Cap.33 
			Scì scì piazza dei Martiri 
			
			 
			“ ... scì scì ... piazza dei Martiri” recitava il ritornello della 
			famosa canzone scritta da Fulvio Rendine negli anni Cinquanta e 
			portata al successo dalle indimenticabili voci di due eterni 
			ragazzi: Aurelio Fierro e Roberto Murolo; a lungo incontrastato 
			regno dei gagà partenopei, oggi territorio preferito da 
			supergriffati e borchiate, rappresenta ancora, nonostante il degrado 
			generalizzato, il salotto buono della città, dove pulsano boutique e 
			negozi delle più famose maison del mondo e dove passeggiare è un 
			rito con regole e consuetudini da iniziati. Via Chiaia, piazza dei 
			Martiri, via Calabritto, piazza Vittoria costituiscono un percorso 
			caro allo struscio ed alle vasche e agli antichi nobili napoletani, 
			che in materia di savoir vivre non hanno avuto chi li superasse. Nel 
			cuore del salotto si giunge da piazza Trieste e Trento lungo via 
			Chiaia, ricca di negozi importanti e di palazzi nobiliari. Questa 
			breve quanto elegante strada ha origini antichissime, derivando il 
			nome da Chiaja, ferita o spaccatura ed il suo tracciato da un 
			canalone naturale scavato dalle acque che scorrevano tra la 
			collinetta di Pizzofalcone, sede di un’antica acropoli e la 
			dirimpettaia collinetta delle Mortelle, per lungo tempo straripanti 
			di giardini lussureggianti. All’epoca di don Pedro da Toledo, dove 
			oggi si trova il caffè Gambrinus, da sempre luogo di incontro di 
			letterati e musicisti, fu posta una delle porte che chiudevano la 
			cinta muraria cittadina: Porta Pietruccia, che vantava uno dei sette 
			affreschi dipinti da Mattia Preti come ringraziamento per la fine 
			della peste, che imperversò nel 1656, dimezzando in pochi mesi la 
			popolazione napoletana. Nel centro della strada sorge il ponte di 
			Chiaia costituito da due robuste arcate di pietre e mattoni alla cui 
			sommità troneggia una lapide, che il popolo volle erigere in 
			ringraziamento al re Filippo di Spagna per aver egli facilitato il 
			tragitto tra le due collinette prima ricordate. Fino al 1861 era 
			effigiato uno stemma borbonico, sostituito, dopo la vittoria dei 
			nordisti, da quello dei Savoia. Dopo il ponte sorge il Sannazzaro, 
			piccolo ma delizioso teatro che ben si merita l’appellativo di 
			bomboniera. Prima di divenire il regno incontrastato di Luisa Conte 
			e della sua esilarante compagnia, esso vide in azione il leggendario 
			Eduardo Scarpetta ed in anni successivi i fratelli De Filippo, che 
			profusero generosamente i tesori della loro arte così connaturata 
			allo spirito ed al carattere delle nostre genti. Poco piùavanti il 
			palazzo Cellammare, pur ridotto negli anni nelle dimensioni, 
			signoreggia dall’alto i resti di quello che fu il Metropolitan, un 
			cinema caro alla memoria di generazioni di napoletani, aperto 
			richiuso, il quale sembra non trovare pace. Il palazzo Cellammare 
			costruito ai primi del ‘500, come dimora estiva di don Giovanni 
			Francesco Carafa, ha ospitato gloriosi cenacoli letterari ed i suoi 
			saloni furono affrescati in pieno Settecento dai più famosi pittori 
			del tempo, da Giacomo del Po a Giacinto Diano, da Fedele Fischetti a 
			Pietro Bardellino. Sede anche di una ricca pinacoteca, quando fu 
			abitato dal principe di Francavilla, possiede ancor oggi alle sue 
			spalle, miracolosamente intatti, degli splendidi giardini, oasi di 
			pace e tranquillità per pochi fortunati non toccati dalla devastante 
			colata di cemento, che ha cambiato il volto della nostra Napoli. Via 
			Chiaia sfocia infine nel largo Santa Caterina, che prende il nome da 
			una chiesa del Seicento, unanimemente riconosciuta come la più 
			aristocratica della città. A piazza dei Martiri vi è uno dei locali 
			più a la page del centro: la Caffetteria, galeotto luogo di incontri 
			più o meno ravvicinati tra giovani e meno giovani, dove possono 
			gustarsi le specialità più raffinate della pasticceria nostrana. Il 
			nome della piazza deriva dal monumento ai martiri per la libertà che 
			fu eretto nel secolo scorso. I quattro caratteristici leoni alla 
			base della colonna, frutto del lavoro di altrettanti scultori, 
			vogliono ricordare episodi gloriosi della nostra storia legati ad 
			eventi rivoluzionari: il leone morente la rivolta del 1799, il leone 
			ferito che si volge indietro a mordere la spada quella del 1820, il 
			leone indomito la rivolta del 1848, quello inferocito gli eventi del 
			1860. Sulla piazza si affacciano importanti palazzi tra cui il più 
			antico fu acquistato ai primi del Settecento da Baldassarre di 
			Partanna, da cui prese il nome che conserva anche oggi, marito della 
			bellissima Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia, che lo 
			cornificava con il giovane re Ferdinando IV, di cui divenne in 
			seguito moglie morganatica, dopo che il marito tolse il fastidio 
			morendo. La duchessa come è noto amava ricevere qualche regalino dai 
			suoi amanti; la Floridiana al Vomero con la vicina villa Lucia 
			furono per l’appunto l’oggetto di uno di questi presenti, che il re 
			elargì alla sua bella per ringraziarla delle sue arti maliarde. 
			Breve ma elegantissima via Calabritto prende il nome dalla famiglia 
			omonima proprietaria del fastoso palazzo ad angolo; essa conduce a 
			piazza Vittoria che ci rammenta il più grande successo delle armi 
			cristiane sugli infedeli: la battaglia navale di Lepanto combattuta 
			nel 1571. Nella piazza, dedicata a Santa Maria della Vittoria, fu 
			fatto costruire a perenne ricordo del grande evento un tempio da don 
			Giovanna d’Austria, figlia del capitano vincitore dei turchi. In 
			epoca successiva una turgida colonna, proveniente dai reperti 
			archeologici di epoca romana scavati in via Anticaglia fu posta su 
			di un basamento ottocentesco e funge da monumento a ricordo di tutti 
			i caduti del mare, e mai collocazione fu più felice di questa, in 
			prossimità e quasi baciata dalle rassicuranti onde del Tirreno. Fino 
			ad alcuni decenni fa nella piazza si trovava un celebre ritrovo che 
			fu ribattezzato dai suoi soci il Caffettuccio, nel quale si riuniva 
			la jeunesse dorè dell’epoca, una sorta di Caffè Greco napoletano che 
			rivaleggiò a lungo col più celebre Gambrinus, il quale all’epoca 
			occupava una superficie molte volte più ampia dell’attuale. A piazza 
			Vittoria ha sede uno di quei negozi grazie al quale il nome di 
			Napoli fa più volte il giro del mondo: la bottega di Marinella, 
			creatore delle originalissime cravatte ricercate dai potenti della 
			terra da Clinton ad Eltsin, da Agnelli a Berlusconi. Per gli amanti 
			dell’antiquariato e soprattutto per i raffinati collezionisti di 
			pittura napoletana una attenta visita a Napoli Nobilissima è 
			improcrastinabile. Non parliamo certamente dell’autorevole rivista 
			fondata da Benedetto Croce, bensì dell’accorsato negozio che 
			Vincenzo Porcini gestisce con rara competenza da molti anni 
			coadiuvato dai due figlioli Dario ed Ivana, che si sono affacciati 
			al mondo mercantile soltanto al termine di adeguati studi 
			universitari. In particolare la signorina Ivana cura il settore 
			delle gouaches e delle stampe. Il secolo d’oro della pittura 
			napoletana: il Seicento, è rappresentato da molte opere nelle 
			vetrine e nelle eleganti sale della galleria Napoli Nobilissima ed é 
			facile poter ammirare opere di artisti sommi, che hanno fatto la 
			gloria delle nostre arti figurative, da Battistello a Stanzione, da 
			Preti a Giordano, da Solimena a tanti altri autori più o meno 
			conosciuti. I prezzi sono più che abbordabili, tenendo conto della 
			qualità e della rarità delle opere proposte, tra le quali abbiamo 
			scelto un gruppo di vere e proprie chicche da intenditore che 
			illustriamo brevemente. Un imponente ribalta napoletana lastronata 
			in ebano rosa e viola collocabile a metà del Settecento. Un gruppo 
			pastorale rarissimo rappresentante la regina negra in portantina che 
			seguiva i re Magi, citata in molti testi antichi e ricordata anche 
			da Roberto de Simone. L’autore della composizione è Lorenzo Mosca, 
			militare borbonico che divorato da una grande passione divenne 
			scultore di figure presepiali, realizzando superbi esemplari. A tale 
			proposito vogliamo sottolineare che l’attività del signor Porcini 
			nel settore presepiale ha una lunga e notissima tradizione. Un 
			ritratto di re Carlo III ed un altro con il volto del famigerato 
			Ferdinando IV da giovane, prima ricordato per le sue imprese... 
			Queste due tele, in grado di nobilitare le pareti di qualsiasi 
			salotto costituiscono il capolavoro del Liani, pittore specializzato 
			nei suoi ritratti a cogliere il carattere della persona raffigurata, 
			che spesso egli sottoponeva ad una preventiva severa introspezione 
			psicologica. Una spettacolare natura morta, tutta giocata su colori 
			scuri e freddi, frutto del prezioso pennello di Adriaen Van Utrecht, 
			uno dei pittori fiamminghi più celebri, le cui opere sono conservate 
			nei più importanti musei del mondo da Amsterdam a Leningrado, da 
			Parigi a Madrid, da Stoccolma a Vienna. E dulcis in fundo 
			un’accattivante Lucrezia di Massimo Stanzione pronta a trafiggersi 
			il seno con il pugnale, tra lo squillore di un lucente impasto 
			cromatico che ha fatto la cifra stilistica del sommo artista. La 
			leggenda di Lucrezia è a tutti nota: la giovane nobildonna romana fu 
			costretta con la violenza a soggiacere alle turpi voglie del figlio 
			di Tarquinio il Superbo. All’indomani ella corse ad informare 
			dell’accaduto il padre ed il marito e non potendo sopravvivere 
			all’onta ricevuta preferì morire trafiggendosi il petto. Il ricordo 
			di una storia così edificante e la vista di un seno così invitante, 
			fecero senza dubbio la felicità di qualche smaliziato collezionista 
			seicentesco; il sottile fascino erotico che promana invariato da 
			questa nobile figura può ancora deliziare la vista di un 
			collezionista moderno, dopo aver sfidato indenne il trascorrere del 
			tempo, traghettando la gioia dei suoi colori nel nuovo millennio. 
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			Piazza dei Martiri con la colonna della Vittoria 
			
			  
			Palazzo Cellamare 
			
			  
			Teatro Sannazaro 
			
			  
			Palazzo Calabritto 
			
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			Massimo Stanzione-Lucrezia (Napoli, Collezione D'Antonio) 
			 
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