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			Cap.37Un folle ordinatore
 Raffaele Cutolo
 
			La camorra rappresenta, da tempo immemorabile, una realtà tangibile 
			della vita sociale napoletana, da cui non si può prescindere in 
			nessuna analisi sociologica.In molti quartieri rappresenta l’antistato, poiché amministra in 
			alcuni casi perfino la giustizia, per via della cronica latitanza 
			dei poteri istituzionali; in assoluto manovra una quantità di denaro 
			talmente cospicua da rappresentare l’industria principale dell’area 
			napoletana.
 Alcuni modelli culturali sono talmente assimilati dalla mentalità 
			popolare da costituire un qualcosa di imprescindibile nel giudicare 
			e nell’orientare il comportamento dei singoli.
 Tutto ciò potrà anche costituire un modello nefasto di società, in 
			ogni caso per molti anni ancora ci saranno profonde resistenze 
			culturali al cambiamento, per questo corre l’obbligo di raccontare 
			le storie di un personaggio simbolo dell’antistato.
 Parleremo di Raffaele Cutolo, che, riteniamo appartenere alla 
			categoria dei folli ordinatori, cioè quei personaggi che, sotto 
			l’effetto di una pazzia lucida, costituiscono un sistema di potere, 
			che in certa misura, stabilisce una forma di ordine nella società, 
			creando per un periodo di tempo abbastanza lungo una sorta di «pax 
			camorristica», durante la quale si possono anche osservare dei 
			fenomeni positivi, come l’abolizione di alcuni tipi di reato di 
			maggiore allarme sociale, quali i sequestri di persona e gli atti 
			terroristici. Non si può, poi, prescindere dall’aspetto principale 
			del potere camorristico cioè quello economico, che manovra migliaia 
			di miliardi e che si è particolarmente sviluppato negli anni 
			successivi al terremoto che, nel 1980, ha colpito la Campania.
 In un particolare momento storico in cui una diabolica alleanza tra 
			potere politico e potere camorristico ha fatto affluire un fiume di 
			50-60.000 miliardi nella nostra regione, creando dal nulla ricchezze 
			colossali, ma distribuendosi in ogni caso in innumerevoli rivoli, 
			dando così respiro ad una economia che, mortificando le naturali 
			inclinazioni delle nostre popolazioni, portate verso l’agricoltura, 
			l’artigianato, ed il turismo, ha cercato di imporre 
			l’industrializzazione forzata, che si è dimostrata un fallimento e 
			che ha prodotto effetti devastanti sull’ambiente e sulle abitudini 
			dei cittadini.
 Raffaele Cutolo nasce nell’ottobre del 1941 ad Ottaviano, una 
			cittadina dedita ufficialmente all’agricoltura e posta alle pendici 
			del Vesuvio, dove il 15% della popolazione gira con in tasca la 
			pistola, che viene regalata ai ragazzi al momento della cresima e 
			dove esiste anche il più alto indice di motorizzazione individuale. 
			Il padre è un contadino, buona persona detto dai compaesani «o 
			monaco» perché molto religioso; la mamma è una tranquilla casalinga.
 Raffaele frequenta con scarso profitto la scuola conseguendo la 
			licenza elementare. Da bambino con la sua faccia da prete sognava di 
			diventare papa. Quindi dopo aver bighellonato per alcuni anni senza 
			arte né parte, come tanti giovani del suo paese, debutta a 22 anni 
			con il suo primo omicidio, uccidendo in una rissa scoppiata per 
			futili motivi un compaesano Mario Viscido, che aveva osato prendere 
			le difese di una ragazza, redarguita da Cutolo perché aveva osato 
			ridere al suo passaggio.
 Subito arrestato trascorre a Poggioreale, che sarà il suo feudo 
			personale, gli anni della carcerazione preventiva che scadono nel 
			maggio del 1970. Don Raffaele ottenuta la libertà provvisoria 
			comincia a gettare le basi della Nuova Camorra Organizzata (NCO), 
			principalmente aiutando economicamente le famiglie dei carcerati, a 
			cui fornisce anche i migliori avvocati.
 A marzo del 1971 il processo Viscido si conclude con la condanna di 
			Cutolo all’ergastolo. I carabinieri lo rintracciano a San Gennaro 
			Vesuviano, un paesino alle falde del Vesuvio, ove il futuro 
			«professore» ritiene di essere intoccabile. Nel tentativo di arresto 
			Cutolo ferisce due carabinieri, ma il giorno dopo viene catturato e, 
			dichiarato infermo di mente, viene condotto nel manicomio di 
			Sant’Eframo a Napoli. Dopo alcuni mesi viene trasferito nel 
			manicomio giudiziario di Aversa, dal quale il 7 febbraio 1979 
			fuggirà in maniera rocambolesca, entrando nella fantasia popolare 
			con lo stesso carisma di Superman.
 L’evasione avviene di domenica, intorno alle 15, mentre tutti i 
			ricoverati, gli infermieri ed il personale di custodia è intento a 
			seguire la partita di calcio alla radio. Un commando di fedelissimi, 
			capitanato dal luogotenente Antonino Cuomo, opera una breccia nel 
			muro di cinta del manicomio con la dinamite. Don Raffaele, che nel 
			frattempo stava tentando di estorcere ai medici fiscali la 
			semi-infermità mentale, può evadere indisturbato, ed appagare la sua 
			sete di libertà, affermare la vittoria del suo io, e la capacità di 
			poter beffare, quando vuole, le istituzioni che gli si 
			contrappongono.
 Saranno arrestate due guardie carcerarie per favoreggiamento, ma si 
			scatenerà l’ira dei duecento colleghi dei due agenti incriminati, 
			che metteranno in risalto, attraverso una manifestazione di 
			protesta, l’impotenza dello Stato, il quale si illude che con del 
			personale disarmato ci si possa opporre efficacemente ad un attacco 
			eseguito da delinquenti, decisi a tutto, ed armati con tritolo e 
			fucili mitragliatori.
 Una volta liberato Cutolo si dedica anima e corpo alla creazione di 
			una aggregazione di fedelissimi, il cui scopo però non sarebbe 
			quello di commettere delitti, bensì la lotta contro le ingiustizie. 
			La Nuova Camorra Organizzata per il «professore» dovrebbe essere 
			formata soltanto da uomini veri, che combattono per togliere ai 
			ricchi e dare ai poveri.
 Tutti i gregari sono dominati psicologicamente dal suo grande 
			carisma, che, come tutti i veri capi egli impone ai malavitosi con 
			il suo sinistro fascino, che riesce ogni giorno a fare nuovi 
			proseliti. Molti delinquenti si sentono onorati di andare in galera 
			per don Raffaele, perché lo ritengono un amico, un padre e non un 
			delinquente.
 Molti altri, sperano, diventando suoi vassalli, di passare da 
			«pezzenti» a «signori». La camorra pur con gli opportuni 
			collegamenti, non deve subire alcun rapporto di sudditanza con la 
			mafia e con la ’ndrangheta. Organizzata in modo autonomo deve 
			permettere a Napoli di «giocare» in serie A nel panorama delle 
			grandi famiglie criminali mondiali, perché il ruolo subalterno non 
			si addice ai napoletani.
 Il «professore» promette «libera impresa in libera criminalità» e si 
			proclama tutore di questa libertà, che, naturalmente ha un prezzo da 
			versare puntualmente ai suoi esattori.
 Le più importanti famiglie napoletane dai Giuliano di Forcella ai 
			Bardellino di Caserta dovevano versare tangenti di centinaia di 
			milioni a Cutolo nel suo periodo di massimo splendore.
 Don Raffaele durante il periodo della sua latitanza si vanta di 
			avere carteggi con Sottosegretari agli Interni e Ministri della 
			Difesa ed inoltre lancia spesso clamorosi proclami, come quello in 
			cui intima ai rapitori di un ragazzo, Gaetano Casillo, di liberare 
			immediatamente l’ostaggio. I sequestratori obbediscono al diktat e 
			dopo poco scompare misteriosamente un commerciante di San Gennaro 
			Vesuviano, che forse era implicato nel rapimento.
 Cutolo si dimostra tenero verso la ragazza povera che gli chiede 
			aiuto perché non ha i soldi per il corredo o per il giovane 
			latitante disperato, ma non ci pensa due volte a far uccidere in 
			carcere il suo luogotenente e la sua vedova depositaria di 
			pericolosi segreti.
 Nel maggio del 1979 termina la latitanza di Cutolo. Cento 
			carabinieri circondano la villetta di tale Giuseppe Lettieri ad 
			Albanella vicino Paestum, ove aveva trovato rifugio il boss. Il 
			«professore» per quanto armato fino ai denti, prudentemente si 
			arrende senza opporre resistenza ed al colonnello Bario, comandante 
			dei carabinieri di stanza a Napoli, esclama: «è giusto che per 
			arrestare un capo si muove un altro capo»: inoltre senza ironia 
			elogia i militari per l’efficacia della loro impresa.
 Dal carcere Cutolo continua a comandare i suoi «guaglioni» di Napoli 
			ed il suo potere invece di diminuire tende ad aumentare, a tal punto 
			che sarà lo stesso Stato a rivolgersi a lui nel carcere di Ascoli 
			Piceno, attraverso i servizi segreti, per facilitare la liberazione 
			di Cirillo, rapito dalle brigate rosse. Tale interessamento, su 
			richiesta della DC, è stato confermato il 15.7.1993 dalla Corte di 
			Appello di Napoli.Un carcere di massima sicurezza diviene per alcuni 
			mesi un porto di mare per terroristi, camorristi latitanti, 
			ufficiali dei servizi segreti, i quali entrano ed escono 
			falsificando i registri e mettendosi in coda per essere ricevuti dal 
			boss onnipotente. Cutolo fa pubblicare dal quotidiano «Il Mattino» un 
			minaccioso proclama con cui ordina alle brigate rosse di liberare 
			immediatamente l’assessore Cirillo e di lasciare subito il 
			territorio della Campania, che rappresenta un suo feudo personale. 
			Avverte che in caso di diniego migliaia di amici onorati uccideranno 
			subito i brigatisti rinchiusi nelle carceri ed i loro parenti che si 
			trovano in libertà.
 L’«invito» viene accolto subito e l’anziano politico con i suoi 
			ingombranti segreti viene rilasciato.Il professore si ritiene, senza 
			presunzione, felice di avere salvato le istituzioni, come Vito 
			Genovese che fu chiamato in aiuto dallo Stato o Lucky Luciano, che 
			favorì lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia.
 L’Italia in quei mesi raggiunge il livello di guardia come 
			credibilità istituzionale.
 Napoli nel frattempo si trasforma in un immenso campo di battaglia 
			con 160 assassini in 10 mesi, un morto ogni 36 ore; 500 morti in tre 
			anni.
 Cutolo per disposizioni di Pertini, viene trasferito nel 
			supercarcere dell’Asinara, ove per anni ed anni viene sottoposto ad 
			un regime di totale isolamento in una cella-stalla.
 Nel frattempo le sorti della NCO tendono verso il peggio, i suoi 
			nemici coalizzati acquistano sempre più fette di potere e Napoli ed 
			il suo circondario cadono in preda ad un caos ancora più profondo 
			senza un capo riconosciuto e con una continua, ferocissima lotta di 
			bande per una nuova supremazia delinquenziale.
 Cutolo sottoposto ad un regime carcerario durissimo, che non ha 
			eguali in Italia, lentamente perde la sua grinta ed a suo dire si 
			pente del suo passato, un pentimento profondamente sentito, non di 
			quelli che ora vanno tanto di moda. Un pentimento da uomo d’onore, 
			quale egli è, che ritiene giusto di dover scontare la pena 
			dell’ergastolo, ma che pensa che se la sua vita debba finire in 
			carcere, debba però essere vissuta con dignità. Un pentimento che lo 
			spinge a ritenere per lui sciolta la NCO, la quale per colpa dei 
			suoi gregari, lasciati senza capo, ha tradito gli ideali per cui era 
			stata fondata.
 Egli lancia un accorato appello ai giovani che si preservino dal 
			flagello della droga, attraverso una semplice e genuina poesia «La 
			polvere bianca» che incisa su cassetta gira per tutti i vicoli ed i 
			bassi napoletani. «Polvere bianca ti odio! Sei dolce e sei amara ... 
			come una donna ... sei luce e sei buio. Giovani! Odiatela! La 
			polvere bianca si! vi fa volare per poi farvi ritornare nel buio più 
			cupo. Vola per l’aria lembi di un’anima fatta a pezzi. Si tocca il 
			fondo, i prati diventano voragini buie ed i fiori hanno i petali 
			neri. Poi di colpo i dolori si placano. È il cielo. È un’esplosione 
			di luce. Poi più nulla. L’indomani solo un trafiletto sul giornale. 
			Ennesimo giovane “morto per droga”. Polvere bianca ti odio. Cutolo. 
			Belluno 27.7.88».
 In Sardegna Cutolo trascorre sei anni durissimi in una ex stalla per 
			maiali, senza luce, senza giornali, senza acqua corrente, in 
			compagnia di guardie mute sempre con il mitra spianato ed il colpo 
			in canna; costretto a dialogare con degli amici di fortuna come una 
			mosca o delle formiche attirate nella cella con lo zucchero. Senza 
			poter usare un fornellino con il quale scaldare l’acqua allo scopo 
			di alleviare i suoi problemi di artrosi, sciatica e gengivite. Senza 
			il conforto di poter assistere neanche alla santa messa, tanto da 
			spingere il Santo Padre, a cui Cutolo si rivolge, a disporre che ne 
			venisse celebrata ogni giorno una apposta per lui.
 Numerose perizie psichiatriche a cui Cutolo è stato sottoposto, 
			hanno stabilito che egli è pazzo, soprattutto quando hanno giudicato 
			alcune affermazioni del «professore» come quella in cui egli 
			asserisce che ciò che fece Cristo ai suoi tempi non può reggere al 
			paragone con ciò che ha fatto lui ai nostri giorni, perché Cristo 
			ebbe grande aiuto da parte degli apostoli che magnificarono 
			all’esterno le sua gesta, mentre lui ha sempre avuto una stampa 
			avversa, che ha messo in risalto soltanto i lati negativi della sua 
			personalità.
 Noi lo riteniamo un folle ordinatore, un appartenente cioè a quella 
			categoria di uomini, che tenta di stabilire un suo ordine 
			«particolare» nella società in cui vive e che viene giudicato pazzo 
			dagli uomini del suo tempo.
 Riteniamo inoltre che abbia diritto ad un più umano trattamento 
			carcerario da parte di uno Stato, che ha avuto in passato da lui dei 
			servigi e che negli ultimi anni ha messo in libertà tanti terroristi 
			e tanti delinquenti comuni. Nessun detenuto in Italia ha trascorso 
			tanti anni in prigione quanto Cutolo e nessuno è sottoposto ad un 
			regime carcerario più duro.
 Tutto questo ci sembra discriminatorio ed ingiustificato.
 
			 
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