Pacecco de Rosa

  Capitolo 7
iconografia sacra 


Pacecco raggiunse la sua fama nei dipinti profani, approfittando di quella committenza laico borghese presente in misura cospicua a Napoli affianco a quella religiosa, che richiedeva soggetti biblici e scene mitologiche, sante languide ed eroine vittoriose, purché interpretate da modelle belle e soprattutto discinte. Quella varietà di richiesta che ha reso d'oro il Seicento napoletano e di grande attualità, perchè in consonanza con il gusto moderno, sia del collezionista che del semplice frequentatore del museo. Non solo quadri devozionali dunque, ma anche battaglie, paesaggi, ritratti, natura morta, scene di genere e tante sante, devote, ma gradevoli a vedersi. 
Nonostante questa predilezione per il soggetto laico la produzione religiosa è copiosa, interessa un ampio arco temporale ed è sicura, nel senso che i pochissimi dipinti firmati o documentati del De Rosa sono quasi tutti quadri sacri. Non includeremo in questa carrellata i numerosi ritratti di sante, quasi sempre eseguiti con un'aura profana.


fig. 113


fig. 114-115

Cominceremo dall'Annunciazione (fig. 113) di San Gregorio Armeno, doppiamente firmata (sullo zoccolo del leggio e sulla prima pagina del libro) e datata 1644, un'opera a carattere devozionale, di ostentata eleganza reniana, felice contaminazione di cultura bolognese e modelli stanzioneschi, impregnata da colori di tonalità brillante che impreziosiscono i pesanti panneggi, il segnale inconfondibile del gusto dell'artista per " l'eleganza facile ed ostentata di sete e rasi sovrabbondanti, del languore teatrale popolarescamente agghindato, della materia inconfondibile per quelle superfici terse, sempre pronte al luccichio, come un ferro smaltato sotto il rivestimento di colori squillanti, dall'effetto fragoroso e stridulo" (sono parole di un poeta: Raffaello Causa). Le due già citate Immacolate, la prima di Brest e la successiva di San Domenico Maggiore, le varie redazioni della Deposizione, quella di San Martino, ispirata al prototipo del Vitale di Santa Maria Regina Coeli dei tardi anni Quaranta, quella della quadreria del Gesù Nuovo e la versione della Nunziatella, firmata e datata 1646.
Importanti opere a carattere sacro, collocabili intorno alla metà del quinto decennio, sono le due lunette della cappella della Purità in San Paolo Maggiore, precedentemente assegnate allo Stanzione, autore delle tele sottostanti, firmate. Le scene rappresentate sono la Nascita della Vergine (fig. 114) e la Presentazione di Gesù al tempio (fig. 115) e completano il ciclo mariano della cappella.


fig. 116-117-118

fig. 119-120-121

Nella cappella Cacace in San Domenico Maggiore, ai lati della Madonna del Rosario, capolavoro di Massimo Stanzione, sono presenti i tradizionali misteri: scene della Passione di Cristo e della vita della Vergine, chiaramente eseguiti da due diversi collaboratori del maestro. Diverse sono le opinioni di Spinosa, che identifica i due allievi in Niccolò De Simone ed in Giuseppe Marullo, mentre Schutze vede il pennello di Pacecco e del cognato Beltrano ed in particolare attribuisce al Nostro i seguenti episodi: Annunciazione, Natività, Cristo tra i dottori, Flagellazione, Cristo portacroce e Resurrezione (fig. 116-117-118-119-120-121).
Lo scorrere degli anni nel percorso artistico del De Rosa viene scandito dalla Immacolata con i Santi Francesco d'Assisi ed Antonio da Padova (fig. 122) della chiesa dei Cappuccini di Vibo Valentia, firmata e datata 1651. La tematica, ampiamente diffusa nella pittura spagnola e napoletana dell'epoca, viene resa dall'artista con qualche cedimento accademico, anche se le ombre tendono quasi a scomparire ed il colore diviene sempre più levigato. La fanciulla che fa da modella, dal candore virgineo ed attorniata da una folla di angioletti, indossa una veste di un bianco splendente ed un ampio mantello azzurro.
Particolare curioso, rivelatomi dall'amico Vincenzo Rizzo e che ha permesso alla tela di giungere a noi in ottimo stato di conservazione, è stata l'abitudine, osservata per secoli dai frati, di conservare la pala d'altare preservata da una tenda, aperta a richiesta dei fedeli o dei visitatori in cambio di una piccola offerta o di un semplice grazie. Al 1652 appartiene lo spettacolare quadrone, della chiesa di Santa Maria della Sanità, Angeli che impongono il cingolo della castità a San Tommaso d'Aquino (fig. 123), firmato e datato, accuratamente descritto dal De Dominici:"Un S. Tommaso d'Aquino nella chiesa della Sanità, con alcuni angioli che al detto Santo legano il Cingolo della purità, per conservargli la sua castità; vi è tanta gioia e riso in quei volti angelici che fanno meditare in quelli l'idee celesti del Paradiso, oltre il vedervisi le più belle forme di mani e piedi e tutte l'altre parti così ben disegnate che non resta che desiderarvisi". Il dipinto ha colori squillanti, che debordano luce, di un'assoluta modernità, come "il blue metallico, elettrico delle stoffe che richiama ed anticipa soluzioni poi di Mondrian e di Kandinskij" (Pacelli), la declinazione è ortodossamente stanzionesca e l'impaginazione dà l'idea di "una festosa aggressione di tre giovani efebici a un monaco spaventato, dove la gloria degli angeli intorno all'eucarestia è un singolare pastiche di citazioni da Reni, Domenichino e Stanzione"(Lattuada). Da notare lo straordinario dettaglio (fig. 124) della cintura di castità, di materiale prezioso portato con grazia e leggiadria dagli angeli, assieme alla corona e ad un serto di fiori.


fig. 122-123

Sempre di qualità altissima sono altre due pale d'altare documentate al 1654, segno indefettibile di importanti commissioni pubbliche e lampante dimostrazione dell'assurdità dell'idea, avanzata dalla critica meno attenta, di un Pacecco stanco ripetitore di formule accademiche negli ultimi anni della sua attività. Esse sono il San Pietro che battezza Santa Candida (fig. 125), sito nel coro della chiesa di San Pietro ad Aram, restituito di recente ai luccicanti colori del passato da un attento restauro, firmato e datato "Pacheco De Rosa 1654", nel quale, ad ulteriore dimostrazione dell'autografia delle due lunette della cappella della Purità in San Paolo Maggiore, il San Pietro, dal volto sorridente che battezza la Santa, è un prelievo letterale del San Giuseppe nell'Offerta lustrale del ciclo mariano precedentemente descritto. L'altra importante cona d'altare è la Madonna del suffragio con i Santi Domenico e Gaetano e l'angelo custode (fig. 126), firmata e datata 1654, della parrocchiale di Sant'Agata di Puglia, nella quale il Pugliese, nel pubblicarla, coglieva lontani echi dell'Angelo custode della Pietà dei Turchini, capolavoro del Vitale ed influenze falconiane nel paesaggio sulla destra, oltre ad un potente richiamo al dipinto della chiesa della Sanità, caratterizzato da angeli poderosi come quelli che impongono dinamicità alla parte centrale della tela in esame. L'angelo custode, capellone ante litteram, incurante della stizza malamente repressa del diavolo, una caricatura del collega realizzato dal Vitale, costituisce, con il suo sontuoso manto di un giallo dorato, la quinta scenica che dà respiro ad un ampio panorama, il quale richiama a viva voce gli esiti migliori di Micco Spadaro.


fig. 124

 
fig. 125-126

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