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			Cap.35Un eroe dimenticato da non dimenticare
 Riccardo Monaco
 
			Per decenni il nome di Riccardo Monaco (Napoli 1912-1994) ha evocato 
			in migliaia di signore e signorine….lo spettro turbinoso di 
			angosciose esperienze da dimenticare seppellendole nei più remoti 
			recessi dell’inconscio; nello stesso tempo ha rappresentato l’ unica 
			ancora di salvezza per tante che avevano sbagliato…, a tal punto da 
			dar luogo alla famosa canzoncina il cui ritornello somiglia ad una 
			parola d’ordine: “Hai fatt’ u’ mpiccio? Và addò Monaco che to ffa 
			passà”. Non trascureremo certo questo aspetto da Mister Hyde nel 
			tratteggiare la biografia del dott. Monaco, anzi aggiungeremo nuovi 
			particolari ed inedite testimonianze anche personali, ma scopo 
			precipuo della nostra ricerca è quello di far luce su di una serie 
			di strabilianti atti di eroismo di cui il Nostro fu artefice, 
			dimostrando al massimo grado sprezzo del pericolo ed un valore oggi 
			desueto: l’amore verso la propria Patria.
 Su queste imprese avvenute nei tristi cieli della Napoli del’43, 
			afflitti dalle devastanti incursioni dei bombardieri americani, le 
			famigerate fortezze volanti, si è a lungo favoleggiato, ma oggi su 
			questi incredibili atti di disinteressato eroismo e di sconfinata 
			audacia è sceso un velo di silenzio e quasi nessuno tra le nuove 
			generazioni, abituate alle imprese… scalcinate di Coccolone nei 
			cieli iracheni, sa cosa seppe compiere un ufficiale della nostra 
			gloriosa aviazione, che rispondeva al nome di Riccardo Monaco.
 A questa colpevole dimenticanza… non poco ha contribuito la 
			collocazione politica del Nostro che, per quanto insignito di due 
			medaglie d’argento e due di bronzo al valore militare (l’oro per la 
			nostra neonata repubblica, non era certo metallo adatto ad un 
			fascista ostinato e non redimibile) ha subito la congiura del 
			silenzio da parte degli organi di informazione governativi 
			coagulatisi nel dopoguerra sotto la consegna dell’ammucchiata 
			antifascista nata dalla resistenza, per cui qualunque episodio 
			benemerito riferito agli anni del ventennio doveva essere rimosso e 
			dimenticato per sempre.
 Scavare nel passato di Riccardo Monaco non è stato facile perché le 
			stesse memorie storiche del partito, Cantalamessa, Mazzone, 
			Rastrelli, che pure sono state prodighe nel riferirmi episodi ed 
			aneddoti, o vecchi amici come la vedova Tesse o il suo fedele 
			autista, oggi rigattiere domenicale nella villa comunale, non 
			ricordavano la data degli episodi eroici, né tanto meno l’esatto 
			svolgersi degli avvenimenti.
 Siamo così venuti a conoscenza di manie e passioni segrete, di gusti 
			e inclinazioni di cui tratteremo nel prossimo articolo, in cui 
			percorreremo carriera professionale ed impegno parlamentare, dal 
			dopoguerra alla morte avvenuta il 12 gennaio 1994.
 Solo dopo pazienti ricerche è stato possibile rintracciare le 
			figlie, Paola e Gabriella, trasferitesi da decenni nel nord Italia e 
			la nipote Vanda, figlia dell’unico fratello, da tempo residente in 
			Svezia ed a lungo consigliere regionale negli anni Settanta del 
			partito comunista; da cui memorabili battaglie verbali col famoso 
			zio, alfiere dei missini.
 Ed infine fortunose circostanze ci hanno messo sulle tracce di un 
			nipote prediletto ed affezionato alla memoria del nonno, di cui 
			porta anche il nome, il professor Riccardo Fenizia docente di 
			filosofia nei licei della nostra città e custode di cimeli, ricordi, 
			foto, diari etc, che gentilmente ci ha permesso di consultare e di 
			rendere noti ed il cui prezioso aiuto ha reso esaustiva la nostra 
			ricerca.
 Più complicato è stato recuperare la documentazione militare, anche 
			per il trasferimento dell’ archivio dell’aeronautica a Roma, ma alla 
			fine, grazie anche alla lettura in emeroteca di tutti i giornali 
			dell’epoca, non solo italiani, tutta la carriera militare è stata 
			ricostruita giorno dopo giorno con grande precisione e ne è 
			scaturito il profilo di un personaggio che nulla ha da invidiare a 
			gloriose leggende della nostra aviazione da Gabriele D’Annunzio a 
			Francesco Baracca, famosissimo pilota da caccia nella prima guerra 
			mondiale, il quale abbatté 34 aeroplani nemici in 63 combattimenti 
			aerei; ed allora il nostro Riccardo che di aeroplani ne ha abbattuti 
			tanti di più!!! come mai è stato completamente dimenticato? Infatti 
			dallo spulcio dei suoi libretti personali di volo fino al 15 marzo 
			1943 risultavano distrutti dal tenente Monaco, tra apparecchi 
			abbattuti in combattimento o annientati al suolo ben 61 velivoli, 
			oltre a 29 sui quali non vi era certezza.
 Il velivolo al quale il nostro eroe era più legato era il BA-65, un 
			apparecchio sperimentale all’epoca in cui egli, come ufficiale 
			pilota volontario, partecipò nel 1937-‘38 alla guerra di Spagna, ma 
			egli era abilitato ed esperto di ben altri 22 tipi di aerei in 
			dotazione alle nostre forze armate dal 1934, data in cui conseguì 
			giovanissimo il brevetto presso la squadriglia di turismo aereo 
			dislocata nell’aereocentro “Miraglia alla Runa”, fino al 17 luglio 
			del 1943 quando, a bordo di un D.520 traditore, un incidente in fase 
			di decollo non gli procurò ferite tali da dover abbandonare i 
			combattimenti, residuandone un’ invalidità di 7°categoria.
 E ferito lo rintracciarono gli americani, nostri improvvisati 
			alleati…,che lo internarono durante la loro occupazione! per oltre 
			due anni fino al 1946, facendogli conoscere prima il carcere di 
			Poggioreale e poi i campi di concentramento di Padula, Terni e 
			Riccione. La passione per il volo del giovane Riccardo era tanto 
			forte da superare indenne la paura di un salvataggio con paracadute, 
			quando in località Vomero, il 6 settembre 1934 (dodicesimo dell’era 
			fascista) un’avaria dei motori lo costrinse a sperimentare il famoso 
			“Salvator D-30”, il paracadute efficacemente in dotazione per anni 
			alla nostra aeronautica. La sua carriera di ardito combattente ha 
			inizio l’11 giugno del 1934, allorché viene nominato pilota 
			premilitare ed ammesso alla scuola di Capodichino Volerà per 
			centinaia di ore tra ricognizioni e combattimenti, prima in Spagna e 
			poi nel 1940 in Albania, in Russia e sui cieli della Patria per un 
			totale, al secondo semestre del 1943 di 583 ore e 25 minuti!!Sarà 
			presente anche in Africa ma mancherà la benzina per i nostri aerei 
			che rimarranno inattivi. Degli aerei abbattuti abbiamo già 
			accennato, ma prima di descrivere il suo episodio eroico più 
			importante vogliamo ricordare una confessione che Riccardo fece al 
			senatore Rastrelli, e da questi riferitaci, che ci illumina sul suo 
			carattere indomito e sulla sua proverbiale furbizia che conservò 
			anche nei lunghi anni del dopoguerra: “Molti, quasi tutti, amano il 
			sole, fonte di vita e di prosperità, ma io prediligo le nuvole, 
			perché spesso è grazie a loro che ho ottenuto la salvezza”. Infatti 
			la tecnica di combattimento del tenente Monaco, il quale era 
			costretto con un piccolo per quanto agile aeroplano, spesso da solo, 
			a misurarsi con le superfortezze americane, i giganteschi Liberator, 
			che avevano a bordo da 7 a 11 persone, consisteva nel colpire 
			velocemente, rifugiandosi poi momentaneamente tra nuvole 
			provvidenziali per ricolpire all’improvviso con rinnovata energia.
 E giungiamo così al fatidico 11 gennaio 1943, il giorno della grande 
			impresa eroica, degna di essere tramandata ai posteri e viceversa 
			sepolta colpevolmente nella dimenticanza e nell’oblio più assoluti. 
			Dal bollettino n. 962 emesso nel pomeriggio del 12 gennaio 1943 dal 
			Quartier generale delle Forze Armate veniamo a sapere che: 
			“Un’incursione è stata compiuta nel pomeriggio di ieri su Napoli e 
			dintorni; danni non rilevanti: nel crollo di alcuni edifici civili 
			la popolazione ha subito perdite finora accertate in 23 morti e 65 
			feriti. Tali apparecchi risultano caduti: due nella provincia di 
			Salerno (presso le località di Acerno e Calvanico san Cipriano) uno 
			a Lioni (Avellino) e il quarto in mare tra Ischia e Procida. Alcuni 
			dei componenti degli equipaggi sono deceduti, altri sono stati 
			catturati”. La notizia dell’ episodio rimbalzò non solo sulle prime 
			pagine di tutti i giornali italiani ma anche all’estero come, da noi 
			rintracciato, sull’ungherese Pester Lloyd che esaltò su nove colonne 
			“I cacciatori del Vesuvio a difesa dei cieli di Napoli”.
 E seguiamo la descrizione del combattimento avvenuto nei nostri 
			cieli attraverso la penna dell’anonimo redattore del “Roma” del 13 
			gennaio 1943: “Un cacciatore isolato attaccava audacemente i 
			quadrimotori tra Napoli e Caserta riuscendo a mitragliare 
			violentemente il veicolo capopattuglia, poscia impegnava l’ultimo 
			apparecchio di destra della formazione, che dopo alcune raffiche di 
			mitragliatrice si incendiava e può considerarsi probabilmente 
			abbattuto”. Di rimando il “Mattino” dello stesso giorno traccia un 
			profilo, pubblicandone una foto, del valoroso “Tenente Monaco, 
			napoletano, da solo ha affrontato una formazione di ben quattro 
			plurimotori nemici, abbattendone due. Egli è un professionista, un 
			medico, che vinto giovanissimo dalla passione del volo prese il 
			brevetto di pilota presso la squadriglia dell’aereocentro “Miraglia 
			alla Runa”. Ha combattuto volontariamente in terra di Spagna, 
			Africa, Russia. È decorato di due medaglie al valore, è padre di due 
			care creature Gabriella e Paola”. Sull’episodio la stampa americana 
			fu viceversa ben più cauta, tanto da nascondere, nei primi tempi, 
			completamente la notizia, salvo doverla riferire quando si seppe che 
			alcuni componenti dei Liberator abbattuti si erano salvati ed erano 
			stati fatti prigionieri. Un esemplare caso di disinformazione a fini 
			propagandistici precorrente le censure di oggi a riguardo dei raid 
			sull’ Afghanistan o di ieri sui deserti iracheni; manovra che fu 
			smascherata dal “Mattino” del 19 gennaio a pagina 4:“Spudorate 
			menzogne americane sul bombardamento di Napoli da parte di 
			apparecchi Liberator del 9° corpo dell’aviazione statunitense”.
 Il combattimento si svolse a 500 metri di quota e fu seguito da 
			molti altri nei giorni e nei mesi successivi, esitandone 
			l’abbattimento di altre superfortezze americane, come abbiamo potuto 
			appurare dall’attento esame dei libretti di volo del tenente Monaco, 
			conservati gelosamente dal prediletto nipote Riccardo. Una 
			straordinaria imperitura testimonianza di quel giorno glorioso è 
			rappresentata da un pugnale d’argento, regalato a Monaco da un 
			prigioniero americano ed oggi conservato dalla figlia Paola.
 Seguiranno circa 50 anni di vita civile con un impegno nella 
			professione e nella politica, un lungo periodo che esamineremo nel 
			prossimo articolo dettagliatamente, ma che non muteranno il 
			carattere dell’uomo, “Un fascistone come non ne esistono più”, 
			ricorda commossa la signora Onda, nume tutelare da sempre del gruppo 
			senatoriale di AN. Il richiamo più stringente al suo animo indomito 
			è scolpito nella struggente poesia che gli dedicò l’amico più caro, 
			il costruttore Enzo Tesse, che fa da epitaffio alla sua pagellina 
			funebre: Addio Riccardo oggi tu voli alto tanto più alto dei cieli 
			che ti erano familiari ….oggi tu ti allontani nei cieli 
			dell’eternità ma altri giovani e in tanti proseguiranno sulla strada 
			da te tracciata Addio Riccardo….
 E passiamo ora ad esaminare la carriera medica del nostro Riccardo, 
			il quale, già laureato ed iscrittosi alla scuola di 
			specializzazione, non trova nessuno tra i maestri dell’ostetricia 
			napoletana che gli voglia insegnare realmente la professione, per 
			cui, involontariamente…, fu costretto a ripiegare sul mercato degli 
			aborti clandestini, allora, e non solo allora, fiorentissimo per 
			l’assurdità di una legge ottusa, accolta poi nel codice Rocco, 
			ispirata alla protezione della stirpe, che comminava pesanti pene 
			detentive, sia alla donna che si sottoponeva all’interruzione 
			volontaria della gravidanza, sia al sanitario che gliela procurava. 
			Sono gli anni in cui la tecnica si basava sul famigerato 
			raschiamento, spesso eseguito senza alcuna anestesia, che, se 
			praticato da mani poco esperte poteva arrecare terribili 
			conseguenze.
 E’ l’epoca delle famigerate “mammane”, del “laccio” e per le donne 
			della buona borghesia, dei “cucchiai d’oro”, e Monaco era uno di 
			questi, conosciuto in tutto il meridione con frotte di clienti che 
			si affollavano nel suo elegante studio di via Caracciolo 13, 
			nonostante le sue tariffe, oscillanti dalle 500 mila lire al milione 
			(siamo negli anni ’60-’70!) non fossero particolarmente economiche.
 Questa sua attività è durata per oltre 40 anni e solo parzialmente 
			subì un declino dopo l’avvento del metodo Karman (aspirazione) che 
			non volle mai adottare. Anche negli anni dei suoi mandati 
			parlamentari, allorchè lavorava solo nel fine settimana, ha sempre 
			praticato almeno quattro aborti il sabato mattina fino a poco prima 
			della sua morte.
 In questi lunghi anni di professione egli riuscì ad accumulare una 
			fortuna che gli permetteva di farsi passare ogni sfizio, come 
			dedicare un intero piano in via Caracciolo per potersi divertire con 
			i suoi amati trenini elettrici: una superficie di oltre 500metri 
			quadrati all’ultimo piano, ultrapanoramica, che oggi sul mercato 
			immobiliare varrebbe non meno di 7-8 miliardi, utilizzata per 
			trascorrere ore di svago spensierato, interrompendo il ritmo 
			frenetico del suo lavoro stressante ed avendo talune volte a 
			compagno di giochi nientepopodimeno che Almirante, venuto 
			espressamente da Roma come ci confida il vecchio portiere dello 
			stabile in via Caracciolo 10. Un vero schiaffo alla miseria come gli 
			ricordava spesso il fedele amico Cantalamessa.
 In codesto luogo segreto trascorreva lunghe ore di gioco spensierato 
			col cappello di capostazione che lo rendeva più alto, lui che era di 
			bassa statura, un metro e sessantuno, una corporatura robusta, il 
			naso marcato, un paio di baffi scuri non troppo lunghi. Questi i 
			tratti fisici essenziali di un personaggio il cui carattere precipuo 
			era costituito da una volontà di ferro che non conosceva ostacoli, 
			accoppiata ad un carattere ostico quanto ostinato.
 La sera amava immergersi a notte fonda nelle sue letture preferite: 
			opere di carattere storico e di cronaca. Tra gli scrittori preferiti 
			D’Annunzio e Maupassant, oltre agli scritti di Gandhi, verso cui 
			nutriva una sconfinata ammirazione.
 Un’altra costosa passionaccia egli provava per la velocità, la sua 
			“Dino Ferrari” gli permetteva, come ci ricorda l’onorevole Mazzone, 
			di raggiungere Roma in poco più di un’ora. Nella città eterna amava 
			cenare al ristorante “Piperno”, situato nell’antico ghetto, ove era 
			prodigo con i suoi colleghi parlamentari nel rievocare aneddoti del 
			passato e storie piccanti di donne, delle quali si professava grande 
			ammiratore, discettandone con disinvoltura ed allegria e terminando 
			sempre con la frase: “Per tanto variar natura è bella”.
 Questa malcelata passione per il sesso debole non preoccupava più di 
			tanto donna Ginevra, moglie fedele, che una sola volta ebbe a 
			risentirsi visibilmente e a manifestare la sua gelosia, quando il 
			consorte fu fin troppo gentile con una giovane, dal cognome 
			illustrissimo, che si era rivolta a lui per intraprendere una 
			carriera politica, ancora oggi in piena evoluzione.
 Ebbe tre figli: due femmine, Gabriella e Paola, da tempo non più 
			residenti a Napoli ed un figlio Gior, tragicamente scomparso per 
			infarto all’età di ventotto anni, la cui morte pesò profondamente 
			anche nell’esercizio della professione paterna, che, secondo la 
			cattiveria di tanti e le malelingue, venne esercitata con più 
			fervore, affinchè altre donne non avessero un figlio, spesso tanto 
			desiderato. Una nipote, Vanda Monaco, oggi residente in Svezia, fu 
			schierata politicamente sull’altra sponda: consigliere regionale del 
			P. C. I. fino agli anni Ottanta. Da cui interminabili diatribe 
			verbali in aula improntate però sempre ad estrema correttezza e 
			stima reciproca. Alla penna di Vanda si deve l’unica biografia 
			dell’illustre zio ,anche se esigua, che sono riuscito a rintracciare 
			nelle mie ricerche; essa trovava collocazione nell’annuario “Tutta 
			Napoli”edito nel 1959 dalla Deperro editore. Nella citata biografia, 
			stranamente, manca una dettagliata descrizione degli eroismi nel 
			cielo di Napoli, se non il ricordo di “Un’azione bellica che ebbe 
			notevolissima importanza, in quanto mai prima di allora un caccia 
			leggero era riuscito ad attaccare e ad abbattere due bombardieri 
			americani”.
 Una fortunosa congiunzione astrale ci ha permesso d’incontrare la 
			signora Vanda, oggi artista oltre che regista di successo, di 
			passaggio a Napoli per interpretare un suo spettacolo alla Galleria 
			Toledo. Assente da anni dalla sua città vi era ritornata 
			fortuitamente in coincidenza con la commemorazione dello zio da me 
			organizzata presso il Circolo Canottieri Napoli, con l’aiuto di 
			parlamentari di ogni credo politico, direttori di giornali e 
			personalità della cultura.
 La signora Vanda, figlia dell’unico fratello del dottor Monaco, 
			serba per lo zio un affettuoso ricordo al di là dell’opposta fede 
			politica ed ha tenuto a sottolineare che spesso, finite le accese 
			controversie verbali in Consiglio regionale, erano soliti stemperare 
			gli animi e riaffermare l’ affetto reciproco in interminabili cene 
			innaffiate da vini corposi, spesso in bettole malfamate, discutendo 
			ancora animatamente, ma di ben altri argomenti.
 Come abbiamo potuto appurare da numerose testimonianze, non solo dei 
			parenti più stretti, ma anche di colleghi e da vecchie clienti con 
			le quali si era confidato, il ginecologo tanto famoso riteneva 
			l’aborto un grave problema di coscienza, un cruccio morale al quale 
			era lecito ricorrere solo quando non esisteva altra soluzione e 
			purtroppo spesso non esiste altra soluzione.
 Nonostante tanti decenni di attività “contra leges” lo studio del 
			dottor Monaco non fu mai profanato da incursioni della polizia, né 
			tanto meno vi furono indagini giudiziarie, a differenza di tempi più 
			vicini a noi, durante i quali magistratura e forze dell’ordine hanno 
			fatto a gara nella repressione, in omaggio ad una legge, la 194 del 
			22 maggio 1978, inficiata dalla nascita da un grave peccato 
			originale: l’ipocrito compromesso tra forze di sinistra e cattolici, 
			che ha prodotto un aborto giuridico, considerando legale 
			l’interruzione della gravidanza eseguita in ospedale ed illecita ed 
			esecrabile la stessa se effettuata in una struttura privata, anche 
			se attrezzatissima; “O tempora o mores”.
 L’unico infortunio in cui Monaco incorse nell’esercizio della sua 
			professione… fu, in un’epoca in cui le molestie sessuali utilizzate 
			come ricatto non erano come oggi di moda, una denuncia per violenza 
			carnale presentata da una sua attempata cliente la quale dichiarò di 
			essere stata deflorata nel corso di una visita ginecologica. Lo 
			scandalo fu grande e per il medico si riaprirono per alcuni mesi le 
			porte del carcere di Poggioreale, questa volta per una detenzione 
			non più come prigioniero di guerra ma, almeno secondo l’accusa che 
			fu demolita in seguito, come delinquente comune.
 Fortunatamente la perizia giudiziaria fu assegnata ad un ginecologo 
			il quale, prendendo a cuore la sventura del più famoso collega, nel 
			valutare i dati anatomici della paziente, concluse che la 
			denunciante si era inventato tutto; infatti, nonostante la sua età 
			veneranda e l’imbarazzante avventura capitatele ,era ancora in 
			possesso del fiore della sua illibatezza.
 Superata felicemente la bufera giudiziaria il dottor Monaco non fu 
			irriconoscente e dimostrò ampiamente la sua gratitudine verso il più 
			giovane collega permettendogli di sostituirlo nel suo studio durante 
			il mese di agosto ogni anno, senza pretendere, caso più unico che 
			raro nelle transazioni tra medici, una sola lira di percentuale. Il 
			dottor Sivo, forte di questa preferenza decise anche di aprire un 
			suo studio allo stesso famigerato indirizzo di via Caracciolo 13, 
			ove, aiutato dal foraggiato portiere, riusciva spesso a dirottare 
			qualche incauta cliente recatasi nella famosa “località” per 
			risolvere la sua spinosa situazione, senza nemmeno conoscere 
			l’esatto nome del professionista a cui si affidava.
 La sua segreta speranza era riposta nella notevole differenza d’età 
			tra lui e il suo protettore, che sperava quanto prima di sostituire 
			per eventi naturali, accalappiandosi la sua nutrita clientela. “E’ 
			della classe 1911!” Soleva spesso ripetere il dottor Sivo, ma per 
			uno scherzo del destino, egli ha lasciato prematuramente questa 
			valle di lacrime, chiudendo mestamente la sua carriera come 
			specialista mutualistico in alcuni comuni a nord di Napoli, dopo 
			aver dilapidato gran parte dei suoi guadagni.
 La violenza sessuale di cui fu accusato il dottor Monaco non 
			meravigliò più di tanto l’opinione pubblica, perché forte era l’eco 
			di una serie di dicerie… che circolavano insistentemente a Napoli e 
			di cui alcune, vere o false che fossero, sono pervenute anche alla 
			mia attenzione nelle confidenze delle mie pazienti all’epoca dei 
			primi anni Settanta, quando, con l’introduzione del metodo 
			dell’aspirazione (Karman), lo stesso raschiamento era visto dalle 
			donne come una vera e propria violazione da sopportare in silenzio.
 La sua collocazione a destra e la sua fama d’immarcescibile fascista 
			lo trasformarono continuamente in oggetto di attacchi inauditi da 
			parte della stampa di sinistra. Fu “Paese Sera”, quotidiano 
			paracomunista, a distinguersi nell’azione di linciaggio con numerosi 
			articoli che riportavano spesso confessioni di giovani pazienti con 
			particolari piccanti.
 Citiamo, tra i tanti, alcuni brani di una conversazione telefonica 
			registrata e pubblicata dal “Paese Sera” tra il giornalista Luciano 
			Scateni e il professionista:
 “Il prezzo è sempre mezzo milione?” “Perché non va al diavolo” “E’ 
			vero che il suo aborto ha due facce?” “….?” “Nel senso che con le 
			signore bene tiene un comportamento rispettoso e con le ragazze un 
			atteggiamento da troglodita?” “Se non la pianta la denuncio per 
			molestia” “Dicono (e sono testimonianze dirette, drammatiche) che 
			quando si presenta una ragazza viene affrontata così: ti è piaciuto 
			fare l’amore vero? E ora sgualdrina che non sei altro, che vuoi? Poi 
			mani addosso, insulti” “…” “Come se non bastasse con gli spiccioli 
			dell’aborto continuato dicono ed è dimostrato che ha finanziato le 
			farneticanti spedizioni dei mazzieri fascisti” “Non le permetto!”. 
			……………..
 Di nuovo, sempre su “Paese Sera” del 6 maggio 1978 a pag. 8, mentre 
			è in discussione in Parlamento la legge sull’aborto, viene 
			pubblicata una confessione choc: “La drammatica esperienza di 
			Annamaria” della quale pubblichiamo un ampio stralcio. Era nostra 
			intenzione rendere nota questa esperienza, ma per non tediare 
			eccessivamente il lettore, rinviamo chi è interessato ai particolari 
			erotici e sconvolgenti della testimonianza alla lettura diretta in 
			emeroteca.
 Conobbi personalmente il dottor Monaco quando egli m’invitò nel suo 
			studio per discutere assieme di un mio libro da poco licenziato alle 
			stampe. Era il mese di gennaio del 1979, da poco era stata approvata 
			dopo lunga lotta la legge che legalizzava l’interruzione volontaria 
			di gravidanza e da qualche mese era uscito in libreria un mio 
			manuale “Moderne metodiche per provocare l’aborto”, nel quale si 
			descriveva per la prima volta nel nostro Paese l’utilizzo della 
			siringa di Karman, una nuova tecnica che permetteva di abortire 
			tramite l’aspirazione, una metodica rivoluzionaria che avevo avuto 
			modo di apprendere e d’introdurre in Italia dallo stesso inventore, 
			il Karman curiosamente non un ginecologo bensì uno psicologo.
 Trovai, mentre lo sfogliavamo assieme, il mio libro sottolineato 
			quasi ad ogni pagina, segno di un interessamento da parte di un 
			professionista così esperto e tanto famoso e la circostanza 
			m’inorgoglì non poco. Fui deluso viceversa dal parere negativo 
			espresso sulla nuova metodica, infatti il dottor Monaco riteneva il 
			raschiamento insuperabile e la nuova metodica votata al sicuro 
			insuccesso.
 Il tempo viceversa ha fatto abbandonare il vecchio curettage a 
			vantaggio della nuova tecnica che oggi, anche se faticosamente, è 
			entrata nella pratica comune. Nel mondo civile, ad eccezione 
			dell’Italia, l’aspirazione è l’unica tecnica adoperata oltre al 
			sempre più diffuso utilizzo delle metodiche farmacologiche che nel 
			nostro Paese, patria di bigotti e baciapile, rappresentano ancora 
			fantascienza. La passione per la politica attiva, frutto di una fede 
			incrollabile negli ineludibili ideali del fascismo ha fatto 
			capolinea subito nella vita di Riccardo Monaco, il quale infatti, 
			appena ritornato alla vita civile, dopo essere stato rilasciato nel 
			1946 dal campo di concentramento di Riccione, riprende gli esami per 
			la specializzazione in Ostetricia, che consegue nel 1947 ed è subito 
			nell’agone elettorale, presentandosi alle prime elezioni politiche 
			del 1948, quando, nelle file del M.S.I. risultò terzo con oltre 
			15.000 voti di preferenza, purtroppo insufficienti per il 
			Parlamento.
 Vogliamo sottolineare che la carriera politica di Riccardo Monaco 
			che descriveremo brevemente non è particolarmente eclatante, anche 
			se egli “ci teneva” moltissimo per la sua fede incrollabile.
 “Servì la patria in guerra con onore, la serve oggi in pace con 
			coraggio” oppure”Un voto cosciente per un uomo coraggioso al 
			servizio dell’ Idea”, questi slogans capeggiavano sul suo materiale 
			elettorale faticosamente e fortunosamente da me rintracciato. Per 
			anni fu editore e direttore del periodico “Azione politica”, avendo 
			fedele collaboratore Luigi Argiulo, oggi residente a Giugliano ed 
			ancora oggi attivista convinto.
 I suoi articoli, permeati da una fede incrollabile, erano avidamente 
			letti dai giovani, che vedevano in lui una gloriosa bandiera. Ne 
			ricordiamo, tra i tanti, uno dei più acclamati, paradigmatico della 
			sua interpretazione della nostra storia repubblicana: “Il giorno più 
			triste. Il 25 aprile è una giornata da dimenticare perché fu la 
			giornata più triste d’Italia; oggi esiste soltanto un’Italia che 
			venti anni fa ha perduto una guerra ed una classe dirigente che è 
			ancora quella imposta dai vincitori…etc.” Oppure altre amenità della 
			stessa solfa come: “Contro il disordine demomarxista, contro la 
			corruzione imperante, contro il disfacimento dello Stato, per la 
			libertà nell’ordine, per l’onestà politica, per la riforma 
			corporativa dello Stato”. Parole d’ordine con le quali Monaco 
			martellava le nuove generazioni e furono sempre i giovani a 
			decretare i suoi successi elettorali.
 Dal 1964 fu a lungo consigliere comunale, fino a quando, negli anni 
			Ottanta approdò nel Consiglio regionale, palestra per le sue 
			memorabili dissertazioni e ideale trampolino di lancio per il 
			Parlamento, ove fu eletto senatore il 3 giugno 1979 per il collegio 
			di Napoli V (Vomero) con 18.146 voti e confermato nella successiva 
			legislatura, la 9°, nel collegio di Napoli VI (Stella), in uno dei 
			quartieri più popolari della città. Fu membro di diverse 
			commissioni: Istruzione pubblica, Belle arti, Ricerca scientifica, 
			Spettacolo e sport.
 Fu quindi convinto dal suo partito a candidarsi alla Camera e si 
			trattò di un vero e proprio sgambetto, perché per un nostalgico come 
			lui, per il quale contava molto l’idea e poco il partito, il 
			meccanismo delle preferenze poteva essergli fatale. Un “disorganico 
			al sistema elettorale” come lo definisce con affetto il senatore 
			Rastrelli poteva sopravvivere solo al Senato. Infatti risultò il 
			primo dei non eletti, con malcelata soddisfazione di una frangia 
			consistente del suo partito che vedeva di malocchio la sua 
			professione. Si ritirò quindi alla sua attività di medico, ma 
			soprattutto all’affetto della sua famiglia.
 Negli ultimi tempi, malandato di salute, preferiva sempre più alla 
			sua splendida casa di via Caracciolo, una dimora più bucolica e 
			tranquilla in quel di San Sebastiano. Premurosamente assistito dai 
			familiari, metteva tutti in agitazione quando, più di una volta, 
			sembrò che stesse per rendere l’anima a Dio. E di quest’anima erano 
			particolarmente preoccupati i suoi cari, dalla moglie alle figlie, 
			dal prediletto nipote fino alla fedele cameriera e fu proprio lei, 
			quando capì che era imminente il momento del trapasso, ad insistere 
			per far giungere al capezzale dell’infermo un sacerdote per la 
			confessione. E per quest’ufficio fu chiamato un singolare 
			personaggio, già celebre medico e docente universitario, che in età 
			matura aveva avuto la “chiamata”.
 Pur legato al contenuto segreto dell’ultimo colloquio, sembrò ai 
			suoi cari ottimista, raccomandò soltanto: sono necessarie molte 
			indulgenze!
 Finita l’avventura terrena dell’uomo restava però per i posteri il 
			personaggio, delle cui imprese cercheremo di tenere vivo il 
			ricordo:“La vittoria di un passerotto contro due falchi infuriati” 
			lentamente fu dimenticata. Dalla foto sulla copertina del maggior 
			periodico italiano (Tempo n° 211) al silenzio della stampa del 
			dopoguerra, dalle lodi più solenni e sperticate dei contemporanei 
			alla colpevole rimozione del ricordo dei posteri.
 Dall’albo d’oro dei decorati al valor militare della provincia di 
			Napoli ci emozioniamo a leggere la motivazione dell’assegnazione sul 
			campo della medaglia d’argento al valor militare per l’impresa 
			dell’11 gennaio 1943 compiuta nel cielo di Napoli. Dobbiamo tutti 
			ricordare che l’importante centro nazionale, citato nella menzione, 
			era Napoli, la sua città e quale onore più alto per un prode, quale 
			raro privilegio per un ardito è costituito dal poter mettere il 
			proprio coraggio e la propria abilità a disposizione dei propri 
			familiari e dei propri concittadini. Quante centinaia di napoletani 
			debbono la loro vita alla sua azione temeraria, la quale provocò la 
			distruzione di tanti aerei nemici, prima che potessero distribuire 
			sulla città il loro carico mortale.
 Sugli episodi eroici di Riccardo Monaco si è abbattuta 
			implacabilmente la maledizione dell’oblio più ostinato e 
			dell’amnesia più profonda, portati in auge dalla filosofia della 
			“Napoli milionaria”, quando, perduta la guerra, tutti potevano, 
			dovevano, volevano dimenticare non solo il male, i lutti, le 
			sofferenze, la fame e le privazioni, ma anche gli episodi di 
			generosità, di altruismo, di abnegazione, di audace sprezzo del 
			pericolo che non erano certo mancati. Oggi vogliamo essere buoni, e 
			soprattutto ingenui, e credere all’espletarsi di questa ineluttabile 
			sindrome eduardiana: il tenente Riccardo Monaco con i suoi 
			indimenticabili atti di eroismo è stato dimenticato perché bisognava 
			voltare pagina e non perché fino alla fine ha conservato il suo 
			indomito carattere e la sua immarcescibile fede politica o, peggio 
			ancora, per l’esercizio della sua professione, espletata 
			costantemente con la consapevolezza delle scelte difficili e con una 
			sempre attiva vigile tensione morale.
 Non c’è stata allora una pervicace opera di disinformazione durata 
			decenni, da parte dei mass media, desiderosi di sostituire le 
			vecchie veline con le nuove? Non c’è ancora oggi una precisa volontà 
			di non voler ricordare episodi e personaggi, scomodi forse, ma che 
			invitano alla riflessione e ad una più pacata meditazione sul nostro 
			passato? Ai posteri l’ardua sentenza!
 
			 
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