Cap.51 
			Castelnuovo, una 
			superba fortezza 
			
			 
			Nel 1266 Carlo D’Angiò, quando conquistò Napoli, non trovò adeguata 
			la residenza reale di Castelcapuano, nonostante Federico II l’avesse 
			resa sfarzosa, per cui volle costruirsi un castello fortificato che 
			affacciasse sul mare. 
			Scelse il “Campus Oppidi”, una località fuori dalle mura, dove 
			sorgeva una chiesetta francescana, che venne demolita e ricostruita 
			altrove. 
			Affidò i lavori a due architetti francesi, Pierre De Chaule e Pierre 
			D’Angicourt, che, lavorando alacremente, la completarono in soli 56 
			mesi, dotandola di 4 torri di difesa, un profondo fossato ed un 
			ampio ingresso, al quale si accedeva da un ponte levatoio. 
			Il re non riuscì mai ad abitarla perché impegnato nei Vespri 
			Siciliani, scoppiati nel 1282, ed a sedare una sommossa popolare a 
			Napoli. Ne prese possesso nel 1285 suo figlio Carlo II, il quale 
			provvide ad abbellirla, affidando le decorazioni interne a Pietro 
			Cavallini e Montano D’Arezzo, mentre il suo successore Roberto D’Angiò, 
			detto il “Saggio”, si servì anche del sommo Giotto, a Napoli dal 
			1328 al 1333, il quale affrescò le pareti della cappella palatina 
			con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, di cui rimangono 
			piccoli lacerti, ma che all’epoca furono molto ammirate, anche dal 
			Petrarca, che le descrisse nell’”Itinerarium Syriacum”. 
			Il re fu grande amante delle lettere e delle arti per cui creò un 
			vero e proprio cenacolo con pittori, letterati e poeti, oltre ad una 
			rinomata scuola di giuristi: da Andrea D’Isernia a Bartolomeo 
			Caracciolo e Cino da Pistoia. 
			Tra le mura di Castelnuovo si consumò anche il “gran rifiuto” di 
			Celestino V, uno dei pochi precedenti, in 2000 anni di Chiesa, 
			dell’abdicazione di Benedetto XVI. Il 12 dicembre 1294, nella sala 
			maggiore, da allora detta del “tinello”, il vecchio eremita, davanti 
			alle alte cariche della Chiesa, lesse l’abiura, si sfilò l’anello, 
			rimase in cotta bianca, benedì il popolo e si ritirò a vita privata. 
			Dieci giorni dopo, nella stessa sala, il conclave elesse pontefice 
			Benedetto Caetani, il famigerato Bonifacio VIII, che Dante collocò 
			nell’Inferno. 
			Alla morte di Roberto I il Saggio, il “Maschio” fu abitato da 
			Giovanna D’Angiò, donna dai costumi disinibiti, che fece uccidere il 
			marito, fratello del re d’Ungheria, scatenando le ire del popolo 
			guidato da Tommaso De Jaca, che fu eliminato dall’amante della 
			regina. A vendicare il fratello intervenne personalmente il sovrano 
			magiaro, il quale saccheggiò il castello, senza però catturare la 
			regina, scappata prudentemente in Francia. Il maniero fu ridotto in 
			uno stato pietoso a tal punto che alcuni storici raccontano che 
			divenne una sorta di lupanare. 
			A consolidare questa leggenda collaborò anche la seconda regina di 
			nome Giovanna, sorella di Ladislao, la quale consumò una serie 
			frenetica di amplessi con giovani di ogni estrazione sociale, che, 
			dopo la coniuxio, venivano eliminati attraverso una botola. 
			Nel 1442 vi fu un cambio di dinastia con la corona di Napoli cinta 
			da Alfonso D’Aragona, detto il ”Magnanimo”, grande mecenate e 
			protettore delle arti, sul modello di Lorenzo il Magnifico a 
			Firenze. Fondò la celebre Accademia Pontaniana, che riunì i migliori 
			ingegni del tempo, da Sannazaro a Summonte, fino a Masuccio 
			Salernitano, autore del “Novellino”, una raccolta di novelle alla 
			maniera del Boccaccio.  
			Il re fece imponenti lavori di consolidamento ed anche gli ambienti 
			interni furono abbelliti da maestri spagnoli, quali Guglielmo 
			Segrera, a tal punto che il pontefice Pio II paragonò il castello 
			alla reggia di Dario. 
			La sala maggiore è un miracolo di statica architettonica con il 
			soffitto a costoloni. Essa prese il nome di “Sala dei Baroni” perché 
			nel 1486 il figlio di Alfonso, Ferrante D’Aragona, riunì tutti i 
			nobili del regno, che gli erano ostili e, fingendo una tregua, diede 
			ordine di arrestarli in massa. 
			Alfonso volle lasciare un messaggio ai posteri del suo ingresso in 
			città e fece erigere uno spettacolare Arco di Trionfo che 
			rappresenta una delle più belle opere del Rinascimento, al quale 
			lavorarono Guglielmo Da Majano, Luciano Laurana, il Pisanello e 
			Pietro Da Milano, i quali realizzarono un delicato equilibrio tra 
			volumi e spazi, coniugando valori plastici ed architettonici in un 
			insieme estremamente armonioso. 
			La realtà storica è alquanto diversa perché Alfonso conquistò la 
			città non attraverso una battaglia, bensì introducendosi con i suoi 
			guerrieri attraverso una cloaca, sbucando da un pozzo in un cortile 
			di Santa Sofia: a conferma della verità, vi è una pensione annua di 
			36 ducati alla portiera dello stabile, le cui ricevute sono 
			conservate nella Tesoreria Aragonese. 
			Grande interesse rivestono le porte di bronzo del castello, 
			attualmente conservate nel Museo Civico del Maschio Angioino, che 
			presentano degli squarci: in uno di questi fa bella mostra di sé una 
			palla di cannone. I sotterranei del castello presentano tetre 
			prigioni corredate da catene arrugginite e porte cigolanti. 
			Durante gli scontri tra Spagnoli e Francesi, Carlo VIII saccheggiò 
			il maniero che, piano piano, perse d’importanza, nonostante Carlo V 
			vi soggiornasse nel 1535 e Don Pedro Da Toledo lo circondasse con 
			un’ampia cinta bastionata. 
			I Borbone preferirono altre sfarzose residenze, anche se Ferdinando 
			I provvide, con un agile ponte, a collegarlo al Palazzo Reale. 
			Nel secolo scorso la decadenza ha raggiunto l’acme quando fu 
			trasformato in uffici, tra i quali la Direzione della Nettezza 
			Urbana , e, soprattutto, la Sala dei Baroni, che aveva accolto 
			Pontefici e Cardinali, Re e Regine, si trasformò in aula del 
			Consiglio Comunale, dove gli eletti del popolo si abbandonavano ad 
			insulti e scazzottate, mentre turbe di disoccupati esasperati lo 
			assediavano reclamando il miraggio di un lavoro. 
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			Maschio Angioino 
			
			  
			Arco di Trionfo, ingresso di Alfonso D'Aragona 
			
			  
			Cortile, scala d'accesso alla Sala dei Baroni, Cappella di Santa 
			Barbara 
			
			  
			Volta della Sala dei Baroni 
			
			  
			Porta bronzea 
			 
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