti da un perizoma verde. 
Sulle pareti laterali del presbiterio, provenienti dal pavimento, una coppia di lastre tombali di membri della famiglia fondatrice della chiesa: Aniello e Giovanni d'Ascia, entrambi morti nel 1770.
Sulla parete di fondo del presbiterio, trova posto una splendida tela di Alfonso Di Spigna, rappresentante la Madonna delle Grazie con San Giovanni Battista, San Michele Arcangelo e le anime purganti. Probabilmente eseguita nel 1742, quando fu fondata la chiesa, risente della lezione del De Mura, artista con il quale il pittore ischitano fu in fecondo contatto, dopo il suo ritorno da Genova, quando fu a bottega dal Solimena.
Sulla parete della navata sinistra vi è poi una tavola di ignoto, raffigurante Sant'Antonio Abate. 
Per finire un breve cenno a numerose eleganti lastre tombali, collocate nel pavimento ed alle pareti laterali, di membri della famiglia d'Ascia e di loro parenti.

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Chiesa di San Francesco di Paola

A pochi passi dalla spiaggia di San Francesco, su di un erta salita, sorge la chiesa di San Francesco di Paola, una volta detta di Santa Maria di Montevergine, antico eremitaggio fondato alla fine del secolo XVI. All'inizio era una chiesetta e prendeva nome dalla pala sull'altare maggiore di Cesare Calise, raffigurante Santa Caterina d'Alessandria e San Francesco di Paola. In seguito si ingrandì, ed alcuni locali contigui furono adibiti a cenobio per un gruppo di frati, dedito alla meditazione ed alla preghiera. Nel 1863 la comunità si sciolse e venne nominato un cappellano per amministrare la chiesa. Vennero anche eseguiti in quella occasione lavori di ampliamento ed abbellimento. Nel 1924 il comune, titolare del patronato sulla chiesa, concesse in enfiteusi perpetua il convento alla famiglia Stead, che edificò sui ruderi. Nel 1948 vi furono ulteriori lavori di ristrutturazione e la chiesa fu divisa in tre navate e dotata di un poderoso campanile.
La facciata è preceduta da un ampio sagrato, che isola l'edificio dalla strada. Salendo alcuni gradini si erge il portale in pietra scolpita eseguito da maestranze campane nel XVIII secolo. Di lato due ingressi secondari sovrastati da due finestre. In alto una croce domina lo spettacolare panorama. Sulla sinistra svetta la mole del campanile, sul quale è posto un orologio visibile anche in lontananza. La parte anteriore della chiesa è divisa in tre navate, la centrale con volta a botte, da dove si passa in un ambiente molto più piccolo, coperto da volta a vela, quindi si giunge alla zona presbiteriale, coperta da una cupola con un alto tamburo.
Entrando all'interno, sulla parete della navata sinistra, sono collocati due cherubini in marmo sormontati da una colomba su nubi, eseguiti da un ignoto scultore campano nel 1789, costituiscono un frammento di una cona marmorea, ubicata originariamente sulla parete di fondo del presbiterio.
In una nicchia, nella parete sinistra della zona absidale, vi è una scultura lignea policroma della Vergine col Bambino della seconda metà del Settecento.
Sull'altare maggiore vi è un crocifisso seicentesco, che si ispira a modelli cinquecenteschi, opera di un ignoto scultore campano.
Lungo la parete destra, nella prima cappella, è conservato un prezioso reliquario a tronetto per esposizione liturgica, in argento fuso e legno intagliato e dipinto, dal punzone "G.M.", appartenente ad un artigiano campano del secolo XVIII.
Per finire la pala dell'altar maggiore, rappresentante la Madonna ed il Bambino ed i Santi Francesco di Paola e Caterina d'Alessandria, attribuita dalla critica a Cesare Calise, che la esegue nel 1633, mentre sul quadro ritorna, nel 1774, con ampie ridipinture e ritocchi Alfonso Di Spigna, il quale, pur conservando l'impostazione tardo manierista dell'opera, interviene tangibilmente nella figura della Vergine.

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Chiesa di Sant'Antonio Abate

Oggi conosciuta maggiormente come parrocchia di San Sebastiano, la chiesa di Sant'Antonio Abate sorge nel cuore della Forio medioevale, fatta di stradine tortuose dal tracciato irregolare, circostanza che penalizza il godimento della sua facciata, di notevole altezza, in contrasto con il vicoletto nella quale è situata.
Dopo la terrificante eruzione dell'Arso, del 1301, numerose chiesette sorsero sull'isola dedicate a Sant'Antonio, ritenuto protettore contro il fuoco, tra queste quella di Forio, che venne edificata nel 1321 per volere di tal Giacinto di Colantonio, il quale, dovendo soddisfare un voto, acquistò in contrada Tocco un suolo per costruirvi una cappella, costituita da un piccolo ambiente a pianta quadrata coperto da una cupola. Ampliamenti significativi della struttura avvennero nel 1825 e nel 1850 ad opera del Comune, ma nel 1867 giaceva in stato di abbandono. Distrutta dal sisma del 1883, fu ricostruita, come ci narra il Mirabella in un suo scritto del 1913, in legno e ferro.
La facciata presenta due ordini di paraste, mentre nella parte superiore è suddivisa in tre partiture, con una finestra in quella centrale. Un timpano di forma triangolare completa la parte terminale, mentre sul lato sinistro, leggermente arretrato vi è il campanile cuspidato.
Entrando, nel vano a sinistra dell'ingresso, vi è un dipinto, raffigurante l'Annunciazione, donato negli anni Sessanta dalla famiglia D'Ascia. La tela tradisce l'ispirazione demuriana ed è attribuibile ad Alfonso Di Spigna. Singolare, in basso a destra, il ritratto della monaca committente.
Nel vano a destra è invece collocato un dipinto, della seconda metà del Settecento, raffigurante la Gloria della Trinità con la Vergine ed i Santi Gerolamo e Sant'Antonio Abate. La tela è molto rovinata e di difficile lettura per le numerose ridipinture.Vicina ai modi del di Spigna, può essere attribuita ad un suo seguace. Probabilmente, sia per le dimensioni, sia perché rappresenta il Santo titolare, il quadro costituiva la pala dell'altare maggior ed è stata spostata in seguito, forse per il precario stato di conservazione.
L'altare maggiore fu posto in sede nel 1823, in occasione della ristrutturazione della chiesa, è in marmi policromi ed è opera di un ignoto marmoraro campano.
A sinistra ed a destra accolgono il visitatore una coppia di acquasantiere a forma di conchiglia, marcate da uno stemma nobiliare a sei palle.
In alto sulla cantoria è presente un organo in legno fabbricato nel 1895 da Giuseppe Galasso.
Nella zona absidale, in una nicchia, vi è una scultura lignea raffigurante San Sebastiano, collocabile alla metà del XVII secolo. Altre statue presenti in chiesa sono: una Madonna Addolorata rivestita da una clamide ricamata a sbalzo con fili d'oro, una statuetta di San Vito ed una di San Sebastiano sottoposto al martirio.
Attualmente in deposito, ma a lungo presente in chiesa, vi era infine una tela con San Michele Arcangelo, che abbatte gli angeli ribelli. Essa è stata eseguita nella seconda metà del Settecento.
Soltanto un cenno alla distrutta chiesa di San Sebastiano alle Pezze, la cui mole ha a lungo dominato il centro antico di Forio.

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Chiesa di San Michele Arcangelo 

Situata nella piazza del Cerriglio, antico crocevia da cui partono le strade per Panza e per Monterone, la chiesa di San Michele Arcangelo al Cerriglio possiede tre spettacolari tele di Alfonso Di Spigna. Essa fu edificata nel 1748 da un tal Erasmo Castaldi, detto Zotta ed i suoi eredi ne hanno conservato per secoli il patronato, fino a quando, nel 1936, si trasformò in parrocchia e monsignor De Laurentis ne offrì il primo possesso a don Antonio Capezzuto. Nel 1910 la disastrosa alluvione che colpì Forio travolse la chiesa ma, fortunatamente, si salvarono le preziose tele del Di Spigna, il pulpito ligneo e tutti gli arredi più importanti e, grazie al sacerdote Pietro Calise ed al contributo di tutti i fedeli, l'attività riprese dopo pochi mesi.
La facciata è alquanto modesta con ai lati una doppia fila di lesene, che si concludono in alto, da un lato con un orologio, dall'altro con l'edicola campanaria a doppio fornice. Il portale, opera di maestranze campane attive a metà del XVIII secolo, scampato all'alluvione del 1910, è costituito da uno stipite in piperno con basi a punta di diamante.


San Michele sconfigge i ribelli

La pianta ellissoidale rappresenta un fatto insolito per le chiese isolane. All'interno le paraste suddividono in otto spicchi la calotta, posta entro il tamburo forato da oculi, alternando spazi più ristretti a zone più ampie dove sono localizzati l'ingresso ed i tre altari, impreziositi da una decorazione di stucchi dalle linee sinuose. Oltre alle tele che descriveremo singolarmente, all'interno, tra le opere d'arte ricordiamo le statue lignee di Sant'Antonio da Padova, un'Addolorata, un Cristo benedicente ed una di Sant'Antonio Abate, inoltre un piccolo organo a mantici e la cantoria del XVIII secolo.
Entrando in chiesa, sulle pareti a sinistra ed a destra dell'organo, vi è una coppia di dipinti di un ignoto pittore di scuola napoletana attivo tra il 1750 ed il 1760 ed influenzato dalla lezione del Bonito. Essi rappresentano un Ecce Homo ed un Sant'Antonio Abate.
Sulle pareti laterali sono collocati due altari, i quali come l'altare maggiore vennero realizzati nel 1911, all'indomani dell'alluvione, che distrusse gli arredi interni, mentre sulla parete a sinistra del presbiterio vi è un elegante pulpito risalente alla metà del Settecento, quando venne edificata la chiesa. Esso è costituito da una parte inferiore ad ombrello rovesciato ed una superiore a sezione mistilinea.
Il quadro dell'Immacolata con i Santi Antonio, Agostino e un donatore è tra le tre pale d'altare, che adornano l'interno, la meno pregevole e la più devozionale. L'attribuzione al Di Spigna è certa, anche se l'Alparone, riscontrando in alcune zone delle debolezze, aveva ipotizzato la collaborazione di un allievo. Cronologicamente, come le altre due, l'Immacolata va collocata tra il 1742 ed il 1745.
Il San Michele che abbatte Lucifero si rifà a schemi precedentemente adoperati in altre tele, anche di soggetto analogo, mentre la tipologia dell'Eterno Padre ricorda quella della pala di San Vito, datata 1745.
L'Adorazione dei pastori recava sul gradino in basso a sinistra la data di esecuzione, scomparsa durante i lavori di rifodero della tela del 1980. I documenti scoperti dal Di Lustro hanno però permesso di datare con precisione tutti i dipinti della chiesa, che precedono di quasi trent'anni quelli eseguiti nella Confraternita di Visitapoveri. Sono molto evidenti dei classici caratteri dispignani, come la Madonna dal volto dolcissimo e paffuto, che fornisce l'impressione di essere una semplice ragazza del popolo, immersa in una tonalità soffusa di colori, per meglio rendere l'imbrunire della notte e l'interno della grotta. 


l'adorazione dei pastori

 

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Chiesa di San Francesco Saverio

Percorrendo la strada verso Panza, in località Cuotto, incontriamo la chiesa di San Francesco Saverio, di piccole dimensioni, ma dall'architettura interessante. Essa fu fondata nel 1742 ed era dedicata alla Madonna delle Grazie. Divenuta parrocchia fu intitolata a San Francesco Saverio.
Poche le opere d'arte conservate, ma alcune particolarmente interessanti.
In sacrestia è conservato un crocifisso seicentesco, opera di un ignoto scultore di ambito provinciale, attivo anche in altre chiese dell'isola. Il Cristo, dalla pregnante espressione del volto, è morto sulla croce con il capo reclinato ed ha i fianchi cinti da un perizoma bianco.
Nell'interno vi sono poi altre due statue lignee, una raffigurante l'Immacolata e l'altra san Francesco Saverio ed un dipinto rappresentante San Vito martire eseguito da un artista contemporaneo: il pittore foriano Fiorentino.
Sulla parete sinistra della navata è ubicata una pala raffigurante la Pietà, eseguita nel 1766 da Gennaro Migliaccio, un artista ischitano, del quale si ignorano altre opere ed i dati biografici.
Sulla parete di fondo del presbiterio vi è infine un dipinto raffigurante la Madonna delle Grazie con San Francesco Saverio e San Gaetano, eseguito nel 1741 da Alfonso Di Spigna. Nella tela sono evidenti i legami dell'artista ai moduli della pittura solimenesca, che contraddistinsero il suo stile fino agli ultimi anni della sua attività, quando virò in direzione del classicismo.

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Chiesa di San Leonardo

Posta al centro dell'abitato di Panza sull'alto di un'imponente gradinata, dalla dignità di scalea, sorge la chiesa di San Leonardo, che funge da parrocchia per la laboriosa popolazione del ridente borgo, soltanto sfiorato dalle correnti turistiche. Essa fu edificata nel 1536 e venne completamente ristrutturata nel 1737 a spese dell'Università di Forio.
La facciata imponente presenta al centro un pannello maiolicato con la figura di San Leonardo, culminante con una cornice che imita il timpano terminale della chiesa. Di lato una poderosa torre con un orologio.
L'interno presenta tre navate sulle quali si affacciano sei altari. Elegante la decorazione in stucchi di gusto barocco.
Il pannello raffigurante San Leonardo è stato eseguito nel 1902 ad opera di artigiani di una bottega napoletana, su committenza degli emigrati. Il Santo con una mano regge un libro e con l'altra una catena, alla quale è legato uno schiavo.
Entrando in chiesa sul primo pilastro di entrambi i lati vi sono due acquasantiere di bardiglio a forma di conchiglia posata su di una mensola a peduccio, mentre a sinistra dell'ingresso vi è una pila per l'acqua santa, ottocentesca, a base piramidale con fusto a balaustro, decorato da nervature nella parte inferiore e vasca circolare.
Percorrendo la parete della navata sinistra, su di un altare, incontriamo il primo dei tre dipinti eseguiti da Carlo Borrelli (Ponticelli, notizie 1779-1783), un artista in precedenza, nel 1779, attivo con cinque tele nella chiesa di Santa Maria delle Grazie ad Ischia Porto. La pala, eseguita nel 1783, rappresenta la Gloria del Sacramento con i Santi Lucia, Pasquale ed Agnello. Le altre due tele si trovano: una Gloria della Vergine con i Santi Leonardo e Nicola di Bari, sulla parete di fondo del presbiterio, l'altra una Madonna delle Grazie con i Santi Giuseppe ed Anna, su di un altare della navata destra.
In sacrestia è conservato un Crocefisso seicentesco di ignoto scultore campano, in gesso modellato e dipinto.
Sulla navata destra, in una nicchia, vi è una scultura a manichino, ottocentesca, raffigurante l'Addolorata in legno scolpito e dipinto e stoffa ricamata.
Nella zona presbiteriale è posto l'altare maggiore in marmi policromi, realizzato nei primi anni dell'Ottocento da un maestro napoletano aderente al gusto neoclassico. Esso presenta ai lati due vivaci cherubini ed un ciborio a tempietto sulla cui porticina, vi è un punzone con le iniziali"D.C." di un argentiere non identificato.
Infine, un cenno al soffitto in cartapesta, di artigianato campano inizio secolo XX, decorato da lacunari con al centro una scena in rilievo raffigurante san Leonardo che libera due schiavi.

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Arciconfraternita della Santissima Annunziata

All'altro capo della piazza centrale di Panza sorge la chiesa dell'Arciconfraternita della Santissima Annunziata, fondata nei primi anni del secolo XVII. Le sue linee architettoniche sono molto sobrie e ben poche le opere d'arte conservate all'interno, tra le quali ricordiamo un dipinto su tavola di anonimo realizzato nel 1684 e raffigurante l'Annunciazione.

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Chiesa di Santa Maria al Monte

L'antica chiesetta di Santa Maria al Monte viene costruita, con accanto un piccolo eremo, nel 1596, per iniziativa dei fratelli Sportiello, fondatori anche della chiesa di San Carlo al Cierco. La struttura conventuale è da tempo destinata ad abitazioni ed anche la chiesa, intorno al 1930, dopo secoli di attività, venne abbandonata ed adoperata dai contadini per deposito della legna e ricovero degli animali. Fortunatamente un ex monaco di San Nicola sull'Epomeo si attivò in ogni modo per ripristinarne il culto, cosa che avvenne in breve tempo. Da allora la chiesa, completamente ristrutturata ed impreziosita di arredi ed oggetti liturgici, il 12 settembre diventa meta di un festoso pellegrinaggio, che costituisce anche l'occasione per riabitare, anche se per poco, le case del borgo di Santa Maria al Monte, abbandonate per tutto l'anno.

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Chiesa di San Domenico

Un'altra chiesetta in aperta campagna, anche se in una zona che negli ultimi anni va popolandosi sempre di più è quella di San Domenico, dalla semplice architettura e dalla atmosfera raccolta.
Essa si trova in via Bocca, è di antica fondazione, essendo stata costruita nel secolo XVIII e conserva all'interno un bel dipinto del Santo titolare, eseguito dal pittore locale Giacomo Genovino.

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Chiesa di San Gennaro

Situata nei pressi del cimitero di Panza, la chiesa della Madonna delle Grazie in San Gennaro faceva parte di un antico convento agostiniano, fondato nel 1614 e soppresso nel 1653. I fedeli venerano in modo particolare una statua della Madonna delle Grazie. Poche le opere di interesse artistico conservate all'interno, tra queste ricordiamo due statue a mezzo busto di San Gennaro e Sant'Antonio ed una tavola di un artista anonimo del secolo XVIII, raffigurante la Madonna e Santi.

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Basilica di Santa Maria di Loreto

Nel cuore della Forio moderna, nei pressi della piazza principale, con accesso attraverso una breve gradinata, vi è la Basilica pontificia di Santa Maria di Loreto, centro propulsore della spiritualità mariana dell'isola che, con il limitrofo antico ospedale e l'Oratorio dell'Assunta costituisce l'Arciconfraternita di Santa Maria di Loreto.
La costruzione risale ai primi anni del Trecento, quando fu aperto un piccolo oratorio dedicato alla Madonna di Loreto, che assunse poi la forma attuale intorno al 1580. Ulteriori ampliamenti seguirono nel corso del Seicento, quando fu aggiunto un altro transetto dietro a quello esistente ed una nuova abside, per allungare la chiesa; nel 1731 fu costruito il campanile con l'orologio, mentre tra il 1780 ed il 1785 fu innalzato l'altare maggiore, e la decorazione interna fu completata con stucchi e splendidi pannelli marmorei di colore bianco e nero, provenienti da Genova. Finalmente il 29 luglio del 1787 si ottenne il decreto di Incoronazione della Madonna di Loreto, mentre l'Oratorio, dopo le ingenti spese sostenute dall'Università di Forio, diveniva chiesa comunale.
Nel corso dei secoli da Santa Maria di Loreto si è irradiata una intensa attività benefica, che si manifestava in varie forme, ma principalmente attraverso la gestione dell'ospedale, costruito nel 1596, il quale accoglieva malati poveri di tutta l'isola. La struttura sanitaria ha funzionato fin quasi ai nostri giorni, infatti dal 1954 al 1962, è stata la sede del pronto soccorso dell'isola, prima della costruzione dell'odierno ospedale.
La Basilica è particolarmente ricca di opere d'arte ed inoltre possiede un archivio molto ricco di documenti a partire dal Cinquecento, esplorato con diligenza da un benemerito studioso locale, il professor Agostino Di Lustro, al quale siamo debitori di gran parte delle notizie che andremo a riferire.
Molti sono i foriani illustri sepolti nella chiesa ed i cui ritratti ci ammoniscono severi nella ricca pinacoteca sita nella sacrestia, costruita nel 1684; tra questi ricordiamo il cardinale Gustavo Adolfo, principe di Hohenlohe, che fu a lungo protettore dell'Arciconfraternita, a partire dal 1868.
La facciata è suddivisa da due ordini di paraste, che si concludono in alto con un frontone a timpano triangolare. Elemento di contrasto cromatico un mosaico, eseguito dal pittore tedesco Edward Bargheer Ai lati dell'edificio svettano i due campanili, culminanti a pera con un rivestimento in embrici maiolicati.
L'interno, a croce latina, presenta tre navate con quattro archi che le suddividono. La cupola è collocata all'incrocio della navata principale col transetto. Il soffitto è a cassettoni con una elegante carpenteria lignea dorata ed al centro un grosso quadrone.
I pilastri prospicienti la navata centrale sono impreziositi da marmi policromi, mentre archi e capitelli sono in stucco bianco.
La chiesa è ricca di opere d'arte che andiamo a descrivere, partendo dal primo altare della navata sinistra che presenta, in pessime condizioni di conservazione, un dipinto raffigurante il Martirio di San Bartolomeo, eseguito nel 1636 dal pittore foriano Cesare Calise. Sul secondo altare vi è un'altra opera del Calise, un olio su tavola eseguito nel 1607, raffigurante San Nicola e storie del santo. Il dipinto nel 1752 fu restaurato dal Di Spigna, che aggiunse dei cherubini e variò la fisionomia del volto del santo. L'Alparone intravide delle somiglianze con una tela di Sant'Antonio, oggi in deposito, della chiesa di San Francesco al Corso a Napoli, nel tentativo di identificare qualche opera napoletana dell'artista, che il De Dominici riferisce nella nostra città per un certo periodo, ma la critica successiva non ha accolto il confronto.
Poco più avanti vi è la cappella dell'Immacolata, che accoglie sulle pareti laterali una coppia di tele del pittore lacchese, tra le sue migliori, eseguite probabilmente nel 1754. I due dipinti: un Riposo durante la fuga in Egitto ed una Nascita della Vergine grondano dei modi e dei colori del Solimena. La cappella possiede un suo altare autonomo, in marmi policromi, posto in loco nella prima metà del Settecento, la cui cona è decorata a commesso, mentre la porticina argentea del ciborio risulta, dal bollo camerale, eseguita nel 1777, probabilmente in sostituzione di una precedente. Nella nicchia della cona vi è una statua lignea dell'Immacolata, realizzata nella prima metà del secolo da un ignoto seguace di Nicola Fumo, mentre il pavimento, in mattonelle maiolicate, realizzato nel 1754, è opera della bottega della famiglia Massa, come ha ipotizzato il Donatone. Senza allontanarci dall'iconografia dell'Immacolata, segnaliamo un olio su tavola trecentesco, in precario stato di conservazione, opera di un ignoto pittore campano, sito nella stanza adiacente alla sacrestia.
Passando alla parete a destra dell'ingresso laterale troviamo un olio su tavola della seconda metà del Cinquecento, raffigurante una Madonna col Bambino e Santi, opera di un ignoto pittore locale ispirato ai modi di Decio Tramontano.
Nel corridoio di accesso alla sacrestia abbiamo due dipinti: un olio su tavola raffigurante una Madonna con Bambino e Santi, opera di un ignoto pittore legato ai modi tardocinquecenteschi ed attivo nel primo quarto del secolo XVII ed un dipinto ottocentesco che rappresenta il cardinale Hohenlhohe, il quale nel 1868 fu nominato da Pio IX protettore dell'Arciconfraternita, episodio ricordato in una lapide vicina.
In sacrestia abbiamo poi un olio su tavola della seconda metà del Cinquecento con la Vergine ed i santi Pietro e Paolo, opera di un artista di gusto manierista ed una Visione di San Giovanni Battista, sempre su tavola, datato 1601 e firmato da Cesare Calise, che prende ispirazione in questo dipinto dai modi pittorici dei fiamminghi attivi a Napoli.
Conservati nei mobili della sacrestia numerosi oggetti sacri preziosi, tra i quali rammentiamo una croce astile in argento sbalzato con parti fuse, eseguita nel 1774 da un ignoto argentiere che si siglava "BD" ed un ostensorio eseguito nel 1763 da un ignoto argentiere campano, ispiratosi all'esemplare conservato nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli di Napoli.
Passando alla zona presbiteriale, abbiamo l'imponente altare maggiore, frutto della collaborazione di uno scultore della cerchia di Lorenzo Vaccaro ed il maestro marmoraro Gaetano Sacco, che lo eseguirono nel 1710.
Sul quarto altare della navata sinistra, datata 1581, vi è una Madonna del Rosario, con annessi quindici piccoli riquadri con i misteri, eseguita da Aniello De Laudello, che ci offre con semplicità didascalica un'iconografia di grande successo dopo la battaglia di Lepanto, avvenuta nel 1571, che segnò la definitiva vittoria dei cristiani sugli islamici.


Madonna di Aniello De Laudello

Sul quinto pilastro di entrambe le navate vi è una coppia di dipinti raffiguranti San Giuseppe e Sant'Antonio. Questo ultimo durante un recente restauro ha evidenziato una firma: Sarnelli, una famiglia di pittori napoletani attivi nella seconda metà del Settecento, della quale la critica conosce Antonio e Giovanni, mentre il sottoscritto ha scoperto alcune tele firmate di un terzo fratello, Francesco.
Sulle pareti alle spalle dell'altare maggiore è conservata una serie di quattro dipinti con Storie della Vergine, eseguite tra il 1751 ed il 1754 dal Di Spigna e posizionate originariamente nella trabeazione della navata tra le finestre, fino al 1883, quando il terremoto ne distrusse quattro.
La pala d'altare raffigurante la Madonna di Loreto è posta in una nicchia nella cona dell'abside. In basso essa reca una data: 16 maggio 1560, probabilmente indicante il giorno dell'ingresso in chiesa. Dopo incertezze attributive ed errori vistosi degli studiosi locali, ad esempio il D'Ascia la assegnava a Cesare Calise, si è poi identificato l'ambito: vasariano, in cui l'opera nasceva. Infine, per stringenti affinità con la Madonna col Bambino conservata nella chiesa di Santa Maria dei Vergini di Scafati, si è indicato come autore Decio Tramontano.
In una bacheca nella zona absidale vi è una scultura a manichino della Madonna col Bambino, opera di un ignoto maestro di ambito napoletano attivo nel primo quarto del secolo XVIII. La tipologia, di origine iberica, si diffuse ampiamente nel Seicento in tutto il meridione; il vestito, pomposo e sgargiante, risale alla metà dell'Ottocento.
Nella parete della zona absidale vi è, in precario stato di conservazione, una originale tempera grassa su tavola, risalente all'ultimo quarto del secolo XVI, raffigurante la Madonna di Loreto e Santi. Dell'opera, siglata nella zona del timpano con un misterioso "SC", non conosciamo l'autore, che si ritrae con la tavolozza in mano nello scomparto di sinistra, mentre in quello di destra la Vergine è il ritratto della committente. 
Sul secondo altare della navata destra vi è una coppia di dipinti, raffiguranti San Pietro e San Paolo, opera di un ignoto pittore di ambito provinciale, attivo verso la metà del Settecento ed una Madonna con Bambino e Santi, attribuibile al Di Spigna per gli stretti rapporti stilistici con le altre sue opere documentate presenti nella chiesa.
Sull'altare a destra dell'abside, è collocato un olio su tavola di spettacolare bellezza: un'Annunciazione attribuita dalla critica ad Alfonso Di Spigna. L'iconografia che ispira il dipinto è tardo cinquecentesca e la sua collocazione è cambiata dopo il terremoto del 1883. A nostro parere la qualità molto alta dell'Annunciazione esclude la paternità del pittore lacchese, come pure l'opera sembra molto più antica. L'autore con grande probabilità va ricercato tra gli allievi di Massimo Stanzione.
Sulla parete a destra del primo altare della navata destra è conservata una tela che raffigura la Presentazione al Tempio della Vergine, attribuita dall'Alparone al Di Spigna per stringenti affinità alle tele dello stesso artista presenti in chiesa e documentate agli anni tra il 1751 ed il 1758.
Nell' elegante soffitto ligneo della navata è incastonato un grosso dipinto raffigurante l'Assunzione della Vergine, erroneamente assegnato da una parte della critica a Cesare Calise, viceversa opera di un ignoto pittore di ambito provinciale, che risente del gusto tardomanierista dell'area napoletana, databile ai primi decenni del secolo XVII.

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Arciconfraternita di Santa Maria di Loreto

Di fianco alla Basilica si apre l'ingresso dell'Arciconfraternita di Santa Maria di Loreto, fondata nel 1585, come si evince da una bolla del pontefice Gregorio XIV, la cui facciata presenta al centro un portale di pietra verde di semplice fattura.
L'interno a pianta rettangolare è coperto da una volta a botte lunettata, mentre sui lati sono presenti eleganti finestre, cieche sul muro prospiciente la Basilica. A destra ed a sinistra sono collocati poderosi stalli lignei a tre ripiani.
Nel 1774 l'edificio fu ampliato e decorato con stucchi, mentre nell'Ottocento fu posto in opera il variopinto pavimento maiolicato, in cui spiccano il verde, il giallo e l'azzurro, la cantoria con l'organo e le tele del pittore Severino Galante.
La congregazione, inizialmente intitolata all'Assunta fu elevata ad Arciconfraternita nel 1831, con l'impegno di prodigarsi in opere di carità e mutuo soccorso a beneficio dei poveri del paese.
Percorrendo il corridoio tra la zona absidale e l'Oratorio dell'Assunta si calpesta un pavimento ottocentesco di mattonelle maiolicate, che si presenta originale per gusto decorativo e colori. Esso è costituito a cellula quadripartita formante un fiore stilizzato con i contorni blue ed un rombo azzurro su fondo giallo. Il pavimento dell'oratorio è viceversa attribuibile alla manifattura della famiglia Giustiniani, una ditta attiva dal Seicento fino al 1848, esso purtroppo è in precarie condizioni di conservazione.
Sulle pareti laterali è collocato il coro, uno dei più belli dell'isola, realizzato agli inizi dell'Ottocento da artigiani locali. Esso è composto da tre file di sedili con parapetto a balaustri, con la parte dorsale decorata da una doppia fila di specchiature intervallate da lesene; nella parte centrale a sinistra due leggii a sezione trapezoidale con parte dorsale a sportelli.
In alto vi è una serie di quattro dipinti raffiguranti Santi eseguiti da Antonio D'Angelo un ignoto artista attivo all'inizio dell' Ottocento.
Alle pareti laterali, oltre a quelli già descritti, vi è una serie di otto dipinti ovali che rappresentano Storie della Vergine, realizzati nel 1789 da Severino Galante, un artista di ambito provinciale, che a Napoli lavora nella chiesa dei Padri della Missione ai Vergini, il cui stile venne definito "batoniano" dall'Alparone. Il pittore fu collaboratore del Bonito e coltivò vari generi, oltre a quello chiesastico.
Per finire, sull'altare maggiore è collocata una tela firmata "D'Aloisio", raffigurante l'Assunzione della Vergine". La tela si ispira al soggetto eseguito nel 1609 da Annibale Carracci per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo a Roma.

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