Pacecco de Rosa

  Capitolo 8
Santi e Sante 


Poco meno che interminabile il numero di santi e sante rappresentato da Pacecco, segno della vivacità nella richiesta di un soggetto che non poteva mancare nelle case delle famiglie ricche napoletane. Sono tutti dipinti da cavalletto, emersi in gran parte negli ultimi anni sul mercato antiquariale e nelle aste, sia in Italia che all'estero, ampliando in tal modo notevolmente il grado di conoscenza degli studi.


fig. 127-128-129
 
fig. 130-131

Partendo dai soggetti maschili segnaliamo l'unico quadro del genere firmato e datato, 1652, un San Gaetano conservato nel Duomo di Matera, segnalato dall'Ortolani, ricordiamo inoltre il già citato San Massimo (fig. 127) della chiesa di Santa Sofia di Giugliano, del quale circolano sul mercato numerose repliche di bottega ed il San Biagio (fig. 128) dell'antiquario bergamasco Lumina, nel quale compare, quasi una firma nascosta, lo stesso giovane modello che abbiamo incontrato in altri dipinti certi di Pacecco, dal San Nicola di Bari (fig. 129) della Certosa di San Martino al San Matteo di Capodimonte (fig. 130), ispirato alla tela eponima (fig. 131), già nella chiesa napoletana di Sant'Anna di Palazzo.


fig. 132-133

Di altissima qualità il San Sebastiano (fig. 132) del Kunsthistoriches Museum di Vienna, che fa coppia con il meno noto Cristo alla colonna (fig. 133), segnati entrambi da un incarnato languido e dalle stesse pieghe cutanee nella zona addominale.


fig. 134

Sant'Antonio è raffigurato più volte: in estasi, avvolto in una luce calda proveniente dall'alto (fig. 134) ed attorniato da un nugolo di angioletti, nella tela di Capodimonte, vicina stilisticamente alle opere degli anni Cinquanta; mentre ha una visione (fig. 135) nel quadro della Gemaldegalerie di Vienna, più antico; è rappresentato inoltre nelle opere precedentemente citate (fig. 136-137) e, secondo Ortolani, una replica con varianti del quadro di Capodimonte era conservata presso la chiesetta degli Orefici a Materdei. San Gennaro, del quale è comparsa l'anno scorso presso Finarte una spettacolare Decollazione (fig. 138) è ritratto più volte: con un fanciullo che gli regge le ampolle (fig. 139), di collezione privata e mentre offre il segno del suo martirio alla Madonna ed al Bambino (fig. 140), in una tela, presente sul mercato, ricca di squillante cromatismo e del tutto aliena dai modi del Vitale.

fig. 135-136


fig. 137-138

Alla lezione stanzionesca appartiene pienamente il San Giovanni Battista (fig. 141) di collezione privata italiana e la replica, ricordata dall'Ortolani, nella chiesa di Santa Maria Assunta a Bagnoli Irpino. Mentre ricordiamo soltanto, perchè già trattati in precedenza: San Nicola (fig. 142), San Carlo (fig. 143), Santo Stefano (fig. 144), San Lorenzo (fig. 145), San Luca (fig. 146), San Matteo (fig. 147), San Giuseppe (fig. 148), San Giovanni Evangelista (fig. 149).


fig. 139-140

 
fig. 142-143-144-145
   
fig. 146-147-148-149
 
fig. 150-141

L'elenco delle sante è più breve, forse perchè 
la parte del mattatore nelle committenze di questo genere di ritratto fu assunta da Andrea Vaccaro, specialista indiscusso nella realizzazione di sante in estasi orgasmiche con seni prorompenti, debordanti da abissali scollature.
Partiamo, assimilando a santa una Agar (fig. 150) in collezione privata a New York, speculare ad una Sant'Agata in agonia (fig. 151) della Walpole Gallery di Londra. Le due immagini sono accomunate dall'identica positura della mano, dal languido volgere degli occhi verso l'alto, il famoso sott'in su, che, inaugurato dal divino Guido Reni, tanto successo ebbe nella pittura napoletana negli anni Quaranta Cinquanta e dal seno generosamente e maliziosamente esposto. Le due tele sono collocabili cronologicamente tra il 1650 ed il '55, quando l'artista rendeva gli incarnati femminili simili a luminose porcellane, circostanza evidenziata dall'acuto occhio del De Dominici, che giustamente affermava:"grande imitatore del naturale, del quale però sceglie il più bello e più nobile, come si vede nelle sue opere".

 


fig. 151-152-153
   
fig. 154-155-156

La Sant'Agata appena esaminata, dai conclamati caratteri pacecchiani, ci permette di confermare alla bottega le già esaminate tele con la stessa iconografia (fig. 152) e (fig. 153).
Pienamente stanzionesche sono le già descritte Santa Caterina, conservata a Bratislava (fig. 154) e le due Sant'Orsola (fig. 155) e (fig. 156). La Santa britannica, sacrificata, nei pressi di Colonia, assieme ad 11.000 sue compagne vergini (a quell'epoca le vergini abbondavano...) è la protagonista di una eccezionale tela (fig. 157), in collezione privata napoletana, dominata da una tavolozza di colori luccicanti, dal panno rosso fulvo che ricopre l'abito damascato della martire, al bianco opaco ed al rosa cenere presenti nell'abbigliamento del carnefice, una delle figure, come sottolineato dal Pacelli, tra le più interessanti della pittura napoletana seicentesca, un giovane, di bellezza "cattiva", preso di profilo con una fascia di seta tra i capelli dalle sfumature iridescenti. Un tocco di realismo caravaggesco pervade la composizione: il sangue che copioso sgorga dalla ferita provocata dalla freccia sul collo e che contrasta, con il suo rosso rutilante, con il tenue incarnato roseo della santa, la quale, eleva gli occhi al cielo ed affronta con serenità il suo martirio, sicura della bontà delle sue decisioni, illuminata dalla fede che tutto trascende, placando e spegnendo tutti i sentimenti e le sensazioni negative quali il dolore, la sofferenza, l'umiliazione, lo sdegno ed esaltando la calma serafica, la serenità dell'animo, la certezza di una scelta adamantina. 


fig. 157-158


fig. 159-160

Una originale, quanto inedita, Santa Irene (fig. 158) costituisce, secondo il parere dell'antiquario Giacometti, una riproposta da parte del De Rosa di un polittico, di secoli precedente e del quale mostriamo un altro pannello (fig. 159) raffigurante la Madonna con il Bambino, mentre un'altra scena rappresenta San Sebastiano. Se fosse confermata tale ipotesi ci troveremo per la prima volta davanti ad un'opera del passato riproposta dall'autore con l'imprinting delle sue fisionomie patognomoniche.
Una Maddalena (fig. 160), in collezione De Vito, di splendida fattura, pervasa da una sensuale malizia vaccariana, con il seno generosamente discinto, a stento ricoperto dalle bionde trecce, è l'ulteriore dimostrazione della consumata abilità dell'artista nel rendere profano un soggetto sacro, qualità richiesta da una parte cospicua della committenza laico borghese intorno alla metà del secolo XVII.
Ad ubicazione sconosciuta è una Santa Agnese (fig. 161) implorante in uno sfolgorio di colori dall'arancione al violetto, con la muta presenza dell'agnello, mentre di Santa Dorotea possiamo proporre tre versioni una, inedita, (fig. 162), in collezione privata a New York, con un piatto di fiori e frutta in primo piano che pone il problema di identificare lo specialista in natura morta che collabora con il De Rosa, una seconda (fig. 163), sempre inedita, in collezione privata italiana, nella quale compare il noto modello di fanciullo di cui abbiamo già discusso in precedenza e, soprattutto il brano di natura morta, di nitida precisione ottica, sembra partorito dal pennello di Luca Forte ed una terza (fig. 164 ) di qualità altissima, della Galleria Nazionale di Praga, a lungo attribuita al Vouet, pervasa da un cromatismo freddo e da una pittura liscia, precisa ed asciutta nella figura della Santa, che può ragionevolmente far pensare, seguendo un suggerimento di Daniel, ad un'opera in collaborazione con il patrigno, il quale avrebbe eseguito la Santa, mentre Pacecco avrebbe realizzato l'angioletto e la volta celeste, che richiama prepotentemente quella della celebre Flora (fig. 165) conservata a Vienna.
Appartengono agli ultimi anni della produzione del De Rosa: una Sant'Agnese, di un purismo integrale da Arcadia incorrotta, già nel palazzo Imperiali a Francavilla Fontana, una fanciulla sorridente e sensuale che ben incarna l'ideale femminile dell'artista ed una Santa Caterina, densa di preziosi cromatismi, luccicante nella chiarezza delle superfici terse, conservata nel convento di San Luigi a Bisceglie.
La pittura di scene di martirio ebbe grande successo a Napoli nel quarto e quinto decennio del secolo XVII. Gli autori più richiesti dalla committenza in questo particolarissimo genere furono gli allievi della bottega di Aniello Falcone e tra questi un posto di rilievo fu occupato da Micco Spadaro, assieme a Carlo Coppola e Niccolò De Simone. Anche il De Rosa realizza più di una volta scene di martirio, nelle quali però rifugge da qualsiasi compiacimento per i dettagli più cruenti, spesso dipinti da altri artisti con accanimento riberiano.
"Nessun orrore, nessuno strazio carnale, nessuna esaltata estasi visionaria" (Pugliese), ma, costantemente, una pacata espressione nel volto del protagonista e nei suoi stessi carnefici. I personaggi, anche nell'acme del martirio, non manifestano dolore o raccapriccio, bensì esprimono un'emozione gaia e serena, paghi di immolarsi per la propria fede, in quel particolare stato di emozione narcisistica che accompagna sempre quel gesto eroico.

 
fig. 162-161-163
 
fig. 164-165-166

Ricordiamo per un raffronto le già citate tele raffiguranti il martirio di San Gennaro (fig. 166), di San Lorenzo, nella versione di Lizzanello (fig. 167) e di Greenville (fig. 168), di San Pietro (fig. 169), di San Biagio (fig. 170), di San Bartolomeo (fig. 171) e di Sant'Orsola (fig. 172). 
Indirettamente collegata al genere dei martirii possiamo considerare la già citata Apollo e Marsia del Castello di Opocno (fig. 173), una tela di notevole qualità e di argomento mitologico, ma non dimentichiamo che dal tema pagano derivò in ambito cattolico il substrato del martirio di san Bartolomeo, anch'egli scorticato vivo. L'opera, solo da poco nota agli studiosi, si serve di un modello, che interpreta Apollo, già visto in numerose altre tele dell'artista: è il principe troiano nel Giudizio di Paride (fig. 174) di Capodimonte, un angelo (fig. 175) nel quadro della Sanità, Adone (fig. 176) nel dipinto conservato a Besancon. L'artista non prende ispirazione dalla celebre elaborazione del Ribera, ripresa magistralmente dal Giordano, in cui è tangibile il compiacimento masochistico del vincitore, bensì interpreta l'episodio come ineluttabile ed imprime nel volto di Apollo più compassione che ira, con una lettura del passo di Ovidio impregnata dal sentimento della pietà.
Lo stessa iconografia, ridotta a semifigure, la ritroviamo in una tela di collezione Adanero a Madrid, segnalata da Perez Sanchez e assegnata al De Rosa dallo studioso spagnolo, mentre Causa riteneva un autore più plausibile in Salvator Rosa.


fig. 167-168-169-170


fig. 171-172-173-174


fig. 175-176

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