| 
 
			Cap.30La storia di un uomo inutile
 Francesco Caravita di Sirignano
 
			Il principe Francesco Caravita di Sirignano, internazionalmente 
			conosciuto come «Pupetto», oltre ad essere stato uno degli ultimi 
			nobili napoletani autentici in circolazione, ha rappresentato 
			l’interprete più vero, più trasparente, più genuino di un certo modo 
			di essere meridionale in generale e napoletano in particolare.Egli rifiutava razionalmente la sistematicità e l’impegno del 
			lavoro, ma possedeva a dismisura tutte quelle qualità che hanno 
			fatto grandi nei secoli i napoletani: la bontà, la fantasia, 
			l’intelligenza, l’arguzia, l’amore per le cose belle, la genuina 
			solidarietà verso il prossimo, la negazione della ripetitività, la 
			ricerca del nuovo e dello sconosciuto.
 Una vita appassionante, vissuta con trasporto verso tutte le cose 
			belle e fuori di ogni dubbio senza i rimpianti che spesso 
			accompagnano tutti coloro che si danno precise regole di 
			comportamento e di azione.
 Tante donne nella sua vita nelle vesti di mogli, amanti, amiche, 
			ammiratrici e tre figli Giuseppe, Alvaro e Mila, ai quali 
			affettuosamente egli ha augurato che la vita sia piacevole e gradita 
			come è stata quella del loro papà. Pupetto amava farsi chiamare così 
			dagli amici forse per dimenticare anche gli altri suoi nomi Saverio, 
			Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.
 Egli è stato un protagonista del jet set internazionale nel periodo 
			compreso tra le due guerre mondiali, in un momento in cui la 
			spensieratezza era un obbligo per la gioventù dorata europea e 
			nord-americana.
 Il principe ha trascorso tutta la giovinezza tra viaggi, avventure 
			ai limiti dell’eroismo, infiniti amori più o meno sconvolgenti, 
			favolosi corteggiamenti e singolari incontri con le maggiori 
			personalità del suo tempo da Caruso a Churchill, da Mussolini a 
			Puccini, da Marconi a Croce, dal duca di Windsor a Spadaro, da 
			Chevalier a Margaret e potremmo continuare quasi all’infinito con un 
			elenco interminabile di nomi prestigiosi.
 È stato musicista, cavallerizzo e cavaliere, pilota e ufficiale di 
			guerra, viaggiatore instancabile, amante e soprattutto amato. Ha 
			fatto con trasporto ed «impegno» mille cose piacevoli dal fare 
			l’amore a pescare, cavalcare, guidare un’auto da corsa, comporre 
			canzoni, stare con gli amici, viaggiare, giocare a carte, a golf, a 
			tennis. Egli conosceva ogni giorno persone di spicco nel loro campo 
			che impegnavano tutte le loro energie chi a far politica, chi a fare 
			la guerra, chi a creare opere d’arte, chi a pensare di dover salvare 
			l’umanità e nel frattempo Pupetto si interessava soltanto a 
			divertirsi e ad avere come unico obiettivo quello di disimpegnarsi 
			dalle noie grandi e piccole dell’esistenza.
 Il suo desiderio più grande è stato che, sulla sua tomba, si sia 
			potuta porre una lapide con il seguente epitaffio: «Non fece mai 
			niente di importante nella vita, ma si divertì».
 Dopo tanto fervore di vita e dopo aver per tanti anni curato 
			l’immagine di Capri nel mondo, dall’alto della sua carica di 
			presidente dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, nella quale 
			si identificava alla perfezione con il carisma di un amabile padrone 
			di casa, anche per il principe gli anni trascorsi, lo fecero 
			divenire un vecchio saggio, dispensatore di utili consigli per 
			tutti, frutto delle sue numerose esperienze.
 La sua lunga vita trascorsa tra ozii dorati e mille impegni 
			apparentemente futili è stata per nulla «inutile» e vi è sempre 
			molto da imparare da un napoletano che ha guardato il mondo con gli 
			occhi di un gentiluomo illuminista e talune volte con il giudizio 
			sicuro di un uomo di solida statura morale.
 Cerchiamo ora di seguire un po’ più da vicino questa vita 
			avventurosa andando indietro nel tempo fino al primo decennio di 
			questo secolo, allorquando il padre di Pupetto, vedovo e senza 
			figli, decide di volere un successore per la sua casata. A tale 
			scopo si scomodano i discreti uffici del cardinale Belmonte, il 
			quale convince una novizia di buona famiglia a lasciare il velo di 
			suora per quello di sposa, col proposito di continuare una nobile ed 
			onorata famiglia, il che costituisce lo stesso, opera meritoria agli 
			occhi di Dio. Era l’anno 1907, dopo nove mesi nasce il tanto 
			sospirato erede a cui fu imposto il nome del nonno Francesco. La 
			famiglia di Pupetto, di antica origine spagnola, presenta nella 
			corona della casata non una spada bensì una testa di elefante, 
			rappresenta cioè una nobiltà di toga e non di armi. Francesco è 
			imparentato con l’autore del celebre romanzo il «Gattopardo» 
			Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il quale è un suo nipote anche se più 
			anziano di circa venti anni, ma Pupetto essendo nato da un padre 
			sessantenne è «indietro» di un paio di generazioni. I primi anni di 
			vita Pupetto li trascorre nel famoso palazzo Sirignano alla Riviera 
			di Chiaia, un complesso di otto costruzioni affogate in uno 
			splendido ed immenso giardino affianco alla Villa Pignatelli, mentre 
			d’estate ci si trasferiva a volte nell’antica casa di famiglia a 
			Sirignano a 25 chilometri da Napoli, ove spesso venivano ospitati 
			famosi personaggi come Caruso e Puccini.
 Il padre di Pupetto, il mitico don Giuseppe, senatore del Regno, fu 
			mecenate, banchiere, deputato, gentiluomo affascinante e perfino 
			autore di romanze, ma principalmente fu uomo ricchissimo, fondatore 
			della Banca d’America e d’Italia, di cui fu presidente fino alla 
			morte. Negli ultimi anni della sua vita egli divenne cieco a causa 
			di un intervento di cataratta non riuscito e ciò fu per tutta la 
			famiglia un dolore tremendo. Tra padre e figlio vi era un amore 
			immenso; il vecchio genitore non potendo più vedere il figlio lo 
			toccava continuamente con le sue mani divenute sensibilissime e 
			carezzandogli il viso soleva ripetere «Come sei bello e come sei 
			forte figlio mio, come ti ho fatto bene. Quante speranze ripongo in 
			te».
 Pupetto, dopo le elementari all’Istituto Amato, faceva la spola tra 
			l’Umberto I dove più volte lo espellevano ed il collegio degli 
			Scolopi, dal quale spesso e volentieri scappava. Le pressioni della 
			sua famiglia, molto influente, permettevano che fosse riammesso fino 
			alla prossima fuga od espulsione e così fino alla sospirata licenza 
			liceale. In casa la trasformazione è avvenuta da bambino pestifero a 
			ragazzo terribile, da adolescente scapestrato a giovane spericolato, 
			sempre attorniato da un pollaio di donne: madre, nonna, cinque zie 
			paterne, due zie materne, tre sorelle, rinforzate da un esercito di 
			governanti, cameriere e guardarobiere.
 Finiti gli studi tutti si aspettavano una brillante carriera 
			diplomatica. Cominciò così per Pupetto il periodo di viaggi per 
			conoscere il mondo e per imparare le lingue straniere. Tra un 
			viaggio e l’altro il principe occupava il tempo con belle donne, 
			coltivava la sua passione per le automobili veloci e trascorreva la 
			vita con tutti i lussi e le comodità.
 Per fare tutto questo, lentamente, si dovette intaccare il 
			patrimonio di famiglia, che era cospicuo, ma non inesauribile. A 
			distanza di anni Pupetto però confessa candidamente, che se non ci 
			avesse pensato lui a dilapidare le sue ricchezze, le avrebbero 
			distrutte voraci le tasse, le vicissitudini politiche ed economiche, 
			l’inflazione, la caduta della lira, il blocco dei fitti, i patti 
			agrari e tante altre disgustose diavolerie.
 Tra le donne Pupetto, nei suoi anni giovanili, ha sempre prediletto 
			le americane, di cui ne ha sempre posseduto una riserva 
			inesauribile. A differenza delle italiane, sempre scortate e 
			guardate a vista da qualche fratello, le nord americane erano 
			meravigliose, sempre inappuntabili, fresche, profumate e senza 
			complessi. Sempre pronte a visitare musei, chiese o garçonniere con 
			identica energia e con lo stesso inguaribile romanticismo. In 
			America gli Italiani erano poi tenuti in grande considerazione, 
			erano italiani il più grande amante del mondo ed il pericolo 
			pubblico numero 1.
 La prima esperienza sessuale Pupetto l’aveva fatta in «casa»: era 
			stata Adelaide, una cameriera della famiglia Sirignano di oltre 
			quarant’anni, a svezzare il dodicenne principino, che svelò il suo 
			vizio così precoce tra la meraviglia della mamma, l’orgoglio dello 
			zio paterno e l’accondiscendenza del confessore.
 Tra la conquista di una donna ed una corsa automobilistica Pupetto 
			trovava anche il tempo di incontrare personaggi illustri come 
			D’Annunzio, che lo accolse al Vittoriale vestito con la sola giacca 
			di pigiama e con gli attributi virili in libera esposizione; 
			Guglielmo Marconi, del quale Pupetto riteneva fosse più interessante 
			la figlia; Umberto di Savoia che in quel periodo viveva a Napoli ed 
			i tre fratelli De Filippo all’epoca non ancora molto celebri. Nella 
			buona società circolava la cocaina ed anche Pupetto la provò qualche 
			volta, ma più che provare una sensazione voluttuosa l’effetto fu di 
			vomitare tutto il vomitabile.
 Durante uno dei periodici viaggi negli Stati Uniti il principe prese 
			per scherzo moglie, recandosi in una di quelle località, come oggi 
			Las Vegas, in cui ci si poteva sposare in pochi minuti, anche di 
			notte. Con la modica spesa di cinque dollari Francesco e Jannet 
			divennero marito e moglie, se non davanti a Dio, almeno davanti alla 
			legge americana.
 Dopo meno di una settimana il matrimonio era già fallito. Sposati 
			per scherzo, non fu uno scherzo cercare di divorziare o annullare il 
			matrimonio. Consultati gli avvocati si decise di giocare la carta 
			dell’impotenza dello sposo; per cui mentre la sposina si rese 
			irreperibile per qualche settimana, per evitare che qualche perito 
			più scrupoloso ed intransigente riscontrasse tracce della recente 
			deflorazione, il povero Pupetto dovette subire lo sdegno di tutti 
			gli Italiani d’America, che si sentivano offesi nella loro virilità, 
			sapendo che un loro connazionale, per giunta principe, aveva fallito 
			la prima notte di nozze.
 Dopo oltre mille avventure, Pupetto decide che tutte le sue estati 
			saranno trascorse a Capri, l’isola di sogno, di cui diventa, per 
			molti anni, il presidente della locale azienda di turismo, 
			l’ambasciatore e l’anfitrione.
 Per un po’ di tempo Pupetto alloggiò nella villa del barone Fersen, 
			un omosessuale alquanto originale, che si era fatto costruire una 
			dimora principesca nella parte alta di Capri vicino a Villa Jovis, 
			pretendendo che tutto il materiale necessario alla sua costruzione 
			fosse trasportato con grande fatica soltanto da donne, escludendo 
			tassativamente uomini e bestie da questo gravoso lavoro.
 In tale villa era presente una scalinata, eseguita dalla famosa 
			fonderia Chiurazzi, che presentava un corrimano in bronzo ideato dal 
			barone, dove una sequenza di membri maschili faceva bella vista di 
			sé nei diversi stadi della virilità.
 Capri, oltre che le bellezze naturali, significava anche ottima 
			cucina con piatti originali dai sapori prettamente mediterranei. Uno 
			di questi tra i più famosi e più gustosi «gli spaghetti con le 
			zucchine» sono il parto culinario di Pupetto ed oggi rappresentano 
			la specialità di tanti ristoranti alla moda come Gemma o I 
			Faraglioni. Durante il periodo in cui il principe di Sirignano era 
			il mattatore incontrastato della vita mondana caprese ebbi modo di 
			conoscerlo personalmente, anche se di sfuggita, molto di sfuggita...
 Avevo diciotto anni e mi trovavo ai bordi della piscina della 
			«Canzone del mare», che, squattrinato avevo raggiunto senza pagare 
			l’ingresso attraverso gli scogli in compagnia di Carlo Spagna, 
			allora, come me, giovane audace e scapestrato, oggi severo e stimato 
			Presidente di Sezione penale del Tribunale di Napoli. Mentre ci 
			guardavamo intorno alla ricerca di qualche bella fanciulla da 
			accalappiare fummo attirati da ciò di cui parlavano due affascinanti 
			ragazze bionde della società dorata napoletana.
 Anna Maria Sernicola e Manuela Coja, favoleggiavano di una grande 
			festa da ballo che, organizzata dal principe di Sirignano, si 
			sarebbe svolta quella sera ed alla quale avrebbero partecipato 
			centinaia di invitati, parte in abiti da gala e parte in maschera.
 Il sogno delle due ragazze era quello di poter partecipare ad una 
			festa così importante per far notare la loro bellezza, che era 
			veramente sfolgorante e per fare qualche conoscenza interessante. 
			Presi la palla al balzo e con sfacciataggine mi avvicinai alle due 
			fanciulle e dopo essermi presentato come conte, millantai un’ 
			amicizia di famiglia di vecchia data col principe Sirignano, dal 
			quale potevano considerarsi, se volevano, invitate al ricevimento. 
			Anna Maria e Manuela mi abbracciarono e baciarono contentissime e 
			corsero in albergo e dal parrucchiere per prepararsi adeguatamente 
			alla festa alla qaleu si credevano invitate ufficialmente.
 Ci demmo appuntamento in piazzetta con le ragazze per le 21. Per me 
			ed il mio amico si imponeva il problema dell’abito da sera che non 
			possedevamo, ma potendosi presentare anche in maschera, la scelta 
			cadde su due travestimenti da antichi romani, che fu facile 
			arrangiare con le lenzuola della pensioncina ove alloggiavamo ed i 
			tralci di vite del vicino giardino.
 Così agghindati, io da Bacco e Carlo, il mio amico, da ancella e 
			muniti anche di un bidet di plastica portatile, sottratto alla 
			pensione e tenuto da me sotto braccio con eleganza e naturalezza, ci 
			presentammo in piazzetta all’appuntamento con le due ragazze. Non 
			curanti di un passante che mi apostrofò col grido «ma che puort dui 
			cess», ci dirigemmo verso la villa ove si svolgeva la grande festa.
 Fummo accolti dal maggiordomo e da alcuni camerieri, ai quali 
			consegnai in deposito il bidet e mi presentai come invitato del 
			conte della Ragione, cioè di me stesso. Mentre il maggiordomo si 
			recò dal principe ad informarlo del nostro arrivo, fummo sequestrati 
			dai fotografi, che nel giardino della villa ci immortalarono in più 
			pose. Con la coda dell’occhio vidi il principe, accigliato, e 
			spalleggiato da vari camerieri, dirigersi verso di noi e feci appena 
			in tempo ad avvertire Anna Maria e Manuela, che splendevano nei loro 
			abiti da gran sera dalle abissali scollature, di allontanarsi e di 
			mischiarsi tra la folla degli invitati.
 Il principe volle sapere chi eravamo, e quando seppe che ci aveva 
			invitati il conte della Ragione, a lui naturalmente ignoto, ci fece 
			capire che se non ce ne andavamo con le buone avrebbe chiamato i 
			carabinieri. Mogi mogi guadagnammo l’uscita, ma giunti in piazzetta 
			ci ricordammo del bidet e tornammo indietro per riprenderlo. 
			Bussammo e alla finestra del primo piano il maggiordomo gridò 
			«andatevene o chiamo la polizia!» «La chiamiamo noi la polizia se 
			non ci restituite il bidet» rispondemmo noi. Pochi secondi e 
			l’«accessorio» ci fu scaraventato dalla finestra. Il giorno dopo 
			potemmo acquistare da Foto Capri le nostre immagini immortalate 
			durante la festa e l’unico lato positivo della vicenda fu, che con 
			le due ragazze, nonostante tutto, facemmo amicizia. Una amicizia 
			tanto intensa che dura ancora oggi a distanza di oltre quarant’anni.
 Il principe ha raccolto in un libro «Capri ed io» tutti gli aneddoti 
			più divertenti avvenuti nell’isola delle sirene durante il lungo 
			periodo in cui lui è stato il personaggio più rappresentativo. Nel 
			racconto si incontrano personalità del jet set internazionale, che 
			sono state sue ospiti o che hanno passato assieme a lui le vacanze 
			da Churchill a Onassis, da Marshall Kennedy.
 Ritiratosi negli ultimi anni a vita privata Pupetto rimase un 
			personaggio carismatico e l’ultimo simbolo di una Capri spensierata 
			e folle, gaia e gaudente, peccaminosa e trasgressiva, che non esiste 
			più se non nei ricordi e nei racconti di chi l’ha vissuta.
 
			 
 |