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			Cap.31Tre secoli di napoletanità
 Alessandro Cutolo
 
			Alessandro Cutolo nasce nel 1899, classe di ferro, come sottolineava 
			il Professore, e dato che tutti i Cutolo sono immortali o quasi, 
			svettando oltre i cento anni da alcune generazioni, attraversare tre 
			secoli di napoletanità è impresa non impossibile ma probabile ed il 
			nuovo secolo lo ha visto ancora nel pieno della sua vivacità 
			intellettuale con i capelli ancora tutti neri e la sua classica 
			parlata da gentiluomo napoletano d’altri tempi.Il professore si stabilì stabilmente a Milano dal 1935, anche se le 
			sue visite a Napoli ai nipoti ed ai pronipoti sono state sempre 
			frequentissime, e si farebbe fatica a trovare tra i nostri 
			concittadini un napoletano più napoletano di lui.
 Egli rappresentava infatti la specie di partenopeo colto e gentile, 
			e poiché forniva un’immagine ben specifica, ha meritato di essere 
			immortalato in un documento visivo; una videocassetta da consegnare 
			ai posteri con il suo volto sempre sorridente, buono ed affabile.
 Sessanta anni di vita milanese non hanno piegato inveterate 
			abitudini; il rito della «tazzulella ’e cafè» dopo pranzo, al posto 
			della aborrita usanza meneghina del tè delle cinque; il vezzo di 
			giungere ad un appuntamento, anche importante, con un leggero 
			ritardo; il parlare con locuzioni napoletane con qualsiasi 
			interlocutore, cosa cui il professore non ha mai rinunciato, neanche 
			quando negli anni Cinquanta le licenze dialettali erano concesse 
			solo ai grandi attori (Totò, De Filippo, Baseggio o Govi) e lui con 
			il suo immarcescibile accento partenopeo poté ugualmente sfondare in 
			televisione.
 Andiamo ora indietro nel tempo per raccontare la vita del 
			professore: dobbiamo fare capolino indietro di due secoli per veder 
			nascere il nostro Alessandro nella strada dell’Infrascata, oggi 
			Salvator Rosa, nel palazzo accanto a quello dove viveva Fausto 
			Nicolini.
 Sotto casa, all’angolo del Museo, vi era la stalla del noleggiatore 
			di asini, esistita fino al 1950, il quale affittava animali per 
			rinforzare il traino ai carretti che dovevano inerpicarsi sulla 
			salita fino al Vomero.
 Ricordo, anch’io sono nato a Salvator Rosa e vi ho vissuto fino a 
			vent’anni, che gli asini, una volta giunti ad Antignano, venivano 
			sganciati e poi scendevano la stessa strada percorsa in precedenza 
			da soli, fino a raggiungere la padrona, che, rammento, tutti i 
			vicini soprannominavano affettuosamente a ciucciara.
 Nicolini aveva qualche anno in più di Cutolo, che ne ammirava 
			estasiato le gesta tra cui a mo’ di esempio le ... historie 
			ricordano: Fausto scendeva a cavalcioni sulla ringhiera del palazzo, 
			prendendo slancio da una statua romana che vegliava sulla sommità 
			della scala oppure quando da ragazzo terribile saliva sull’astico e 
			camminava sul bordo del parapetto. Appena tra i due la differenza di 
			età fu meno determinante, divennero amici fraterni e stettero sempre 
			assieme, lavoravano, organizzavano burle e scherzi e comune fu 
			l’impegno politico, infatti furono entrambi mal visti dal fascismo, 
			ebbero gli stessi amici e gli stessi nemici.
 Diventato giovanotto il nostro Professore si laureò in lettere 
			discutendo una tesi col famoso storico leccese Michelangelo Schipa, 
			insigne studioso di pergamene e di codici antichi. Vinse poi un 
			concorso nell’Archivio di Stato, dove raggiunse il suo amico 
			inseparabile Nicolini, che vi era entrato alcuni anni prima.
 I suoi studi universitari furono rallentati da una dolorosa 
			parentesi: dovette, infatti, recarsi al fronte «da ragazzo del 
			novantanove» ed a soli 18 anni gli toccò di comandare da tenente una 
			batteria di cannoni sul Piave, dove ricevette da Vittorio Emanuele 
			in persona la croce di Cavaliere che premiava l’ufficiale più 
			giovane della grande guerra.
 Partecipò anche al secondo conflitto mondiale dove si distinse per 
			ardimento e generosità, il che gli valse alcune onorificenze, ma 
			purtroppo anche il distintivo di mutilato.
 L’infanzia era stata vissuta tra molti agi, perché la sua era una 
			famiglia benestante di industriali chimici e farmaceutici; ma con il 
			crollo di Wall Street, la situazione economica era peggiorata ed il 
			giovane Alessandro visse per anni del proprio lavoro di giornalista 
			vendendo i suoi articoli al «Mattino» di Scarfoglio, al «Corriere» 
			di Borrelli ed al mitico «Don Marzio», al cui direttore, il 
			simpatico e sempre squattrinato Silvino Mezza, riusciva a strappare 
			compensi molto alti per le povere risorse del giornale.
 Qualche altro soldo lo racimolava occupandosi di antiquariato 
			librario e trattando preziosi libri antichi per collezionisti e 
			biblioteche.
 Ha sempre amato vestire con grande cura per cui spesso il ricavato 
			degli articoli si traduceva in vestiti di ottimo taglio che 
			all’epoca costavano mille lire.
 Anche oggi il professore è proverbiale per la sua eleganza 
			impeccabile con camice di seta, stoffe stupende e cravatte 
			reggimentali firmate, da Marinella naturalmente.
 Conseguì dopo quella in lettere, la laurea anche in filosofia e 
			legge, il diploma di specializzazione in Paleografia e diplomatica e 
			due libere docenze. Giunse quindi la nomina di professore di 
			Bibliografia nell’Università di Milano dove ha insegnato fino alla 
			pensione per ventisette anni.
 Egli ha sempre studiato con grande accanimento ed una volta gli 
			capitò, quando era ancora molto giovane, facendo ricerche nella 
			biblioteca di un amico di famiglia di trovare un inedito di Antonio 
			Genovesi. Della cosa parlò con l’amico Nicolini il quale, già 
			introdotto nell’ambiente di Benedetto Croce decise che bisognava 
			sentire il parere del Filosofo, il quale confermò: «Bravo! è proprio 
			Genovesi, parlatene alla Pontoniana». Da allora il nostro Alessandro 
			ebbe sempre la stima del grande pensatore, che suggerì anche il suo 
			nome al Rettore Magnifico, che gli aveva chiesto consiglio su chi 
			potesse scrivere una storia di Napoli un po’ vivace e scherzosa. A 
			tal proposito interessanti sono anche due incontri che Cutolo ebbe 
			con due importanti personaggi che vollero conoscerlo.
 Il primo col cardinale Roncalli patriarca di Venezia, che 
			appassionato delle sue trasmissioni televisive volle incontrarlo di 
			persona una volta diventato papa Giovanni XXIII, fu Cutolo che volle 
			andargli a rendere omaggio con la moglie, a cui Sua Santità si 
			rivolse dicendo «Lei, signora, è fortunata a vivere sempre accanto 
			ad un uomo così». «Padre, anche lui ha i suoi peccati». «Sono i 
			peccati che più facilmente la Chiesa perdona». «La Chiesa ma non le 
			mogli». Il santo uomo per niente turbato dall’impertinenza della 
			donna battendole una mano sulla spalla la congedò con un «Coraggio, 
			figliola».
 Il secondo incontro fu con Padre Pio, che aveva egli stesso 
			sollecitato un colloquio per fare delle rivelazioni, ma poi 
			precipitandosi Alessandro a San Giovanni Rotondo, non volle più dire 
			niente di particolare.
 Cutolo, nella sua lunga vita ha scritto un numero imprecisato di 
			libri, tra cui ricordiamo la fondamentale storia di Ladislao di 
			Durazzo ed uno studio sul Decurionato di Napoli, opere che, essendo 
			andate distrutte le fonti del tempo nello sciagurato incendio 
			appiccato dai tedeschi in ritirata all’Archivio di Stato, restano 
			l’unica preziosissima documentazione sull’attività del municipio 
			napoletano prima del 1860. Nella «Prima crociata» egli racconta in 
			tono tra il serio ed il faceto che combinavano quei fetentoni dei 
			crociati.
 Nella «Congiura dei Baroni» vi è una rivisitazione, accessibile a 
			tutti di un libro bellissimo ma sconosciuto ai più.
 Una delle sue ultime opere, scritta ad ottantasei anni, è un 
			rifacimento dell’«Ars Amandi» di Ovidio, un allegro divertissement 
			che avrebbe sicuramente fatto sorridere i vecchi amici di un tempo 
			Doria, Ricciardi, e Nicolini.
 Ed andiamo a quel fatidico 1950, anno in cui si eseguono a Milano i 
			primi esperimenti di televisione in Italia.Un vecchio amico del 
			professore, Sergio Pugliese, allora direttore dei programmi, invita 
			il letterato napoletano, così simpatico ed estroverso, oltre che 
			miniera di cultura ed aneddoti, a tenere una rubrica per i pochi 
			telespettatori che nell’area milanese seguivano le prime 
			trasmissioni di prova.
 È Cutolo stesso a raccontare un piccolo segreto: «Avevo letto di un 
			vescovo che negli Stati Uniti aveva creato una rubrica che teneva in 
			teatro, rispondendo in pubblico alle domande che gli venivano 
			rivolte, per cui presi spunto da questa idea per progettare la mia 
			trasmissione».
 Nel dicembre del 1953, dopo molte prove sperimentali il professore 
			compare nel video ed annuncia: «Signore e signori buonasera. Io mi 
			chiamo Alessandro Cutolo, sono napoletano come sentite dal mio 
			eloquio, comincio oggi una rubrica “Una risposta per voi”; 
			scrivetemi delle lettere con dei quesiti ed io cercherò di 
			rispondere appagando le vostre curiosità».
 In poche settimane i funzionari della televisione furono sommersi da 
			valanghe di lettere con i quesiti più disparati, su uomini, animali, 
			date storiche, fatti di cultura, folclore e leggende popolari. In 
			breve tempo Cutolo diventò uno di quei personaggi che passano 
			attraverso il televisore ed entrano in tutte le case. Assieme ad 
			Angelo Lombardi con la sua mitica rubrica «L’amico degli animali», a 
			Padre Mariano con le sue accese prediche ed a un giovanissimo Mike 
			Bongiorno con le epiche puntate di «Lascia o raddoppia» sarà 
			acclamato come uno dei padri fondatori della televisione 
			italiana. Nonostante il successo travolgente delle trasmissioni la 
			cultura dell’epoca era chiusa alla comunicazione di massa, al punto 
			che il Rettore dell’Università di Milano ove Cutolo insegnava inviò 
			al professore una lettera di biasimo.
 Ma attraverso «Una risposta per voi» si era inaugurata una nuova era 
			della cultura che attraverso i mass media diventava patrimonio delle 
			masse. Il professore partenopeo era divenuto senza accorgersene 
			l’Apostata dell’Anno Uno dell’Era TV, giornalisti come Maurizio 
			Costanzo e storici come Antonio Spinosa debbono considerarlo come un 
			padre naturale.
 In breve anche la cultura ufficiale ci ripensò e mostri sacri come 
			Peruzzi, Rondoni ed Errante, letterati, uomini di scienza, luminari 
			del diritto chiedevano di partecipare come esperti alle 
			trasmissioni.
 In sedici anni ininterrotti di trasmissioni Cutolo divenne 
			popolarissimo ed il «professore» per eccellenza. Nello studio sulla 
			severa scrivania di Sandrino furono mostrate le cose più strane ed 
			originali da un cucciolo di tigre, ad una mutandina di boxer; dalla 
			croce dello Zar alla Rosa d’Oro che il Papa era solito regalare alle 
			regine in visita da lui. Dopo 100 puntate giunse anche un telegramma 
			di congratulazioni dell’allora Presidente della Repubblica Luigi 
			Einaudi.
 Poi all’improvviso nel 1964 i dirigenti della RAI, convocarono 
			Cutolo e gli dissero semplicemente «Arrivederci e grazie» anzi, 
			puntualizza il professore, «Addio e basta» senza dire grazie né 
			spiegare minimamente il motivo di quella soppressione che tutti i 
			telespettatori hanno a lungo rimpianto.
 In seguito grazie a «Canale 21» la rubrica rinasce per alcuni anni 
			col titolo «Parliamone un po’» ed ottiene in breve un tale successo 
			da meritare il premio Saint Vincent per la trasmissione più seguita 
			tra le televisioni private.
 Sull’onda del successo televisivo viene per Cutolo anche il momento 
			del cinema, ma non come sceneggiatore e regista bensì come attore, 
			come divo. Cinque film in pochi anni e tutti di cassetta.
 Di nuovo i puritani della cultura ebbero di che inorridire. «Un 
			giorno mi chiamarono Dino De Laurentis ed Alberto Sordi e mi dissero 
			abbiamo bisogno di te».«Per una consulenza storica?». «Neanche per 
			sogno, ti vogliamo come attore».
 Alcuni anni fa alla sua festa di compleanno per celebrare i «primi 
			novanta anni» circolò per la Milano bene un originale cartoncino 
			d’invito che aperto riproduceva una scaletta in cui ogni decennio 
			era rappresentato da un gradino. In cima una foto di Sandrino con la 
			vestina in braccio alla mamma e la data di nascita, Napoli 28 marzo 
			1899 e sotto la foto del ritratto eseguito da Gregorio Sciltian con 
			la scritta «Milano 28 marzo 1989 Sandrino rivede con piacere gli 
			amici di sempre».
 Tra gli invitati Montanelli, Afeltra, Vergani, Giuseppe Di Stefano, 
			Giulietta Simionato, Riccardo Muti, Renata Tebaldi, Falcone Lucifero 
			ed Alberto Sordi ed infine Sordillo e Prisco, in rappresentanza del 
			Milan e dell’Inter. Cutolo precisò però di tifare sempre per il 
			Napoli, perché lui invecchia ma non tradisce mai.
 Un personaggio leggendario in grado di spegnere cento candeline con 
			un solo fiato e del quale le giovani generazioni non conoscono 
			neanche il nome.
 
			 
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